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Recensioni #04.2018 – Tutte Le Cose Inutili / I’m Not A Blonde / Glen Hansard / Jeff Rosenstock / Dirtmusic

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I Black Eyed Dog annunciano l’uscita del loro album in Aprile

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Da Palermo, un enorme furgone sbiadito percorre la A29, puntando come una freccia verso l’estremità più occidentale della Sicilia. Al suo interno, oltre alla vita di un paio di uomini, una miriade di cavi colorati, microfoni, trasformatori, compressori e processori di ogni sorta. Non c‘è niente di convenzionale nel nuovo album dei Black Eyed Dog. A partire dal titolo: Kill Me Twice. Il disco, interamente registrato in una casa a pochi passi dal mare nella totale dissolutezza bucolica della campagna siciliana, si avvale della preziosa produzione artistica di Mr. Hugo Race (Dirtmusic, Bad Seeds), figura di spicco nel panorama musicale internazionale da oltre due decadi, e della appassionata collaborazione di Fabio Rizzo (Waines, 800A Records). Dalla stesura dei brani, viene fuori l’ostinato bisogno di affrontare e raccontare, in maniera cruda e disillusa i temi ricorrenti e le vicissitudini della provincia italiana e non solo. I personaggi che abitano queste tracce fanno parte di un immaginario collettivo, sempre più vivido nella nostra quotidianità “3.0“. La stratificazione dei valori, la sublimazione dell‘apparire e del mostrarsi sono solo gli schizzi di una falda capace di corrodere, profonda e silenziosa, la coscienza comune, disintegrando in questo modo la purezza dei sentimenti semplici. Il concetto di manutenzione degli affetti si avvale delle più misere tecniche di seduzione, al fine di polverizzare tutto ciò che fa vacillare la sempre più disfunzionale coscienza comune. Da questo circo maldestro e viziato, prendono vita le 12 tracce che compongono Kill Me Twice, il nuovo disco dei Black Eyed Dog che segna, inoltre, il felice ritorno in casa Ghost Records. Un ritorno fortemente voluto ed atteso.

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“Heartbreaker” è il video dei Black Eyed Dog prodotto da Hugo Race

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Prodotto da Hugo Race (Nick Cave and The Bad Seeds, Dirtmusic, Fatalist) e Fabio Rizzo (800A Records), esce per Ghost Records, “Heartbreaker”, il singolo che anticipa il disco Kill Me Twice in uscita il 14/04. Registrato tra la campagna siciliana e gli 800A Studios di Palermo, il brano sfodera un incipit elettro Pop, dalle sfumature ammiccanti e sincopate, a suggellare la nuova direzione intrapresa dalla band. La regia del videoclip, presentato in anteprima su CN Live!, è di Costanza Quatriglio. Dopo il film Con il Fiato Sospeso, in cui compare il brano ‘Heather’, la regista palermitana torna a collaborare con i Black Eyed Dog.

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The Martha’s Vineyard Ferries – Mass Grave

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Grandi nomi si celano dietro quello un po’ strampalato (poi si spiegherà tutto) del progetto statunitense The Martha’s Vineyard Ferries, trio dalla potenza e dal sound unico. Ci sono la voce e la chitarra di Elisha Wiesner, già con Kahoots discreta e misconosciuta band Alt Rock del nuovo millennio. Poi c’è il basso di un certo Bob Weston. Proprio lui. Uno dei tre Shellac, tra le più grandi band Post Hardcore mai scese sul pianeta terra e la creatura più nota del genio di Steve Albini. Bob Weston, tecnico degli strumenti nel capolavoro dei Nirvana, In Utero e membro, oltre dei già citati, anche di Crush Senior, basso e tromba, Mission of Burma, tape manipulation e loops dal 2002 e Volcano Suns, basso dall’87 al 92. A chiudere il trio meraviglioso Chris Brokaw, batterista e membro di band come Come, Consonant, Dirtmusic, Empty House Cooperative, The New Year, Pullman, Snares & Kites e soprattutto Codeine, una delle più clamorose stupefazioni dello Slowcore.

La nascita della band è delle più banali che si possano trovare cercando nelle biografie dei loro colleghi. “Tutto iniziò come uno scherzo”. Sono parole che accompagnano un’infinità di progetti e anche in questo caso calzano a pennello. Tutto iniziò come uno scherzo e divenne una cosa seria quando, nel 2010, per la Sick Room Records, The Martha’s Vineyard Ferries tirò fuori il primo Ep, In The Pound. E la storia comincia. La cosa più ovvia che ci si possa aspettare, viste le premesse, è che la musica gettata in questa fossa comune sonica sia un avvicendarsi delle diverse esperienze antecedenti dei tre membri ed effettivamente sono svariati gli elementi che possiamo riscontrare nei brani che accomunano stilisticamente i The Martha’s Vineyard Ferries ora alla potenza grezza del Post Hardcore di Shellac (“Wrist Full Of Holes”), ora alle ossessioni ritmiche dello Slowcore dei Codeine (“One White Swan”). E lo stesso ragionamento è replicabile per ognuna delle formazioni tirate in ballo nell’introduzione alla recensione. Eppure il sound che disegnano i tre yankee finisce per somigliare a tutto senza sembrare nulla di preciso. In talune circostanze pare di assistere alla prigionia soffocante di uno spirito Punk Hardcore (“Parachute” e la fantastica “Blonde on Blood”, una cavalcata elettrica verso la morte) nelle gabbie liquide e mentali del Folk psichedelico (“Wrist Full Of Holes”, “One White Swan”) e del Pop (“She’s a Fucking Angel (From Fucking Heaven)”, “Look Up”). Ogni brano è essenziale, potente e semplice allo stesso tempo, con tanti riff assolutamente lineari e per nulla sperimentali, ritmiche al limite dell’ossessione ripetitiva e melodie vocali spesso azzeccatissime, tanto che non sfigurerebbero in brani più delicatamente democratici. Molto interessanti anche i passaggi più complessi (“Ramon And Sage”, “One White Swan”) nei quali la musica mostra una maggiore varietà e la voce scende in territori abissali e inquietanti, abbandonando le tonalità più alte che caratterizzano i pezzi di più facile ascolto e impatto sul pubblico più sobrio. Un disco straordinariamente robusto che ha il solo grande demerito di avere una durata eccessivamente ridotta (circa ventidue minuti), la quale finisce per mettere sotto i riflettori altre debolezze come la spaccatura netta tra le scelte mainstream di alcuni brani e gli interramenti nelle oscurità dell’Alt Rock più angosciante. Inoltre, è molto stimolante la scelta di dare una vena psichedelica alle chitarre (vedi opening track) ma la stessa non è quasi mai proposta con efficacia. Il sound, nella sua globalità, sembra avvolto in una nebbia, come se ci fosse una patina di note a oscurare l’udito; questo rende necessario diversi ripetuti ascolti affinché sparisca o meglio si trasformi in qualcosa di apprezzabile e non restare un chiaro difetto.

Un gran disco, un bel pugno a un certo modo di suonare oggi che però poteva essere una bomba, con un po’ di coraggio in più. Stavo dimenticando. The Martha’s Vineyard è semplicemente il nome dell’isola di Elisha, raggiungibile solo tramite traghetti (ferries). Come vi dicevo, anche in questo caso, basta aspettare per far sparire la nebbia che sia sonora, di comprensione o che quella fisica, fresca e bagnata che immagino possa levarsi al mattino sulle rive di un’isola del Massachusetts.

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