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Elli De Mon – Elli De Mon

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Elli de Mon, già “anima Folk” dei Le-Li, con cui ha girato Italia e Europa e pubblicato due dischi e un EP su Garrincha Dischi, arriva a questo primo lavoro solista con l’intenzione di esorcizzare il proprio demone interiore scatenando, libera e cupa, la voglia di Blues che il gruppo contribuiva a tenere in stand-by. L’omonimo album è quindi un concentrato di Folk scuro, Blues ossessivo, sporco, dai suoni ruvidi e dall’andamento ondeggiante, con versi ripetuti come “mantra autoreferenziali attraverso i quali liberare la mente”. Mettere in scena l’anima solitaria e oscura attraverso il Blues (soprattutto questo Blues, dall’impianto Garage, con uno spirito quasi Punk e una rappresentazione a bassa fedeltà che ci dà l’idea di un racconto attorno ad un fuoco, sì, ma di rifiuti urbani) è un gioco che riesce sempre bene, e, complice la semplicità (relativa) di realizzazione, un gioco che viene tentato sempre più spesso.

Non che sia un male: il bello del Blues è di saper essere intrigante anche nella ripetizione. Sempre uguale a sé stesso, ma sempre diverso; la stessa maschera, le stesse movenze, ma labbra (e anime) diverse che possono dire cose diverse. Il disco di Elli de Mon non è da meno: un impianto che più classico non si può, che però racconta un mondo personale, con qualche guizzo caratteristico (“Devil”, “Devote”, “Spell”), attraverso pochi (e ovvi) ingredienti (slide guitars, banjo, sonagli). Niente di nuovo sotto il sole, quindi, ma solo vecchi demoni nell’ombra.

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Bachi da Pietra – Festivalbug

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Tornano i Bachi da Pietra a far parlare di sé. Un Ep, questo Festivalbug, di tre sole tracce, stilisticamente affini, per certi aspetti, alla produzione antecedente del duo eppure lontanissime per altri. Colpisce soprattutto una maggiore intimista attenzione cantautorale non solo nella costruzione dei testi, ma anche e soprattutto nella resa musicale. Se in Quintale la formazione aveva colpito soprattutto per la potenza acustica, qui impressiona per la ricerca essenziale e minimalista del suono, che lascia spazio al racconto. Sin dal primo brano, “Tito Balestra”, si sentono echi di Paolo Conte, in particolar modo per la vocalità parlata e declamata, più che cantata. Uno stream of consciousness di suggestioni visive e riferimenti letterari, una piemontesità autoreferenziale cronologicamente distante, tanto quanto metaforicamente attuale. C’è anche Fenoglio, che viene inserito di tanto in tanto, come un antecedente con cui ci si confronta naturalmente, non certo come un riferimento culturale vuoto di cui vantarsi e da impiegare per darsi un tono. Le tracce sono lunghe pennellate di immagini, come nel caso di “Madalena” (e come non ripensare, di nuovo, alla “Madeleine” del cantautore astigiano?), maliziosamente costruite su doppi sensi accennati e presto risolti in una narrazione casta. Una donna forte, una casalinga probabilmente, tanto pratica nelle azioni quanto in grado di suscitare desiderio e scatenare passione: non è un caso che l’arrangiamento si faccia più fumoso e Blues.

E ci sono il Moscato e le mucche e il piccolo paese di Calamandrana: di nuovo un Piemonte antico, che, per me che provengo da quella regione, è immediatamente rintracciabile anche nella modernità quotidiana. “Baratto Resoconto Esatto” è un diario visionario di scambi di prestazioni, pieno di riferimenti a precedente disco Quintale e alle sue tracce. Il cantato è ancora declamato e l’arrangiamento è più simile a quelli a cui la band ci abituato. Sentiamo di nuovo un trattamento Noise che li avvicina tanto ai conterranei Marlene Kuntz. Qualsiasi cosa i Bachi da Pietra stiano preparando per il futuro anticipata da lavori di questo tipo, aspettiamoci una nuova sorpresa e una maturazione stilistica e narrativa davvero impressionante. Bravissimi.

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