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Voglia di X-Factor? Fattela passare. Rock the Monkey!

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Rockthemonkey

Rock the Monkey! Manuale di sopravvivenza per non perdersi nel mondo della Musica.

Oggi più che mai, causa l’avvento e l’affermazione dei più disparati reality di carattere musicale, sempre più paiono i giovani cantanti decisi a intraprendere la “carriera” del musicista ma, allo stesso modo, tantissimi, forse la maggior parte, finiscono per perdersi nelle delusioni, nelle illusorie speranze, nella fama che dura un attimo, nella scarsa preparazione. Pochissimi sono i veri talenti tirati fuori da questi pseudo talent show e probabilmente saranno più i veri talenti che per colpa di questi talent show hanno rinunciato per sempre a scavare nel proprio Io alla ricerca del meglio di se e a intraprendere le strade migliori per far sì che questo talento potesse realmente venire fuori. Per cercare di indirizzare i ragazzi più capaci verso la via ripida e faticosa che rende veri artisti, David A. R. Spezia e Massimo Luca hanno realizzato un manuale che consigliamo vivamente a tutti questi ragazzi, pieni d’idee e con la passione che poi è la stessa che muove anche noi. Per capire meglio di cosa si tratti, abbiamo intervistato i due autori di questo Rock the Monkey!.

Ognuno di noi ha sognato, almeno una volta, di diventare una rockstar. Ma la musica non è solo un sogno, per tanti è una “scimmia” in grado di creare dipendenza e di trasformare chiunque in un perenne cercatore d’oro. Quanti hanno messo in piedi una band con gli amici e hanno iniziato a muoversi nell’universo musicale italiano: i pezzi scritti in saletta, la ricerca di locali dove suonare e di un’etichetta discografica, con l’obiettivo di far conoscere il proprio talento e diventare famosi.

Ciao David A. R. Spezia (scrittore) e Massimo Luca (musicista al fianco, tra gli altri, di Battisti, De André, Mina, Bennato, Dalla, Vecchioni, oltre che compositore e produttore di talenti come Grignani e Antonacci). Come state? Andiamo subito al dunque. Rock The Monkey, un manuale per diventare una Rockstar. A chi è venuta questa idea e perché soprattutto?
David: la scintilla l’ho avuta una mattina. Erano vent’anni che non sentivo Massimo. Ho recuperato il suo numero di telefono da un amico comune e l’ho chiamato. Lui si è ricordato subito.  Io sono stato molto diretto, devo dire, col senno di poi. Gli ho chiesto: “Massimo. Vuoi scrivere un libro?”. Dopo aver spiegato a grandi linee il progetto, ha subito accettato. Qualche giorno dopo ci siamo visti e abbiamo cominciato. Il libro ha preso immediatamente la sua impronta e l’idea è stata sviluppata e portata avanti grazie alla sua grande esperienza nella musica. Come scriviamo nel capitolo intitolato ”Intro”, siamo diventati una chimera. La fusione di due entità: lo scrittore e il musicista. Da qui è nato il nostro libro.

Massimo: Sì, oggi tutti vogliono apparire e lasciare una traccia di se stessi sulla Terra. Questa è una vera e propria sindrome! La causa va attribuita ad una televisione populistica che lancia in modo più o meno evidente messaggi che esasperano troppo il senso dell’edonismo! Il libro/manuale cerca di riportare il lettore in una dimensione normale raccontando quello che sino a qualche anno fa è stato il mestiere più bello del mondo. Il messaggio è evitare di fare i fenomeni da baraccone e migliorare la propria personalità artistica attraverso lo studio e la conoscenza fino al raggiungimento di uno stato di eccellenza. La scimmia? È la passione che non ci fa sentire la fatica. È una donna che ami senza essere riamato!

Ho letto il libro e, vista la presenza di David A. R. Spezia, mi aspettavo una narrazione meno schematica, quasi più un racconto dentro il quale s’inserissero le vostre idee. Invece si tratta proprio di un manuale, nel senso più classico del termine. Come mai questa scelta narrativa?
David: io direi che la scelta della prima persona nella narrazione, abbia portato il libro a essere meno “saggio” e più “manuale esperienziale”. È vero che si trovano pagine dedicate ai trucchi del mestiere, magari con elenchi di cose da fare e da non fare, però in tutto questo si inseriscono aneddoti della vita di Massimo: le sue esperienze dirette con Lucio Battisti per esempio, o di come abbia portato Gianluca Grignani al successo del primo album. Il libro vuole dare consigli, senza essere però pretenzioso. È come se qualcuno mi raccontasse la sua vita: ciò che una volta accadeva nelle botteghe degli artigiani nei confronti del garzone. Oggi questo non esiste più: ognuno fa musica e pretende di farla senza aver voglia di imparare l’arte e il mestiere.

Personalmente non sono mai stato un grande amante dei “manuali”, quei libri che pretendono di dare risposte, preferendo i testi che favoriscono il dubbio. Tuttavia in Rock The Monkey c’è qualcosa di diverso. Cosa lo distingue sostanzialmente da un manuale per smettere di fumare, uno per perdere peso, e cosi via?
Massimo: in effetti, non è un vero e proprio manuale; il titolo è ammiccante, quasi umoristico! In realtà, a parte alcuni consigli dovuti dall’esperienza, è un passaggio di testimone tra due generazioni che sono abbastanza distanti! Qui nessuno insegna niente a nessuno! Ho voluto “restituire” il dono che ho ricevuto quando ero poco più che un ragazzo. Il “dono” è tutti gli insegnamenti che i “vecchi” mi avevano regalato e che hanno contribuito non poco a far divenire la mia carriera quasi leggendaria. Dopo cinquant’anni ho voluto restituire ai più giovani questo “dono”.

Nella scrittura ho notato alcune cose caratteristiche. Esempio, frasi brevissime, tanta punteggiatura e “a capo”. Una fluidità anche eccessiva talvolta. Inoltre, molte note talvolta elementari e ripetizione dei concetti (cosa che nei manuali si nota spesso). A cosa è dovuta questa scelta espressiva?
David: il motivo è che quando si chiede a qualcuno di insegnarci qualcosa, questa persona deve cercare di esprimersi in maniera diretta e semplice. Ogni concetto deve essere fissato con pochi e facili termini. Ripetuto più volte per essere metabolizzato. Visto che la narrazione è sempre in prima persona, bisogna immaginare che è come se ci fosse Massimo a parlarmi in quel momento. Quando c’è dialogo, difficilmente si hanno frasi lunghe, tortuose, “teatralmente compite”. Non sarei alla scuola di un artigiano, al contrario, sarei alla lezione di un professore che non farebbe altro che conciliare il sonno. Per quanto riguarda le note, invece, il motivo deriva dal fatto che il libro è davvero pensato per tutti, anche per chi non sa niente della musica. Cose che per i quarantenni sono normali, per i ventenni non lo sono per niente.Chiedi a un ragazzo chi era De Andrè.

A chi si rivolge il volume? Avete pensato a qualcuno in particolare o a una categoria precisa quando avete deciso di scriverlo?
David: Rock The Monkey! è per tutti. È per i musicisti che vivono di musica. Per chi ha tentato la strada della musica e oggi fa altro. Per chi vuole iniziare questo percorso e non ha la minima idea di quello che lo aspetta. Soprattutto, è un manuale di vita che raccoglie aneddoti e pensieri di anni di palco e retropalco in un periodo in cui la musica era spumeggiante, viva, prepotentemente alla ricerca di se stessa. Mi ha fatto piacere leggere il commento di una lettrice, non musicista, che ha scritto che il libro è una “scusa che ti fa capire come affrontare la vita”.

Nel libro si afferma giustamente l’idea che, chi ama la musica, non dovrebbe inseguire il successo. Ma in fondo chi ama fare musica desidera anche condividere le sue emozioni e il successo è l’estremo della condivisione. Dunque, sono veramente cosi antitetici la passione vera per la musica e la voglia di inseguire il successo, inteso non in termini economici ma di pubblico?
Massimo: dico sempre che il successo è “dentro” di noi. Ricordo che negli anni 60 il successo lo decretava il pubblico quando ascoltava un complesso o un cantante. La balera “piena” di gente era il successo. Significava continuità, e la continuità significava sopravvivenza! Nessuno di noi ambiva a fare dischi! Noi volevamo solo “lavorare”, cioè suonare sopra un palco sapendo che domani ci sarebbe stato un altro palco e così via. Il disco era la fase terminale del progetto artistico. Quando centinaia di migliaia di persone conoscevano quel tal cantante o gruppo, mettere un disco sul mercato voleva dire averlo già quasi venduto! Oggi la televisione parte da quella fase terminale, e cioè al contrario. Si parte dal “successo” per finire a casa propria senza che nessuno noti che siamo scomparsi. E questo perché il “gioco” prevede un nuovo vincitore. Se questa è una carriera!

Altra cosa, parlate giustamente di live e indicate questa come una delle strade migliori per fare la necessaria gavetta. Eppure (anche noi con Streetambula organizziamo eventi) non tutti riescono a trovare spazi e date, vuoi per la concorrenza spietata di Tribute Band e Dj improvvisati, vuoi perché al pubblico della musica interessa meno che mai, vuoi perché pochi sono i locali attrezzati, vuoi perché pochi sono i gestori appassionati (molti i localari, come li chiamate nel manuale). Come si può indicare un problema, come la soluzione?
Massimo: localari a parte (c’erano anche cinquant’anni fa!) il problema vero, a mio parere, è la qualità del repertorio! Oggi quasi nessuno è più in grado di scrivere una canzone di quelle che si canteranno tra trenta o quarant’anni. E quindi si capisce il successo della “Tribute Band” che replica a papera un successo già conclamato dall’originale! La gente ha bisogno di cantare le canzoni e quelle di oggi sono solo note che si inseguono spesso senza nessun talento o logica artistica. Un giorno qualcuno disse che TUTTI potevano scrivere una canzone e il risultato è purtroppo visibile! E visto che sognare non costa nulla,immaginiamo un ragazzo in una balera qualunque di periferia che canta una nuova canzone tipo “La canzone di Marinella” o “Fiori rosa, Fiori di pesco”. La gente sgranerebbe gli occhi dalla sorpresa, esattamente come avevo fatto io quando ho sentito i Beatles dal vivo nel 65.

Personalmente ho notato un certo addolcimento del Rock moderno, meno propenso a esprimersi con aggressività, sia musicale sia testuale, specie in provincia. Quanto questa tendenza può essere data dal fatto che è più difficile suonare per chi sceglie strade di questo tipo? Stesso discorso per la sperimentazione. Chi osa e cerca veramente di essere originale ha meno chance e porte cui bussare?
Massimo: il Rock moderno non esiste! Non c’è più Rock, tantomeno in Italia! Dico sempre che il Rock non è una chitarra “distorta”. Il Rock è una filosofia di vita. Il Rock, quello vero, aveva testi dissacranti, quasi pornografici. Simulavano l’orgasmo! Quello di oggi è vile Pop mascherato con chitarre “power” che simulano il SUONO del Rock ma che Rock non è. La responsabilità dei nuovi “mostri” sacri attuali è grave! Loro (forse) sanno la verità ma se ne guardano bene dal divulgarla. C’era molto Rock nelle canzoni di Bob Dylan, anche se non c’era “rumore”. Oggi c’è molto rumore per nulla! A mio parere Vasco è più rock di quello che scrive.

Nel testo, a un certo punto, fate una lunga carrellata di artisti italiani, da Vasco a Grignani. Mancano però nomi nuovi. Chi sono gli artisti che, seguendo la strada indicata nel manuale, oggi possono dirsi delle Rockstar? Intendo artisti giovanissimi.
David: dipende sempre dal concetto di “Rockstar”. Se con questo termine intendi il successo e il conto in banca, direi che ce ne sono parecchi di esempi, oggi. Come diciamo nel libro però, il successo non si misura in una stagione. Bisogna ragionare in anni. Abbiamo inserito una lunga carrellata di vincitori dei due talent televisivi più seguiti: è curioso leggere i nomi delle prime edizioni e vedere, in chi ti sta di fronte, l’espressione tipica del “non l’ho mai sentito”. C’è poi qualche altro vincitore che è finito a fare spot per operatori di telefonia mobile. Nomi nuovi non sono citati nel manuale semplicemente perché riteniamo sbagliato prendere ad esempio una carriera magari di due, tre o quattro anni. Se ragioniamo in questi termini, la vera sfida sarebbe decidere chi lasciare fuori. Il concetto di “Artista” è molto più ampio: “è uno stato genetico immodificabile” che prescinde dal look e dal successo.

Massimo: ho letto qualche giorno fa su un quotidiano che presto uscirà un film sulla vita e il successo di Marco Mengoni! Come Jim Morrison dei Doors! (ride ndr)

Perché la musica di qualità, che si tratti di Rock, Musica Leggera o Avanguardia, fa cosi fatica a emergere e attecchire?  Di chi è la colpa della mancanza d’interesse del pubblico per la qualità ma anche per la novità, sia nella musica sia nei nomi?
David: dipende dal grado di attenzione. Oggi solo una minoranza silenziosa ha l’interesse di approfondire un concetto per arricchirsi. La maggioranza è tracotante, rumorosa. Viaggia in terza corsia con gli abbaglianti accesi e suonando il clacson per sorpassare.Siamo tutti costantemente disorientati da mille stimoli. In un contesto di questo tipo, chiunque voglia affermarsi deve urlare più degli altri e utilizzare l’unico mezzo che consente di farsi notare in poco tempo: la televisione. E siccome l’interesse è poco, l’approfondimento nullo, l’affezione inesistente, il pubblico non potrà far altro che spostarsi sulla prossima novità.

Massimo: David ha espresso bene il concetto. Aggiungo solo che ogni anno nel nostro paese ci sono quindici milioni di download di suonerie stupide e banali. È la cultura, il massimo comun denominatore della qualità della vita di un popolo. È un problema anche politico.Vivere senza cultura è come affrontare il polo nord con le infradito!

Supponiamo che 1000 cantanti leggano il vostro libro. Quanti di questi pensate onestamente che possano seguirne i dettami? E quanti riusciranno veramente a suonare senza dover fare altro nella vita?
David: su mille che lo leggeranno, mille lo faranno proprio. Di questo sono convinto.Non è facile avere il tempo di leggere oggi. E quindi, chi si prende l’onore di acquistare un libro, significa che è già mentalmente predisposto a investire del tempo su se stesso. Basta solo un concetto, uno solo, che sia rimasto e per me sarà già un enorme successo.

Massimo: David è molto ottimista e voglio esserlo anch’io! Però resta il fatto che statisticamente i giovani non leggono giornali né libri tranne quelli di Fabio Volo! Speriamo almeno nei musicisti e nei cantanti “contaminati” dalla “Scimmia”!

Nell’ultima parte del libro, parlate della figura dell’artista, in musica, ma sembrate tenere fuori tutta una serie di tipologie come gli sperimentatori (quest’anno non posso che citare i Nichelodeon, i Deadburger, gli InSonar as esempio) che, raramente riempiono stadi o scrivono “canzoni”. Ci vorrebbe un altro manuale per chi vede la musica sperimentale come la propria strada?
David: il libro va proprio in questa direzione. Non esiste un prototipo di artista o musicista. Nel libro citiamo l’”olimpo degli dei”, volutamente scritto in minuscolo, per indicare quel luogo cui tutti aspirano. L’olimpo non è un QUANDO – quando sarò famoso -, ma un DOVE, proprio per indicare che il successo nasce da noi stessi e non da fattori esterni, come la riconoscenza del pubblico. Grazie all’esperienza di Massimo, abbiamo descritto situazioni di vita vissuta. Di com’era la musica quando esisteva ancora un percorso artistico. Di com’è diventata oggi. Chiunque faccia “ricerca”, sia essa sperimentale o tradizionale, sposa la filosofia di “Rock The Monkey!”, perché è alla Scimmia della Musica che noi guardiamo, non al linguaggio utilizzato. Per questa ragione, stiamo organizzando seminari nelle scuole (non solo di musica): a febbraio saremo in due eventi in una delle più importanti scuole milanesi, davanti a ragazzi di medie e liceo. E in futuro vedo benissimo una collaborazione con chiunque sperimenti percorsi alternativi di musica, anche in queste occasioni di “testimonianza” per i giovani.

Massimo: concordo con David e ribadisco che il successo è dentro di noi. Cioè tutte le volte che riusciamo a “catturare” nel buio cosmico un gruppetto di note che insieme formano una grande melodia. Anche Battisti era uno sperimentatore, ma è stato anche un artista molto popolare. Sperimentare non vuol dire “ora faccio qualcosa che capiamo in pochi”. Questo è bieco provincialismo!

Grazie mille della disponibilità.
Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto. Poi, se volete, rispondetemi.
David: cito due frasi di Rock The Monkey! a me particolarmente care: “Se sarai tu a cullare la scimmia, avremo vinto” e “tutto il resto è da raccolta differenziata”.

Massimo: ma chi è ‘sto Massimo Luca?

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Cinema Bianchini – Qualche Santo Sarà

Written by Recensioni

La prima cosa che penso quando ascolto “Qualche Santo Sarà” è Jovanotti. La seconda è Grignani. Non perché i Cinema Bianchini siano assimilabili a quello che fanno Lorenzonenazionale o Gianlucatroppobelloperaverecervello; piuttosto perché se da oltre un decennio due riconosciuti campioni di stecca senza tavolo da biliardo, continuano a sfornare dischi che suonino, non dico vocalmente aggraziati, ma quantomeno intonati vuol dire che intonare una linea della voce anche artificialmente (con le immani possibilità del software musicale di nuova generazione) non è così poi difficile. In pratica il discorso è: se addirittura Grignani, da cui ho sentito dal vivo assassinare (oltre le sue, poco male) anche pezzi di Battisti che voleva omaggiare, può fare un disco intonato, ma perché i Cinema Bianchini danno alle stampe un buon disco e poi lo rovinano lasciando tutte le linee di voce stonate? Se è una scelta low profile o low fi, vorrei urlaglielo in modo incontrovertibile, è solo LOW. Anche perché a tratti le linee melodiche dei pezzi di questo sono anche più che accattivanti, sono interessanti e si lascerebbero ascoltare con piacere se non fossero tutte traballanti e incerte nell’intonazione.

Un misto tra Verdena, Timoria dei tempi di “Viaggio Senza Vento” e qualche tirata più Sangiorgesca. Non posso dire che tendenzialmente non possano piacere, posso dire che sicuramente se ne accorgerebbe anche Grignani che il cantante dei Cinema Bianchini stona come un ossesso. Peccato davvero perché anche gli arrangiamenti suonano benino e strizzano l’occhio alla tradizione anglosassone e americana con un batterista in gran forma che dà vita ad un groove danzereccio e non banale. I testi sono ben scritti e nascondono anche qualche bella frasetta da ricordare e sfoggiare con qualche tipa un po’ brilla: “Ci siamo innamorati delle crisi, ci siamo innamorati dell’amore, più dell’amore che della sostanza”. Certo, spero di aver sentito male,  ad un certo punto si sente uno strafalcione grammaticale, un “non smettavamo più” ripetuto due volte in “Mercurio”, che se è una svista è una svista da pennarello rosso nell’occhio; per non dire altro. Concludendo: per essere il primo disco completo, i Cinema Bianchini esordiscono benino, indirizzandosi al segmento dei piccoli adolescenti che si vorrebbero pure emancipare dai loro coetanei discotecari, pur senza grande impegno. Dovrebbero aggiungere all’organico della band due elementi: un Autotune e un correttore di bozze.

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