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The Strokes – Comedown Machine

Written by Recensioni

Avremmo potuto dire – per non crearci nemici subdoli e seguitare a vivere felici – “un colpo al cerchio e uno alla botte”, come giudizio su questo ultimo disco dei The Strokes, un “tutto sommato” o “benaccio” che magari sarebbe bastato per liquidare con falsità benevole quello che invece si dimostra un fallimento sonoro che cova sotto le oramai ceneri di questa band una volta propulsiva di nuovi stimoli alternativi; ma siamo onesti fino in fondo,  Comedown Machine è un vuoto a rendere che esplora cose vecchie e senza fondo, chiaramente ricco di quel marchio di fabbrica fatto di chitarre avviluppate, voci in falsetto o  roche e tutte quelle ingegnerie strutturali di arrangiamenti che hanno fatto la fortuna del gruppo, ma per convincere gli ascolti che è tutto “nuovo” ce ne corre, e Casablancas pare andare senza bussola, creando una linea d’ascolto che non convince se non addirittura scivola via come olio sulla pelle.

I Newyorkesi – dopo dischi ottimi di buon garage informale, alternativo – scadono nel trascurabile, farciscono una tracklist che pompa avidamente funk, classic-disco, schizzate di testa e refrain innocui da lasciare tutto fermo come se il disco non accenni a partire nel suo senso orario; undici brani e una dose davvero impressionante di paraculaggine che fa anche spocchia e fanatica autorevolezza, ma è solo una macchina col motore ingrippato che arranca, fatica e suda a tenere banco anche per un solo minuto che sia un minuto.

Avremmo voluto amare questo disco, anche con tutte le nostre forze, ma i The Strokes non hanno più quel suono di tendenza di una volta, la ruggine creativa avanza a dismisura e non bastano assolutamente i fragori elettrici di “All The Time”, l’inconsistenza disco che balla dentro “Welcome To Japan”, lo sculettamento glossy di “Partners In Crime” e i campionamenti civettuoli che tormentano “Happy Ending”, siamo all’opposto estremo dei grandi dischi della loro storia musicale, peccato, un’altra ottima band che si perde per sempre ed un disco che viene voglia – ma poi lo si fa – di lasciarlo lì senza toccarlo.

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