City Slang Tag Archive

Gold Panda, alias Derwin Schlecker, ecco le date in Italia

Written by Eventi

Gold Panda, alias Derwin Schlecker, ormai stella di prima grandezza nel panorama delle musiche digitali, arriva in Italia per presentare il nuovo album Good Luck And Do Your Best in uscita a fine maggio per City Slang. Fuori luogo ormai ritenerlo una promessa, o un semplice artista emergente: Gold Panda è ormai uno degli artisti elettronici più importanti della sua generazione, come testimonia l’incredibile e crescente successo delle sue apparizioni live – a partire da quelle italiane – che ogni volta raccolgono una eccezionale risposta da parte del pubblico.

19 maggio 2016 – Roma – SpringAttitude – Maxxi Museum

Info: https://www.facebook.com/Springattitude

08 luglio 2016 – Milano – Circolo Magnolia

Via Circonvallazione Idroscalo, 41 – Segrate (MI)

info:https://www.facebook.com/CircoloMagnolia/

 

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Anna Von Hausswolff in Italia a Marzo

Written by Senza categoria

Dopo aver pubblicato alla fine del 2015 l’apocalittico e magnifico nuovo album The Miraculous che ha ricevuto l’unanime plauso della critica, Anna von Hausswolff inizia il 2016 annunciando una serie di date in Europa. The Miraculous (su etichetta City Slang) è un album magico, pieno di mistero, fortemente influenzato dai paesaggi della sua terra d’origine: la Svezia. Un album nel quale il suono è arricchito dall’utilizzo del colossale organo a canne (ben 9000!) di Piteå, località nel nord della Svezia.

08 marzo 2016 – Padova – Mame
info: www.circolomame.it

09 marzo 2016 – Roma – Monk
info: www.monkroma.club.it

11 marzo 2016 – Milano – Arci Bellezza
info: www.arcibellezza.it

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Cocorosie – Tales Of A Grass Widow

Written by Recensioni

Arrivate al quinto album, le sorelle pazzoidi Bianca e Sierra Casady in arte Cocorosie, da un vezzeggiativo forgiato dalla loro madre, mantengono invariata la formula di alt-pop nostalgico che hanno usato per farsi conoscere dappertutto, e tra odi e amori che il pubblico e critica gli riversano addosso, loro, le sorelle lunari con questo Tales Of A Grass Widow, dimostrano quanto sia importante fregarsene di tutto e tutti per andare avanti, non per una alternativa selvaggia, ma solamente per una presa di pugno testarda di fare dischi per farli, un azzardo che si perpetua da tempo e senza . osiamo dire – ritegno.

Come sempre uno strano miscuglio torbido ed impreciso tra Bjork e Bath For Lashes, un vezzo pseudo-cantautoriale che vorrebbe maliziosamente lasciare tracce di sé e illuminare di bagliori i nuovi percorsi del Rock in generale, ma questi brani non danno sostanza, sembrano quasi un drama pentecostale che non solo non vanno  a fondo per fuggire via, ma rimangono a galla ad infastidire orecchie esauste e istinti mostruosi a distruggere con un potente cazzotto l’innocente impianto stereo di proprietà. Sapori retrò e una lancinante trascendenza che cresce come una febbre maligna e che si impossessa di ogni poro d’ascolto, tracce – per rimanere prettamente al giudizio critico da mestierante – che non alleviano nessuna forma di nostalgia, malessere e soglie minime di sopportazione.

Forse le nostre sorelle Casady non si sono rese conto che non è per niente facile – dopo magari un  esordio sbalorditivo – seguitare a mantenerne alte le vibrazioni, magari per loro l’azzardo è una forma di potere o- ancor peggio – che seguitare a tormentare l’alternative sia cosa saggia e da prendere come esempio, ma la verità sta nel mezzo, che la loro propulsione primaria è svanita via e non gli resta che abdicare e chiudersi per qualche annetto nel silenzio e ricostruirsi una fisionomia sonora; undici brani  – pescando a caso – versati ad un Pop monco, da prendere con le molle “Child Bride”, “Tears Of Animals” con vellutate francesi a fare da sfondo, il senso dei folletti delle fiabe “Broken Chariot o i fumi divinatori hippies che ancora si aggirano fecondi tra le trame di “After  The Afterlife”, un saliscendi di romanticismi out e frivoli.

Non si vuole infierire contro le donne, solamente che queste Cocorosie  senza controllo sono in giro ancora a piede libero purtroppo, e la cosa peggiore che seguitano a fare dischi, e questo ultimo “spreco di tutto” ce lo potevano evitare. In una parola, inutile.

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Lambchop – Mr.M

Written by Recensioni

Misero il destino per chi da eroe diventa un numero zero, ma questo non riguarda i Lambchop. La band di Nashville era un numero zero agli inizi di carriera, zeri rotondi come il sole della loro terra: poco musicisti e molto sognatori, nichilisti dell’atmosfera , assertori che un mega blob inconcludente sostasse nel nulla pneumatico della musica. Questo era il lusso frenetico che questi giovani americani senza collare donavano e donano nei loro lavori. Qui al loro undici della carriera “Mr.M”, provano qualcos’altro, rinunciando al caracollare consueto, per un disco- sì malinconico di prassi – ma con accenti soffusamente smooth, jazzly, confidenziali con sospiri di Tindersticks e Wilco a soffiare delicatamente su braci semi-spente di fuochi andati; della band colpisce sempre la vena svaporata, i suoni tratteggiati che in questo nuovo disco sono dilungati a dismisura, in concreto slow song che stirano la tracklist come un lungo ballare delicato e in uno stato mentale d’abbandono e di rimpianti, ma è solo l’effetto delle orchestrazioni che ampliano il lento pathos che regna ovunque.

Undici pezzi, undici “classici” si vanno ad aggiungere ad un ascolto ovattato, fuori memoria e fuoco, da prenderci l’abitudine anche se si crede che questi “giri di boa” stilistici siano solo prendi tempo per ritrovare quella via maestra d’un tempo, che qui man mano pare vada a  scemare su derive incontrollate; detto ciò Mr. M rimane un disco piacevole, allentato ma sincero e onesto, con tanti sogni dentro e pochi effetti speciali fuori, praticamente inesistenti; Kurt Wagner, il leader vocal della band non sì da pace, crea atmosfere cantate sofferte, acide “Kind Of”, “Nice without mercy”, e nel suono totale vivono un crooneraggio alla lacrima “Mr.Met”, un Nike Drake che cavalca il folk di “Gone tomorrow”, arie da night con coretti “Gar”, la ballata bradiposa “2B2” o i violini sparuti che segano le tramature lente di “Buttons”.

Non si può gridare a nessun miracolo, è solo un buon disco che cozza leggermente con le precedenti produzioni e che abbisogna di più di un bel giro di stereo prima che ti rilasci sensazioni specifiche e idonee di un bel listening; del resto non si può pretendere boom discografici dopo lunghi anni d’altrettanti boom già acquisiti, una ciambella con mezzo buco riuscito ci può anche stare, l’importante è non ricaderci e tornare alla propria storia.

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