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Live Music Is Not Dead! Si può ancora proporre musica dal vivo in Italia senza ricorrere a Cover Band o Dj? Parte seconda. Intervista ad Aldo Minosse del Pin Up.

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Nella prima parte del mio articolo Live Music Is Not Dead! mi sono chiesto quale potessere essere il problema della musica dal vivo in Italia e quali le principali difficoltà che devono affrontare le band per proporsi in esibizioni live. Ho cercato di inquadrare tutti i punti di vista dei diversi soggetti interessati ma la soluzione sembra più complessa del previsto.Per questo, ho deciso di intervistare Aldo Minosse del Pinup, giovanissimo locale che propone musica dal vivo di altissima qualità e che si sta prepotentemente ritagliando un ruolo notevole nella scena del centro Italia. Cerchiamo di capire con lui se si può e come si può dare ancora spazio alla musica “da palco”.

Ciao Aldo. Per prima cosa, come stai?
Bene grazie, ti volevo ringraziare per l’opportunità che la tua zine ci da.

Racconta ai nostri lettori chi è Aldo Minosse.
Io sono stato sempre un appassionato di musica, negli anni 80 organizzavo concerti metal, poi dal 1998 per quattro anni ho curato la direzione artistica dell’Indhastria, rock club di Giulianova dove sono passati nomi importantissimi della scena musicale italiana e straniera a memoria: Afterhours, Subsonica, Andy White, La Crus, Max Gazze, Daniele Silvestri, Bonnie Prince Billy, Sophia, Bandabardò, 24 Grana, Sud Sound System, Massimo Volume, Extrema, Linea 77, Fuck, Six by Seven, Toshack Highway, esordirono da noi i Perturbazione e poi tantissimi gruppi underground. Poi ho continuato a coltivare la passione dell’ascolto e ad andare ai concerti, e da quest’anno sono ripartito con questa nuova impresa.

Raccontaci come e quando è nato il PinUp. Quanti siete a gestirlo e quanti dipendenti avete?
Il Pinup è un progetto che risale ad paio di anni fa, ma che sì è materializzato il 15 dicembre 2112, c’è una proprietà e nelle varie attività siamo circa quindici le persone impegnate.

Una delle tante cose che mi hanno colpito è l’organizzazione praticamente perfetta. C’è un preciso organigramma che vi permette di svolgere ognuno il suo compito? Come vi organizzate?
Si, le attività sono divise per reparto, ci sono delle riunioni settimanali e si pianificano gli impegni successivi.

Il locale è in un vecchio capannone. Splendido esempio di recupero industriale il vostro. Cosa c’era in quel posto prima di voi? La sua riconversione ha migliorato l’identità produttiva intellettuale/culturale ed economica della zona?
Fino a cinque anni fa c’era un mobilificio, Per quanto riguarda la seconda parte della domanda dobbiamo aspettare ancora un po’, si tratta di una zona industriale, con molti capannoni. Sicuramente ci sono quindici persone che guadagnano qualcosa in un Iuogo che prima non produceva nessun tipo di ricchezza.

Perché avete scelto di aprire un locale che promuova la musica dal vivo? Non avete avuto paura di fallire, vista la difficoltà di tali locali specie in Abruzzo oppure di dover scendere a scomodi compromessi?
Abbiano fatto questa scelta perché innanzitutto siamo delle persone che amano la musica ed i concerti, abbiano sempre creduto che dalle nostre parti mancasse un luogo che potesse ospitare dei live organizzati in modo professionale e dove l’artista avesse a disposizione una struttura progettata appositamente per i concerti, palco otto metri per sei, impianto Meier residente, mixer sala e palco analogici o digitali come da richiesta da parte degli artisti. Con zona scarico strumenti dietro il palco e camerini con tutti i comfort. A questa passione per la musica dal vivo si è unita quella per la birra, a quel punto abbiamo deciso di metterle insieme. Alla base di questa scelta c’è una forte motivazione a investire sulla musica dal vivo, chiaramente quando si intraprende un’attività in un periodo di crisi come questo si ha sempre paura. Ovviamente non si è trattato di un salto nel buio, è stata fatta un’ analisi di fattibilità dalla quale è emersa la mancanza di un club di grandi dimensioni nel centro sud.

Che rapporto c’è tra la vostra struttura e la gente e le istituzioni del posto? Quanto vi hanno aiutato?
Siamo situati un una zona industriale, quindi intorno abbiamo delle fabbriche che quando noi lavoriamo, il sabato di notte sono deserte, quindi diciamo che non c’è una grande interazione, la cosa comunque è stata voluta proprio per evitare di andare incontro a problemi di rumore che si incontrano nei centri abitati. Le istituzioni sono coscienti delle difficoltà che ci sono nel mondo del lavoro, e quindi hanno colto l’occasione di poter riqualificare una struttura in disuso.

Quale è stato l’episodio più bello capitato in questi ultimi mesi? E quello che vorreste dimenticare il prima possibile?
Non ci sono episodi particolarmente negativi, belli tanti. Da fan la possibilità di incontrare J Mascis che chiede una bici per fare un giro e quindi…panico… nessuno di noi aveva una bici a portata di mano, alla fine abbiamo recuperato una vecchissima mountain bike di mio padre e lui “That’s cool”. Personalmente le espressioni di contentezza di tutti i ragazzi e ragazze davanti ai loro musicisti preferiti.

Ora che ci siete di nuovo dentro, avete capito perché la musica dal vivo è in forte declino in Italia? Colpa del pubblico, colpa vostra o colpa degli artisti? Perché artisti come Zamboni o Basile a Pescara, a ingresso gratuito, hanno fatto un pubblico di 10/20 persone?
La musica dal vivo a nostro avviso non è in forte declino, altrimenti non avremmo fatto questa scelta. Bisogna analizzare caso per caso, ci sono in effetti artisti che non riscuotono il successo che meriterebbero e le motivazioni, a mio avviso, sono molteplici e lunghe da illustrare.

Cosa ti senti di consigliare a un ragazzo che ama la musica e decida di aprire un locale?
In questo momento sinceramente dovrebbe guardarsi bene intorno e se dalle sue parti non esistono proprio situazioni che organizzano, trovare altre persone e cooperare per creare qualcosa di nuovo, altrimenti se esistono già delle situazioni, prima di tutto collaborare e imparare dalle strutture esistenti.

Da voi sono venuti artisti come Ministri, Ferretti o Dinosaur Jr. Scusa la domanda. Non sei obbligato a rispondere. Quanto vi costa il cachet di un artista di quel calibro? Riuscite a ripagarlo con consumazioni e ticket?
I cachet variano da musicista a musicista. Unitamente alla promozione effettuata dal loro ufficio stampa, noi pubblicizziamo al massimo l’evento sul nostro territorio. Quest’anno la risposta del pubblico, nel complesso, e’ stata positiva. In qualche caso   la serata è andata particolarmente bene, in altri abbiamo coperto le spese, in altri, per fortuna pochissimi, l’incasso e’ stato inferiore rispetto alle spese.

Come valuti l’esperienza del Pin Up fino ad oggi? Come ti è parsa la risposta del pubblico?
Si tratta di una esperienza bellissima e il pubblico, in questa prima stagione, ha risposto con grande entusiasmo.

 I Dinosaur Jr non hanno fatto il tutto esaurito. Vi aspettavate di più?
I Dinosaur Jr hanno fatto 3 date in Italia, Torino, Mosciano e Roma. Il numero di presenti e’ stato all’incirca lo stesso nelle 3 città, e questo per noi è stato motivo di grande soddisfazione. Le nostre aspettative sono state soddisfatte, essendo i Dino un pezzo importante della storia della musica alternative statunitense, ma non conosciuto dai giovanissimi.

In cosa dovrete migliorare?
Gli aspetti da migliorare ci sono sempre. La priorità della nostra agenda va al perfezionamento dell’acustica del locale.

Con i Dinosaur Jr il Pin Up va in pausa estiva. Cosa state organizzando per l’estate?
Per questa estate stiamo lavorando su qualche sorpresa, ma non possiamo al momento dare anticipazioni. Vi faremo sapere a breve.

Cosa ci sarà nel futuro del Pin Up?
Tanta musica dal vivo e artisti di valore, sia nazionali che internazionali.  Grazie!

Non sò se voi avete le idee più chiare ma io certamente ho capito una cosa. La prima cosa che conta è comunque l’amore vero (non a parole) e incondizionato per la musica che spesso manca agli addetti ai lavori (gestori ma anche musicisti) e c’è una risposta di Aldo in particolare che lo dimostra. Indovinate quale?

 

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Live Music Is Not Dead! Si può ancora proporre musica dal vivo in Italia senza ricorrere a Cover Band o Dj? Parte prima.

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Come vi sarete resi conto, se da un lato è sempre più facile proporre la propria musica grazie a facebook, youtube, soundcloud, spotify e tutte le diavolerie del web a costo (quasi) zero, l’aumentata concorrenza sembra ridurre le possibilità per gli addetti ai lavori di riuscire a organizzare eventi e concerti di medio-alta qualità e interesse guadagnandoci anche qualcosa. Il pubblico è sempre meno interessato ai live e si limita o ai grandissimi nomi da stadio o alle cover band di paese, poco impegnative sia per chi paga (band o biglietto) sia per chi ascolta. Chi fa musica propria e non ha ancora la fortuna di essere stato invitato al Circolo fatica anche a chiedere 200/300 euro per percorrere 800 chilometri e dormire in furgone (questa cosa è comunque utile per evitare che si freghino tutto; vedi gli ultimi Fast Animals And Slow Kids). Di solito la risposta tipo è: “Vi diamo da mangiare e una birra a testa prima di iniziare; poi se la serata va bene, possiamo aggiungere un’altra birra a testa e se la serata dovesse andare molto bene (come consumazioni, chiaramente!) allora si possono aggiungere altri cinquanta euro”.

Di chi è la colpa se ci sono sempre più cover band e sempre meno artisti veri? Se suonare sul serio è diventato impossibile sempre che non ci si voglia rimettere? Di chi è la colpa se sono sempre meno i locali che danno spazio alla musica (che non siano cover band o Dj)?
C’è chi se la prende col pubblico e non a torto. Ormai sono in pochi gli appassionati veri, quelli che ancora amano cercare, scavare, provare, sperimentare. Gli altri sono esattamente com’erano i loro tanto criticati genitori. La musica è solo quella che ascoltavano a vent’anni e lì sono rimasti. Vanno felici con le loro t-shirt ancora sporche di sudore adolescenziale ai concerti dei vecchi dinosauri e si divertono a parlare male delle band emergenti che neanche conoscono. Oppure sono totalmente in balia dei media, Mtv su tutti, e vivono la musica come un continuo intervallarsi di jingle pubblicitari.

Ma poi è anche colpa di chi suona in queste cover band. Spesso, gente dalla tecnica mediocre che a furia di ripetere lo stesso pezzo di Vasco per anni ha dimenticato anche quelle poche cose che sapeva sulla chitarra. Perché lo fanno? Per amore verso un artista? Per vanità? Perché è l’unico modo per farsi pagare un cachet decente?
Altro grande accusato è “il gestore del locale”. Strana bestia. Spesso di musica non capisce nulla ma ha un locale “Rock”. Per una band emergente, fatta di persone capaci, che hanno sudato tanto e messo l’anima nei loro pezzi, può offrire un pasto e le consumazioni ma per una cover band o un fake/new Dj (sono questa nuova specie di Dj che in realtà si limita a far girare casualmente pezzi presi da cd masterizzati o direttamente dal proprio Hard Disk. Siamo anche tu ed io, in fondo) che spesso (ma non sempre, siamo sinceri) hanno cultura musicale inadeguata e scarsa voglia di reale ricerca, ne hanno di soldi da spendere. Colpa loro? Anche loro “tengono famiglia” e sono Dj e Cover/Tribute band che gli riempiono il locale.

In realtà, forse è anche colpa di chi suona pezzi propri da due giorni e chiede duecento euro quando io a vent’anni avrei pagato per suonare.
Alla fine ti accorgi che sembra colpa di tutti e quindi non è colpa di nessuno. Ognuno di questi punti meriterebbe una serie di considerazioni a sé ma…

…ma poi capita che ti ritrovi in un paesino d’Abruzzo chiamato Mosciano Sant’Angelo in provincia di Teramo e t’imbatti in un locale (il Pin Up) spettacolare, nuovo ma dallo stile vintage. Grande tanto quanto il Circolo degli Artisti. Perfetto esempio di recupero industriale. Gestito alla perfezione e capace di portare in terre tendenzialmente dimenticate dai grandi nomi artisti come Giovanni Lindo Ferretti o Dinosaur Jr. E allora mi chiedo. È ancora possibile credere alla musica, quella vera? Perché un locale come il Pin Up ci riesce e gli altri no? C’è ancora chi va ai concerti e non solo a quelli strapubblicizzati. Si può fare…allora!

Invece che sparare cazzate l’ho chiesto direttamente ad Aldo Minosse, uno dei gestori del Pin Up. Nella seconda parte dell’articolo, che sarà pubblicata la prossima settimana, troverete l’intervista.

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Il Tributo da Pagare – Seconda Parte

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La seconda persona che mi sento di coinvolgere in questo delicato argomento è una giovane ragazza, fan allo sfinimento degli Aerosmith. Chiacchierando con lei dopo un concerto, scopro che segue da tanti anni una band tributo dei rocker di Boston: i Big Ones.

Da dove viene questa passione per una tribute band? Cosa spinge una ragazza infognata per un supergruppo a seguire i suoi “cloni”? Se la musica è arte cosa c’è di artistico nell’imitazione?
Intanto non parlerei di cloni, a me dà l’idea di un gruppo che scimmiotta senza personalità (e magari anche male) il gruppo a cui vuole rendere omaggio. Non è questo il caso… Il motivo che mi ha spinto a seguirli come tributo è molto semplice: la possibilità di sentire dal vivo la musica dei miei idoli, che purtroppo dalle nostre parti non vengono tutti i giorni, e soprattutto di sentirla suonata bene. Loro non si limitavano a ricreare il sound degli Aerosmith tale e quale, ma ci mettevano anche qualcosa di loro, arricchendolo. Anche questo è fare musica secondo me ed è una qualità. Si sono fatti un nome e un seguito suonando ovunque, ma i Big Ones sono la dimostrazione che si può andare oltre, quando si hanno le capacità e la qualità, che in Italia c’è anche spazio per la musica originale, scoprirete perché…

Quando e come hai scoperto i Big Ones? Cosa ti ha attratto di più? La somiglianza sonora o quella visiva? Che peso hanno questi due componenti in una valida tribute band? Non è un po’ ridicolo vedere un sosia sul palco? Ci sono già i programmi di Gerry Scotti per questo…
Si parla di quasi 7 anni fa. Ne avevo già sentito parlare, ma ero estranea all’epoca al mondo del live, così andai a sentirli a una festa della birra, ero molto curiosa. Ero da poco reduce da due concerti degli Aerosmith. Quella sera, fin dalle prime note, mi è sembrato di rivivere ancora i momenti di qualche mese prima, ero completamente coinvolta da quello che stavo ascoltando. La somiglianza visiva non è stata la prima cosa a colpirmi. È ovvio che abbia il suo peso, basta che non si arrivi al ridicolo, quando si vuole imitare troppo, scimmiottare. Ci va personalità, anche musicale, ed è proprio quello che hanno i Big Ones. È tutto un insieme di qualità che li rende unici.

Fino a dove ti sei spinta a seguire questa band? Quanti concerti e quanti kilometri hai macinato per loro?
In 7 anni direi che qualche chilometro per tutta l’Italia l’ho macinato e ne farò ancora molti! Sono andata anche qualche volta all’estero. Non tengo il conto di quanti concerti abbia visto, ma credo di aver superato quota 100.

Ho saputo che da qualche anno i Big Ones hanno iniziato a comporre musica propria con un discreto successo. Non rischiano che la gente vada a sentirli sperando che suonino “Rag Doll”? Tu che li conosci bene, come sono i loro fan?
Sì, dal 2009 portano avanti con successo un progetto di brani originali in italiano, sono usciti due album distribuiti dalla Warner. Sono stati scelti per comporre la colonna sonora di un film a breve in uscita (“Sarebbe Stato Facile”), di cui farà anche parte il brano “Io Mi Perderò” con musica e parole di Maurizio Solieri, che ha voluto fossero proprio i Big Ones a arrangiare e interpretate il suo brano. Per altro, di questa canzone, verrà girato pure un video.

La gente che li conosce lo sa e, anzi, ai concerti vuole sentire i loro brani originali. Chi li conosce un po’ meno magari viene per sentire “Rag Doll”, ma quando ascolta un loro brano rimane comunque entusiasta, si incuriosisce, ne vuole sapere di più. C’è da dire che il rispetto e la stima per gli Aerosmith c’è sempre, è anche grazie a loro se sono arrivati dove sono ora, ma in ogni caso chi viene ai loro concerti è sempre contento ed è questo l’importante per una band credo, senza i fan è difficile andare avanti. E i sostenitori dei Big Ones aumentano sempre di più!

Non mi resta che lasciare le parole alla musica. Guardate qua e sbizzarritevi.

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Il Tributo da Pagare – Prima Parte

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Non so quante volte vi sia capitato di andare ad una festa della birra o in un qualsiasi pub con un palchetto sgangherato e vedere un tipo goffo, con cappello militare e occhiali zarrissimi imitare Vasco Rossi muovendo le mani e sparando “eeeeh” a raffica. Circondato per altro da musicisti ipertecnici e da gente di tutte le età che echeggia gli “eeeeh” a gran voce.
Beh a me un paio di volte è capitato. E in questi casi ti chiedi “Perché?” In realtà di perché io me ne chiedo proprio tanti. Perché deve essere così idolatrata una maschera? Perché un musicista dovrebbe aver lo stimolo per replicare assoli già scritti e assimilati da miriadi di altoparlanti? E soprattutto: perché un ragazzo, una famiglia, un fruitore qualsiasi di musica popolare, dovrebbe trovare interesse in una tribute band? E perché capita così spesso che la curiosità di conoscere musica nuova venga in questa maniera prontamente abortita?
Suonicchiando in giro da ormai dieci anni (pezzi inediti, ma sì, lo ammetto, anche tante cover!) ho cercato più volte la risposta. E spesso la più sensata mi è stata fornita da gestori dei locali: “Mi spiace ma in questo club girano solo le cover band. Sai com’è, all’italiano piace cantare”.
Ora ho voluto scavare un po’ più a fondo e affrontare i miei dubbi e dilemmi facendo quattro chiacchiere con due personaggi che in questi anni di musica dal vivo ho avuto la fortuna di conoscere nei paraggi del palco. Il primo è Kikko Sauda, simpaticissimo e solare ragazzone di Imperia, cantante della Combriccola del Blasco, sosia impressionante del rocker di Zocca. Ma fidatevi che lui (vi piaccia o no) non è certo tipo goffo, ci sa fare eccome e ammalia piazze intere da anni. Ma questo a Rockambula non basta. Tartassiamolo di domande…

Ciao Kikko, benvenuto su Rockambula! Beh la prima domanda pare scontata. Perché proprio l’inflazionatissimo Vasco? Da dove nasce questa irrefrenabile passione? E questa somiglianza? Sii sincero, hai usato trucchetti chirurgici…
Ahah trucchetti estetici! Intanto onoratissimo di essere qui su Rockambula x questa stuzzicante intervista. Inflazionatissimo? Oggi sicuramente ma quando ho cominciato 14 anni fa un po’ meno. Oggi infatti, le tribute band a Vasco nascono come i funghi e spesso si può incappare in personaggi goffi come descrivete nell’articolo. Io comunque non sono né un cantante né un musicista, mi definirei più uno show man anche se a cantare me la cavo (con i miei limiti eh).
All’eta di 5 anni già mi esibivo in piccoli spettacoli facendo le imitazioni di questo e quest’altro cantante o personaggio dello spettacolo, la scaletta includeva anche il clown. Crescendo il timbro vocale, l’indole e approccio filosofico alla vita mi hanno avvicinato più a Vasco o forse hanno avvicinato lui a me…può essere che sia lui che mi imiti! (Kikko se la ride). Quindi io sono uno di quelli che ha scelto una strada facile e immediata per salire su un palcoscenico, perché è il posto dove mi sento più a mio agio, a me familiare e più naturale. Si naturale, anche se interpreto un grande personaggio, è come una parte per un attore, però poi sul palco ci sono io!! Amo star li e coinvolgere il pubblico, do e ricevo tantissimo.

Riuscite con questo progetto a riempire le piazze e i club. Come vive una tribute band come la tua? Riesci a sostenerti economicamente con la musica live?
A questa domanda non posso rispondere x motivi fiscali….He he.
Dal momento che, tranne qualche piccola collaborazione, non lavoro con agenzie, per me questo è un lavoro anche quando non sono sul palco. Quindi la mia professione dopo 14 anni, dipende dallo show che fai e da quello che ci sta dietro.

Chissà quanti ti hanno detto: “Pazzesco è uguale”. Che rapporto c’è con il pubblico che viene a sentire i vostri concerti? Non trovi un po’ una presa in giro che la gente venga ad ascoltarti perché ama quello che in realtà non sei?
Vedi, ai miei concerti vengono per lo spettacolo che faccio, o meglio che facciamo con questa meravigliosa band. Vengono per me e me lo dicono. Fidati è bellissimo, mi dicono: “veniamo da anni perché ogni concerto è diverso dall’altro e riesci, riuscite ad emozionarci sempre!”
Poi io improvviso sempre e lo fa pure la band. Sopratutto il chitarrista solista (per altro molto amato dal pubblico) improvvisa parecchio. Anche se facciamo un tributo non sentirai mai un solo identico nota per nota, ce ne fottiamo e ci mettiamo del nostro! Insomma ci divertiamo!!

A cosa mira il tuo show? Puro divertimento o c’è qualche pretesa in più? E’ vero che all’italiano basta staccare il cervello e cantare “Albachiara”?
Ma non so se sia solo l’italiano. Penso che quando fai uno show che emoziona la gente, puoi cantare quello che vuoi: italiano, russo, americano. “Albachiara” o “Quel Mazzolin di R,ose”… Vedo che ai miei concerti la gente stacca con la realtà si diverte, sta bene e canta e oggi come oggi c’è sempre più bisogno di staccare dalla realtà.
Riguardo alle aspirazioni le tribute band hanno ovviamente dei limiti proprio perché molto inflazionate. Viviamo già grazie a locali e piazze piene e ad anni di gavetta una nostra realtà e, certo, con il nostro cachet. Io ho sempre molte idee e progetti per staccarmi dalla massa, alla prossima intervista magari parleremo di un tour. Che vi piaccia o no: “Io sono ancora qua! Eeeeh già!”

Ti è mai venuta voglia di essere “te stesso” e smarcarti dall’ombra di Vasco? Scrivere la musica tua, le tue emozioni. Non è avvilente per un musicista suonare solo cover e non poter mai esprimere il proprio talento? Non dovrebbe essere nella creazione il vero traguardo di un musicista?
Domanda con il coltello tra i denti si sente che è un musicista che la formula… Vedi con canzoni mie son arrivato due volte alle selezioni finali del Festival di Sanremo. Poi la somiglianza anche solo fisica con Vasco, in questi casi, penalizza. Non per essere ripetitivo, ma comunque quello che faccio mi emoziona al di là di fare una cover, mi diverto e sto bene in mezzo al mio pubblico. Tutto il resto è noia (un omaggio al Califfo!). Ciao a tutti!

(…prosegue…)

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