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“Diamanti Vintage” Rem – Document

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I REM,  band capitanata da Stipe,  ha già forzato i pareri critici del popolo underground americano, è riconosciuta in tutti gli stati ove ci sia un ballroom per suonare rock, in ogni piazzale di un college dove poter giostrare in santa pace accordi e melodie elettriche, ma si rimaneva comunque nel seminterrato della notorietà, ancora aggrappati al mondo degli outsider, e occorreva un qualcosa per fare il grande salto, il passo grande verso l’uscio “di casa”.
Prova e riprova arrivano ad incidere dischi di ottimo livello, ma sempre lì ad un centimetro dal tutto; l’occasione gli viene data dal produttore Scott Litt, e nasce “Document” il quinto di carriera e picco discografico che li catapulta immediatamente nel giro che conta, un disco che non suona solamente ma parla di politica e di diritti civili, un registrato che fece e fa spessore culturale oltre ogni limite di ascolto, e che tutt’ora rimane il manifesto “programmatico” dei REM per tutti gli anni a venire. Canzoni che rimangono appese alla storia del rockerama mondiale, canzoni destinate a cambiare per sempre gli obiettivi sonori dell’accademia alternativa di milioni di altre band e che praticano la libertà ed i sogni di generazioni che vogliono finalmente esibire i loro ideali di autodeterminazione.
Michael Stipe alla voce, Peter Buck chitarra, Mike Mills basso e Bill Verry alla batteria, sono un “quadrilatero” di poesia che si aggancia immediatamente ai refrain, quelle quasi filastrocche che si attaccano all’orecchio come un tic e che non se ne vanno più, e con queste nove tracce realizzano un disco il cui suono diventa il marchio e il modo di dire “suono alla REM”, il simbolo universale di una classe unica e mai contestata; pop alternativo e nomade, rock espansivo e quadrato, tutte caratteristiche che porterà la band di Athens (Georgia) a vendere cifre da capogiro, ma non si montano la testa, riescono a rimanere loro stessi convincendo chiunque con quel mood di semplicità che li contraddistingue. Document è un disco di rinnovamento, un distacco sonoro dai precedenti lavori che apre un nuovo corso ed una nuova “inquietudine” per tanti rivali e per altrettanti detrattori, ma la storia cancella tutto e rimangono nell’aria gli inni contro i privilegi e le assurdità “Finest  Worksong”, “Welcome to the occupation”, la rivisitazione del brano degli WireStrange”, oppure chi non ha mai versato una lacrima ascoltando “Fireplace” o cantato a squarciagola sudando e gioendo a mille con “It’s the End of the world as we know (and I feel fine)” e “The one I love”?   Nessuno può dire di no.

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