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Tortoise – The Catastrophist

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E così dopo sette anni, pubblicando un lavoro che ha radici più lontane di quanto si possa pensare, ritornano i Tortoise. Correva infatti l’anno 2010 quando Chicago, la città dei nostri, commissionò al gruppo la realizzazione di una suite che rispecchiasse l’identità Jazz del luogo; furono così composti cinque temi (una suite in cinque movimenti) su ognuno dei quali lavorò un diverso ospite dell’ambito jazzistico del posto. Quei cinque temi, che erano poco più che bozze a cui aggiungere improvvisazioni, si sono col tempo trasformati ed evoluti (il tutto rivisto in chiave, e quindi complessità, Tortoise) in buona parte dei brani che compongono The Catastrophist. Si tratta di un lavoro che per certi versi potrebbe arrivare da ancora più lontano; il disco, infatti, seppur con qualche novità anche totalmente inattesa, sembra uscire dal periodo che trascorse tra TNT (1998) e Standards (2001) e, per quanto risulti leggermente inferiore al primo, suona nettamente meglio del secondo. Le novità inattese sono due brani cantati, anche se in realtà il canto dalle parti dei Tortoise era già passato con due dischi (The Brave and the Bold con Bonnie ‘Prince’ Billy, ed In the Fishtank 5 con The Ex, entrambi registrati in tre giorni), ma è la prima volta che lo troviamo in un lavoro firmato esclusivamente a loro nome, e soprattutto è la prima volta che funziona, sarà che per la precisione certosina dei nostri registrare in qualche anno anziché in qualche giorno fa una certa differenza. Il primo dei due brani in questione è la cover di “Rock On” di David Essex, brano del 1973, un Dub Rock piuttosto minimale e particolare vista l’assenza della chitarra, che in mano ai ragazzi di Chicago, seppur rimanendo molto fedele all’originale, diviene ancor più ipnotico grazie ad una godibilissima sezione ritmica; a dare voce al pezzo troviamo Todd Rittmann degli U.S. Maple. L’altro cantato presente è invece un brano originale, “Yonder Blue”, nel quale alla voce troviamo Georgia Hubley degli Yo La Tengo, e qui i Tortoise ci spiazzano ancor di più perchè questo brano è addirittura una ballad, una crepuscolare ballad Lo Fi, al forte profumo di Pop datato, il cui ascolto ideale si avrebbe in un fumoso bistrot parigino. La prestazione del combo è più che soddisfacente anche in “Shake Hands with Danger” dove sembra si incontrino un’orchestra gamelan ed un gruppo Fusion, l’arrangiamento è come sempre perfetto, la classica tensione Tortoise, che spesso risulta essere troppo statica e di maniera qui riesce a trovare una buona visceralità. Altri brani ben riusciti sono “Gesceap”, primo singolo estratto, ascoltabile da un paio di mesi abbondanti, brano narcotico, quasi dissonante, minimale, nel quale vediamo la musica d’avanguardia abbracciare le armonie degli Stereolab e dei Broadcast (presenze percepibili anche in altri brani), “The Clearing Fills”, un’ipnotica sospensione Ambient Jazz con finale dronico, “Hot Coffee”, un Funk rallentato e sintetico, dove oltre ad un’ottima linea di basso si trovano godibili graffi chitarristici, e la conclusiva “At Odds with Logic”, desertica e cinematografica. Come sempre, escludendo i primi due meravigliosi lavori della band, non mancano brani che soffrono troppo di manierismo, di immobilità, brani nei quali la tensione creata riesca a liberarsi portandoci la scossa, il graffio, la visione. In ogni caso, dopo i primi due lavori non proprio eccelsi degli anni zero, i Tortoise confermano i progressi che già sul precedente Beacons of Ancestorship si erano fatti sentire, probabilmente migliorandoli ancora, con un disco che ha sicuramente bisogno di più ascolti e come sempre, trascendendo i generi, si sottrae a facili catalogazioni.

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