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Dear Baby Deer – Tryst

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C’era una volta Gianluca Spezza, co-fondatore dei Divine, valido episodio Trip Hop prodotto da Gianni Maroccolo all’ombra del CPI di Giovanni Lindo Ferretti sul finire degli anni ‘90. C’è ancora, e da quando ha incontrato Lilia si fa chiamare Dear Baby Deer. Il ritorno in auge dello Shoegaze ha generato le declinazioni più disparate di quel fenomeno musicale che in realtà all’epoca in Italia non attecchì mai compiutamente. Tryst è invece un EP che nasce dalla consapevolezza di chi abitava la scena in quegli anni e ne assimilava in tempo reale le influenze che giungevano da oltremanica, e dimostra oltretutto la giusta attenzione nei confronti del panorama contemporaneo. Mi dicono dalla regia che Gianluca sia un musico girovago, me lo immagino anche poliglotta, chissà in quale lingua si esprime, ma che importa? Sebbene non saprei bene come pronunciarlo ad alta voce, letteralmente Tryst ha un significato alquanto intrigante, “un incontro sentimentale tenuto segreto”. Per registrare questo secondo EP firmato Dear Baby Deer, Spezza sceglie un giovane studio in provincia di Teramo, il Colonnella Sound dei Two Fates, quel duo che suona come una piccola orchestra sintetica. Arricchisce il prodotto finale la voce di Lilia, abruzzese anche lei, con un onirico EP all’attivo (44) ed un concept album in arrivo. Ciò che ne viene fuori è una immersione soffice sin dal primo ascolto, come tradizione Shoegaze impone, con un orecchio memore delle lezioni Alt Rock italiche di Scisma e Ustmamò, e l’altro proiettato al futuro dettato dal Dream Pop di recenti esperimenti internazionali (Daughter, M83). Si spazia dalla title track, di inclinazione prepotentemente Rock ma ovattata con cura, ai sussurri sintetici di “You Don’t Know”, con le voci di Lilia e Gianluca che si rincorrono tra i beat (“Things in Rain”), il tutto intriso di una miscela Elettronica morbida e ben calibrata che scivola spesso ammiccante in territori 80’s. Discreto e ammaliante questo gradito ritorno che lascia ben sperare per il futuro.

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Top Ten 2013. La classifica generale della redazione di Rockambula

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TRIPWIRES

Come I nostri lettori più affezionati avranno capito, il 2013 è stato per Rockambula l’anno della svolta. Abbiamo ampliato il numero e la tipologia di recensioni, cercando di tenere sempre altissimo il livello qualitativo. Soprattutto, però, Rockambula si è aperta sempre più alle proposte internazionali, dedicando buona parte della vetrina al meglio che il Rock mondiale ci propone col passare dei mesi. Logica conseguenza di questa apertura dei confini è la prima classifica di redazione, la Top Ten Internazionale, che anticipa le classifiche del nostro caporedattore e le consuete Top 3 italiane dei singoli redattori.

La Top 10 proposta dalla nostra redazione sarà per voi una sorpresa, perché in fondo lo è stato anche per noi. Nessuno si sarebbe aspettato probabilmente di vedere in testa l’esordio dei Tripwires, band britannica a metà tra Shoegaze e Britpop e in pochi avrebbero scommesso sul podio del musicista, regista e compositore francese Yoann Lemoine, in arte Woodkid, anche lui all’esordio con The Golden Age. Cosi come è assolutamente inaspettato il terzo posto del duo tutto femminile, Lilies on Mars, italiane ma londinesi di adozione. Una classifica variegata e bellissima, che propone dunque ottimi esordi (da non tralasciare quello dei Daughter) ma anche conferme eccelse come quelle dei Vampire Weekend e degli Arcade Fire, senza dimenticare vecchie glorie che dimostrano di avere ancora tanto da dire e di sapere ancora come dirlo. Dai Pearl Jam, al sensazionale ritorno dei My Bloody Valentine, dal clamore meritato per i Daft Punk fino all’immortale Paul McCartney. Fuori di pochissimo These New Puritans e David Bowie.

1.    Tripwires – Spacehopper (Uk / Shoegaze, Britpop)

2.    Woodkid – The Golden Age (Francia / Chamber Pop, Art Pop)

3.    Lilies on Mars – Dot to Dot (Uk, Italia /Alt Rock)

4.    Pearl Jam –  Lightning Bolt (Usa / Alt Rock, Grunge)

5.    Vampire Weekend – Modern Vampires of the City (Usa / Indietronica)

6.    Daughter – If You Leave (Uk / Art Pop, Dream Pop)

7.    My Bloody Valentine – M B V (Irlanda / Shoegaze)

8.    Arcade Fire – Reflektor (Canada / Art Pop, Pop Wave)

9.    Daft Punk – Random Access Memories (Francia / French House)

10.  Paul McCartney – New (Uk / Pop Rock)

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Daughter – If You Leave

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È pieno inverno nel disco d’esordio dei Daughter, uno di quegli inverni che arrivano all’improvviso a spaccare mani e labbra dal freddo, e che sembrano non volersene più andare. “Winter comes, winter crush all of the things that I once loved” canta Elena Tonra in “Winter”, prima traccia di If You Leave, ma non è il canto disperato di chi vede scomparire il suo mondo sotto una spessa coltre di neve. La voce rimane pura, dolcezza e delicatezza conferiscono un tono più soft ai momenti tormentati della vita ampiamente trattati nei testi nell’album, non per sminuirli, ma per renderli semplicemente più leggeri; neve in gennaio che cade lenta e si appoggia, non raffiche di vento che spazzano via tutto.

È un inverno di un bianco minimalista quello dei Daughter, la chitarra di Igor Haefeli non si perde mai in inutili virtuosismi. Il silenzio leggero delle cose si palesa sotto la forma di un suono essenziale e pulito che crea un’atmosfera intima e raccolta con momenti di slancio, certo, (vedi il crescendo con cui si sviluppa “Smother”, vedi le distorsioni nella seconda parte di “Lifeforms”) senza però mai raggiungere momenti di esasperazione. Stesso discorso vale per la batteria di Remi Aguilella, mai protagonista assoluta; con la sua precisione ritmica preferisce spesso mettersi da parte (come nella prima parte di “Youth” ed in molti altri brani) piuttosto che rovinare l’armonia del tutto con un suono invadente.

È come un’ eco continua il disco dei Daughter , una presenza costante a volte più accentuata, a volte poi meno potente, sempre presente ma mai impattante. Un sottofondo, un sussurro, un respiro, ottenuti con effetti di riverbero ed estensioni del suono che conferiscono all’intero album un’atmosfera intima, profonda, ereditata probabilmente dai Bon Iver ma accentuata, rispetto a questi ultimi, dalla presenza della voce femminile di Elena Tonra, molto vicina a quella di Cat Power, intensa ma allo stesso tempo quasi al di sopra dei turbamenti che canta.

È un disco pieno di puntini di sospensione quello dei Daughter, per l’attimo di stupore che lascia al primo ascolto e per il futuro del trio, che se seguirà le orme del loro album d’esordio sarà sicuramente da tener d’occhio.

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Natasha Khan e Jon Hopkins insieme per “Garden’s Heart”

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L’incantevole cantautrice di Wembley, Natasha Khan, conosciuta come Bat For Lashes si unisce al produttore e artista londinese Jon Hopkins, maestro anni zero dell’elettronica minimale per realizzare un singolo dal titolo “Garden’s Heart”, che mette in mostra gli aspetti più ambient e dream pop dei due. Il brano sarà parte della colonna sonora (che conterrà anche pezzi di Nick Drake, Daughter, Fairport Convention, Amanda Palmer) del nuovo film del regista scozzese Kevin MacDonald, “How I Live Now”, la cui anteprima è prevista a breve al Toronto Film Festival.

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