Beach Boys Tag Archive

Animal Collective – Time Skiffs

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La psichedelia vecchio stile si spoglia e veste abiti pop per molestare il mainstream.
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Primavera Sound 2016, I loved you but you brought me down

Written by Live Report

Parafrasando impunemente gli LCD Soundsystem, tra i protagonisti indiscussi di quest’anno, confesso senza troppi preamboli i miei pensieri a caldo, quando l’edizione 2016 del Primavera Sound Festival si era conclusa da appena poche ore.

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Recensioni | aprile 2016

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Lucio Leoni – Lorem Ipsum (Alt Pop, Rap, Ska) 6,5/10
loremipsum
Stornelli romani che illustrano beffardi la generazione di quelli nati negli anni ‘80, che a volte si accalcano in spoken di Rap nostrano, altre volte molleggiano su melodie composte e vagamente sintetiche. L’album di esordio di Lucio Leoni è ironico e singolare, un’eccentrica voce fuori dal coro che merita sicuramente più di un ascolto.

[ ascolta “Domenica” ]

Martingala – Realismo Magico Mediterraneo (Indie, Blues) 6/10
Martingala_Realismo-Magico_coverAnima Blues, vestito Indie e tante esperienze diverse alle spalle: loro sono i Martingala, progetto parallelo ai Café Noir di Alessandro Casponi, Davide Rinaldi ed Emanuele Zucchini. Il loro disco d’esordio ci parla delle maree dell’animo umano raccontate in chiave blues-dream risultando pregno di un empirismo italo-Shoegaze. Alla luce di ciò nessun titolo fu mai così azzeccato.
[ ascolta “La prima volta che ascoltavo musica” ]

Med In Itali – Si Scrive Med In Itali (Jazz Samba, Swing, Songwriting) 7/10
si-scrive-med-in-italiCantautorato ironico dal retrogusto amaro e sfrontatezza Jazz per il secondo album del collettivo piemontese. L’estro nelle composizioni, in bilico tra tropicalismi e retromanie, regala scorrevolezza a un disco strutturato bene e suonato anche meglio. A volte la tradizione musicale italiana riesce ad evolversi in maniera diversa, senza necessariamente precipitare nel Lo-Fi e nell’Indie Pop.
[ ascolta “Comico” ]

LNZNDRF – LNZNDRF (New Wave, Psych Rock) 7,5/10
005141208_300Supergruppi che hanno la faccia di quelli che suonano insieme da decenni. Il progetto che vede impegnati i gemelli Devendorff (The National) e Ben Lanz (Beirut) è un esercizio ispirato e compatto, tra ambientazioni rarefatte e psichedelia ipnotica, in direzioni inaspettate per chi temeva una mera collisione tra i sound delle due band di provenienza.
[ ascolta “Future You” ]

Heathens – Alpha (Electro, Dark Wave, Trip Hop) 7,5/10
Heathens-AlphaCon Tommaso Mantelli aka Capitain Mantell alla produzione, il sound dei veneti Heathens si fa mellifluo ed elegante, un’oscurità elettrificata al neon che echeggia ai Radiohead e ai Massive Attack ma che non è mai ruffiana. Tra le collaborazioni, anche Nicola Manzan (Bologna Violenta). Maturità compositiva fuori dal comune per una formazione che è appena al secondo disco.
[ ascolta “Parallel Universes” ]

Nonkeen – The Gamble (Elettronica, Lo-Fi, Avantgarde) 8/10
homepage_large.1e761990Nils Frahm
come Re Mida, che maneggia vecchi nastri e li trasforma in oro. Con gli stessi compagni di allora, tra levigature e campionamenti le incisioni di Frahm quindicenne diventano impasto sonoro denso e magnetico. Il progetto Nonkeen è Elettronica suonata che ammicca al Krautrock e al Prog, ma con la disinvoltura di una jam session.
[ ascolta “Saddest Continent On Earth” ]

W.Victor – Che Bella Cacofonia (Alt Folk, Cantautorato) 7/10
w-victor-che-bella-cacofoniaCi porta a spasso per generi e luoghi questo ultimo lavoro di W.Victor, che guarda al Folk del sud della penisola ma anche a quello balcanico, e ci srotola sopra un songwriting intimo e scanzonato allo stesso tempo. Strumentazione tradizionale e un timbro vocale intenso sono sufficienti a completare un disco ironico e ispirato.
[ ascolta “Sempre Canto Per Lei” ]

Silence, Exile & Cunning – On (xxxxxx) 6/10
12122620_1065312083500354_1700802864376002040_nTutt’altro che nostrano il sound di questa italianissima formazione, che guarda con criterio al Post Punk frivolo degli Arctic Monkeys ma poco si sforza di aggiungere alla formula collaudata, tra parentesi Funk e qualche surfata di devozione ai Beach Boys. Il risultato è omogeneo e ben suonato, ma forse non basta per fare breccia nelle orecchie.
[ ascolta “Last, Proximate End” ]

Wild Nothing – Life of Pause (Synth Pop, Dream Pop) 5,5/10
downloadffffffAl terzo lavoro in studio l’autocitazionismo è di certo una scelta prematura. Jack Tatum ha tirato a lucido la produzione ma si è dimenticato di aggiungere l’ingrediente infallibile che aveva usato in Gemini e in Nocturne: l’intensità. Se non l’avesse fatto, probabilmente avremmo digerito qualsivoglia variazione sul tema. Risveglia dal torpore “To Know You”, ma solo perchè suona preoccupantemente Talk Talk.
[ ascolta “A Woman’s Wisdom” ]

 L’Orso – Un Luogo Sicuro (Synth Pop, Indie) 5/10
12813967_991014817635835_3173083255426462977_nL’Indie Pop de L’Orso è in preda a un’infatuazione per l’Elettronica easy e un po’ datata. Senza alcuna pretesa di trovare esperimenti arditi in un disco Pop, il risultato resta comunque eccessivamente banale. Gli episodi faciloni non riescono ad essere appiccicosi quanto in realtà vorrebbero, e gli incisi di cantato quasi Rap non aiutano.
[ ascolta “Non Penso Mai” ]

Igor Longhi – The Flow (Modern Classical) 6,5/10
Igor Longhi è un pianista triestino che si muove nell’ambito del minimalismo neoclassico. Un ascolto piacevole, un Ep nel quale Longhi mostrerà un’anima melodica che nella sua semplicità risulterà ricca di sentimenti e sfumature. Seppur non ancora ai livelli degli attuali e principali autori del genere questa naturalezza, leggera e cinematografica, colloca sicuramente Longhi tra i nomi più promettenti dello stesso.
[ ascolta “#loveisgenderfree” ]

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Showstar – Showstar

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Il quarto album omonimo (che ipotizzo possa essere presto rinominato Sorry no Image Available, causa copertina, come accaduto per il self titled dei Kyuss) traccia il vero punto di non ritorno per la band belga, ormai attiva dal 1996 e che mai è riuscita davvero a persuadere il pubblico, a partire dall’esordio We Are Ready del 2003. Un transito tanto importante per Chris Danthinne (voce e chitarra), David Diederen (chitarre), Antoni Severino (basso e voci) e Didier Dauvrin (batteria) quanto in linea con le produzioni precedenti e che continua a perseguire la strada disegnata dal Jangle Pop degli Smiths seppure con un’attitudine Indie moderna e fresca, in contrapposizione alle liriche talvolta crude, disincantate e non troppo raggianti (“lavora, lavora, lavora fino alla morte”). In tal senso, non si potrà certo confutare una discreta crescita compositiva nell’ultimo lavoro targato Showstar, una maturità che ha reso le dodici tracce vagamente encomiabili e credibili pur se gonfie di innumerevoli similitudini e rimandi.

Shoegaze il più pulito possibile, veloce e danzereccio (“Adults”, “Casual”) si miscela al già citato Jangle Pop di morriseyana memoria (“Nightbird”), di tanto in tanto squarciato da falsetti che vanno dai Beach Boys ai più vicini Everything Everything (“Casual”). Chitarre taglienti scuola Parts & Labor (“Mistakes on Fire”, “Rumbling”), ritmiche cadenzate (“Rumblings”) e un sound che, inevitabilmente, tanto deve ai mitici Stone Roses (“Mistakes on Fire”, “Rumblings”, “The Trouble Is”, “Full Time Hobby”, “(I Wish I Was) Awake”) al quale si aggiungono brani dalle melodie più dirette e insistenti (“The Liar”) e altri lampi più intimi (“Follow me Follow”) che sanno trasformarsi in vere bombe soniche (“Happy Endings”).

Non aggiunge molto al suono degli Showstar la voce di Angela Won-Yin Mak che si affianca a Chris Dantinne in “Smile. No”. Showstar è disco della maturità, lo era fin dalle premesse ed in parte lo conferma l’ascolto, eppure non può essere considerato un vertice dentro una discografia tanto piatta. A tratti banale, ripetitivo, ridondante, anche troppo gelatinoso nella sostanza, è l’ennesimo buco nell’acqua di una band alla quale non è il caso di chiedere di più.

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“Seafood” è il nuovo video dei londinesi Beaty Heart

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“Seafood” è il nuovo video dei londinesi Beaty Heart. Il brano è estratto dal recente album di debutto Mixed Blessings pubblicato lo scorso 2 giugno su etichetta Caroline/Nusic Sounds. Con influenze che spaziano da Beach Boys, Olivia Tremor Control e Lee Scratch Perry, a nomi più recenti come MGMT e Vampire Weekend, la giovane band si è fatta notare dalla stampa inglese grazie a un sound pulsante e fresco, Tropical-Pop unito a ritmiche vibranti ed esotiche, che il gruppo stesso descrive come “woody” e “fruity”. I Beaty Heart arriveranno in concerto in Italia sabato 22 novembre al Circolo Magnolia di Segrate (MI), in apertura ai Jungle.

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U2 – Songs of Innocence

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Martedì nove settembre è arrivata in mondovisione una fucilata. Uno apre iTunes e si trova davanti il nuovo disco della band più polare al mondo (sì, non sono The Beatles perché non fanno più dischi dal 1970 e non voglio credere che siano gli One Direction!). Io, tolto lo stupore iniziale, me ne sbatto della markettata soprattutto perchè non ci ho capito mai una mazza delle manovre di marketing. Quindi, che me ne frega se la Apple ha sborsato cento milioni di dollari? E allo stesso modo non mi tocca se ora gli U2 sono in vetta alle classifiche con le vecchie glorie mentre la gente punta il dito contro la mossa eccessivamente mainstream.

Attenzione, però, che qui la critica ci sta tutta, per altri motivi e non sarò certo io ad esimermi. Veniamo al dunque: questo disco è brutto! O meglio, insipido. Il più piatto e prevedibile di sempre della carriera del quartetto irlandese. Per quanto mi riguarda le aspettative nei confronti di un loro nuovo disco sono sempre esagerate e effettivamente parzialmente deluse da Zooropa in avanti eppure, in ogni caso, sono riuscito a trovare uno spiraglio, un ornamento che donasse nuova linfa a un vestito reso così sempre diverso, nuovo e sgargiante, sebbene con gli anni sia più plastico e meno colorato. Qui però l’abito è sbiadito, sgualcito, appiccicato con pezze sberluccicanti ma raffazzonate. L’inizio promette grandi cose ma il pretenzioso e divertente titolo sfoggiato in “The Miracle (of Joey Ramone)” crolla immediatamente all’arrivo degli inutili coretti “ooooh ooooh”, così inspiegabilmente Coldplay. Non bastano le rare pennate del chitarrone di The Edge a distogliermi dalla rilettura incredula di quel nome immenso: Joey Ramone; e dove sta l’antica anima Post Punk degli U2? La produzione di Dangerous Mouse (che per altro è affiancato da altri supernomi come Paul Epworth, Ryan Tedder, Declan Gaffney e Flood, sembrano messi lì quasi per il gusto di riempire la bocca) è sicuramente forte, presente, massiccia, moderna ma non porta in nessuna direzione, se non a una sterile autocelebrazione e ad un timido tributo alla musica Pop che passa dalle citazioni dei Police in “Every Breaking Wave” (una via di mezzo tra “With or Without You” e proprio “Every Breath You Take”) agli echi di “California”, che rimandano diretti a “Barbara Ann” dei Beach Boys.

Poi dopo aver scomodato senza successo l’eroe del Punk americano, viene chiamato in cattedra pure il Punk anglosassone. Ed ecco “This is Where You Can Reach Me Now” dedicata a Joe Strummer; ritmiche in levare da manuale e tastiere che rimandano ai primi anni 80. Finalmente un pezzo degno di nota nonostante i suoni lontani di una produzione che meno Rock’N’ Roll di così non poteva essere. Anche nei timidi tentativi di “Volcano” e “Raised by Wolves” la vena più elettrica fa fatica ad uscire. The Edge ne soffre, le sue parti alcune volte appaiono spinte a forza dentro i brani. Pure la coppia d’oro Clayton-Muller pare distante, persa nelle atmosfere una volta create dai loro tocchi magici e ora affidate ai guru del suono digitale. L’unico che pare essere a suo agio in questo marasma è Bono. Con grande classe salva un paio di pezzi con la sua voce che ancora fa rizzare tutti i peli che ho in corpo. “Songs for Someone” è spudoratamente ruffiana e già trita e ritrita, ma Bono, sornione, la asseconda regalando una prestazione vocale magica. Poi nel finale del disco intreccia le sue inequivocabili corde vocali con quelle mistiche e misteriose di Lykke Li, ospite azzeccatissima in “The Trouble”, danza Trip Hop ben governata da un pungente giro di basso e concluso da uno sbalorditivo (seppur purtroppo brevissimo!) assolo di The Edge. Mi spiace però, a questo giro non mi farò illudere da trucchetti. Questo album rimane privo di idee e, inutile colpevolizzare scelte di suoni o pompaggi digitali, mancano le canzoni. Manca quel senso di rivoluzione che è passato dalle scorie Punk di “Boy” fino alla Disco Music chitarrosa di “Pop”, ma manca anche una stupida canzonetta canticchiabile alla “Beautiful Day” o le prove Rock’N’ Roll di “Vertigo”, e non scomodiamo i capolavori. Spero davvero che tutto questo non si sia perso in mezzo a palchi 3D e occhiali da sole, perché forse sono troppo romantico, ma credo che il mondo della musica abbia ancora bisogno di questi quattro ragazzi. Sicuramente più di quanto la Apple abbia bisogno di farsi pubblicità con l’uscita di un loro disco.

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Sonic Daze – First Coming

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Massimiliano Demata, Vittoriano Ameruoso, Serena Curatelli e Giuseppe Santorsola sono i Sonic Daze che esordiscono a fine 2013 con il loro Ep First Coming. Pugliesi e passionali i Sonic Daze ci presentano un lavoro prima di tutto con una copertina niente male disegnata da Shawn Dickinson e soprattutto formato da sei tracce che spaziano senza alcun dubbio tra un Rock’n’Roll molto esplicito e un Punk veloce, e a volte divertente che fa immaginare gavettoni e guerre di cuscini. Tutto questo si scorge fin dalle prime note di “Hear Me Calling” quel tanto orecchiabile da rimanere impressa senza però risultare banale. “When the Sun” incarna perfettamente quello che dicevo prima, l’aria d’estate che tarda ad arrivare ma quando arriva lo fa in modo violento e goliardico tra viaggi on the road, finestrini abbassati e musica a tutto volume magari proprio quella di First Coming. “Amorality” invece ha sonorità più dure rispetto per esempio a “So Many Colours” che con il primo arpeggio ci catapulta sulle spiagge assolate degli anni 60-70 e quel sapore molto British che in questo caso non guasta proprio. “Get out of the Way” chiude questo Ep in maniera consona anche se non è proprio la parola più appropriata.

Insomma, First Coming può risultare una sorpresa per gli amanti del genere e non solo per le sonorità molto naturali di un genere che alcune volte stona ma che questa volta nuota nelle atmosfere del Rock prendendone gli aspetti più ritmici. Tutto suonato con una tecnica molto buona e una precisione ritmica assolutamente da notare. Da sottolineare la registrazione in maniera assolutamente analogica senza l’uso del computer che rende il suono meno piatto e più presente. Insomma le influenze del gruppo sono anche molto chiare Beach Boys, Beatles, Sex Pistols, Ramones. Influenze chiare e non copiate. Infatti i Sonic Daze ci mettono del loro con audacia e senza paura dimostrando perché no professionalità e soprattutto profonda conoscenza del genere e della propria passione. Un esordio da ascoltare assolutamente, magari a tutto volume, e da portare in valigia!

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Christian Fennesz, Stephan Mathieu e David Sylvian. The Kilowatt Hour.

Written by Live Report

The Kilowatt Hour

Quando tre geni assoluti della musica ed in particolare di quella elettronica quali Christian Fennesz, Stephan Mathieu e David Sylvian incrociano le proprie strade per dar vita a un progetto ambizioso quale The Kilowatt Hour, il risultato è ovviamente scontato: un capolavoro multimediale formato da immagini che scorrono dietro i tre artisti mentre sono impegnati ad incantare il pubblico accorso.  Cinque lunghe suite strumentali senza interruzioni sono la crema dello spettacolo proposto nell’ambito del progetto The Kilowatt Hour.

Questo il succo dell’evento a cui hanno assistito i fortunati spettatori presenti al Teatro Massimo di Pescara sabato 21 settembre. La data nel capoluogo adriatico è stata la terza di un tour di sole cinque in Italia che è stato anticipato da un’apparizione in Norvegia nell’ambito del Punkt festival a Kristiansand. Probabilmente Christian Fennesz, Stephan Mathieu e David Sylvian hanno dato vita a un qualcosa davvero di irripetibile per il tenore culturale a cui è abituato l’Abruzzo. E chi c’era l’ha riconosciuto a fine concerto quando gli applausi del pubblico accorso sono stati sinceri ed onesti.

Proiezioni video montate in maniera affascinante scorrevano lentamente in perfetta sincronia con i suoni dei tre musicisti e con il narrato dello scrittore Franz Wright, unico interlocutore dello spettacolo se si esclude il breve frammento sonoro di “Only The Lonely” dell’indimenticato The Voice, al secolo Frank Sinatra. Tante le emozioni provate nell’ascoltare le note che il trio suonava magistralmente, le “positive vibrations” (come direbbero i Beach Boys) erano percettibili nell’aria e gli occhi del pubblico non si staccavano mai dal palco illuminato da una luce soffusa. Un viaggio in musica durato circa settanta minuti di puro godimento sonoro che lasciano sperare anche in un’eventuale pubblicazione su  cd o in una riproposizione in formato dvd / blu ray.

Lo stesso Sylvian ha dichiarato: “Mi sento molto fortunato ad essere in compagnia di due musicisti di cui ho grande rispetto e la cui generosità e compagnia hanno arricchito la mia vita personale e lavorativa.Stiamo per intraprendere una breve escursione insieme per vedere dove potrebbe portare.Non c’è nessun compiacimento, né scorciatoie intraprese. Stiamo cercando di creare qualcosa di unico ed emozionante per noi e una nuova esperienza per coloro che saranno presenti alle nostre performances “. L’input per l’intero progetto è stato sicuramente Wandermüde, lavoro pubblicato a gennaio di quest’anno dai soli Sylvian e Mathieu (autore di tutte le musiche) che hanno voluto poi coinvolgere anche l’amico Fennesz, vero genio della manipolazione chitarristica.

Laptop, chitarre e pianoforte si incontrano senza mai scavalcarsi in un perfetto connubio sonoro. La new wave degli anni ottanta e dei Japan per Sylvian è oramai un lontano ricordo… Benvenuti negli anni 2000 e nella nuova era della musica elettronica!

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Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Sessanta

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Anni  60, quanti ricordi. Ad essere sinceri nessuno, perché in quel decennio anche mio padre era, al massimo, solo un adolescente. Eppure ogni cosa che ha riguardato la nostra vita, un disco, un film, un vestito, un pensiero, ha a che vedere con i Sixties. Erano gli anni della guerra fredda di Usa e Urss e di Cuba, del terremoto in Cile, di Martin Luther King e  Jurij Gagarin, del muro di Berlino, dell’avvento dei Beatles, dei Rolling Stones e del Papa buono. Gli ultimi anni di Marylin, Malcom X e John Fitzgerald Kennedy. Gli anni di Chruščёv e della minigonna, del Vietnam e della Olivetti, di Mao e del Che, della primavera di Praga e dei Patti di Varsavia, di Reagan e degli hippy, del pacifismo e dell’anarchia felice. Gli anni dei fascisti e dei comunisti, della British Invasion e di Mina, di Kubrick, della Vespa, della 500, di Carosello e di Celentano. Gli anni della contestazione studentesca e dell’uomo sulla luna, gli anni di Woodstock, delle droghe, della psichedelia e gli anni del Rock perché quegli anni sono le fondamenta solide su cui poggia tutta la musica (o quasi) che ascoltate oggi.

A scadenze non prefissate, Rockambula vi proporrà la sua Top Ten di determinate categorie e questa di seguito è proprio la Top Ten stilata dalla redazione in merito agli album più belli, strabilianti, influenti e memorabili usciti nel mondo nei mitici, impareggiabili anni 60. Nei commenti, diteci la vostra Top Ten!

1)      The Velvet Underground – The Velvet Underground & Nico

2)      Jimy Hendrix –   Are You Experienced

3)      The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band

4)      The Doors – The Doors

5)      Led Zeppelin – Led Zeppelin II

6)      Pink Floyd – The Piper at the Gates of Dawn

7)      Bob Dylan –   The Freewheelin’ Bob Dylan

8)      Led Zeppelin – Led Zeppelin

9)      David Bowie – David Bowie (Space Oddity)

10)   The Stooges – The Stooges

Vincono Cale, Reed e Nico con la loro banana gialla disegnata da Andy Warhol ma la presenza di Hendrix e The Stooges in Top Ten la dice lunga su quanto, a noi di Rockambula, piacciano le ruvide e sperimentali distorsioni dei mitici Sixties. Ovviamente non potevano mancare The Beatles, i re del Pop di quegli anni, presenti con uno dei loro capolavori assoluti, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, mentre la scena Psych Rock, formidabile nei Sessanta, è rappresentata degnamente grazie all’esordio dei Pink Floyd con Syd Barrett ancora in grado di esserne l’anima e l’omonimo The Doors. Chiudono la lista uno dei più grandi cantautori mai esistiti con The Freewheelin’ Bob Dylan, il re del Glam Rock David Bowie e l’unica band capace di piazzare nei primi dieci posti ben due album, ovvero i Led Zeppelin.

Esclusi eccellenti, anche se citati dai nostri redattori, i Beach Boys con Pet Sounds, Frank Zappa, Captain Beefheart e, udite udite, i Rolling Stones.

Ora potete iniziare a urlare le vostre Top Ten!

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Granturismo – Caulonia Limbo Ya Ya

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Ci sono voluti tre anni dall’esordio discografico, Il Tempo di Una Danza, perché i Granturismo tornassero sul mercato con un disco nuovo. Caulonia Limbo Ya Ya è un crogiolo di generi, ispirazioni, commistioni. C’è l’occidente precario, afflitto, abbattuto e introspettivo, ma c’è sopratutto la leggerezza, il calore, la giovialità del sud, dei Tropici, delle danze istintive e pulsionali. Un mix di generi musicali che va dal Punk al Mambo, dal Cantautorato all’Indie Rock, dal Rock’n’Roll alla Bossa Nova. “Me ne Vado al Mare” apre l’album con una serie di rime e distorsioni controllate che si lasciano andare in un bel riff incisivo che riprende il tema del ritornello, mentre “Vieni a Dormire Con me” è una deliziosa canzone dal sapore tropicale, fresca per sonorità e termini impiegati, dal ritmo cadenzato e ironicamente scanzonato. Un bel gioco di voci e cori caratterizza invece “Meraviglioso Errore”, con un arpeggio delicato e atmosfere a tratti fumose, pulp, seducenti. Quattro mele hai lasciato nel frigo è la frase chiave di “Domenica”, in cui il tema dell’amato abbandonato è pretesto per comporre liriche pungenti e sarcastiche, con numerose citazioni Pop e rime baciate. Ma è da “Canzone di Parole” che mi sono resa conto che avevo a che fare con un trio davvero geniale, sia per la capacità di giostrare la forma-canzone, sia per la cura naturalissima degli arrangiamenti: il brano è fondamentalmente un Rock’n’Roll, a tratti debitore del Surf dei Beach Boys, con un bridge lento e sospeso alla Procol Harum e una lallazione nonsense profondamente percussiva. La costruzione del testo è particolarmente cantautorale, ma il vomito-elenco di parole prese dall’universo culturale Pop la rende sperimentale, come confermato dalla chiusura Noise, assolutamente inaspettata. “Inno della Repubblica di Caulonia” è uno strumentale di andamento mosso e sonorità latine, ripreso alla metà della velocità, o quasi, in chiusura del disco. Ed è sempre il Sud a farla da padrone in “Può Darsi Sia l’Autunno”: non c’è il Sud delle migrazioni, delle fronti sudate per il lavoro, dell’arsura che attanaglia la mente, ma solo quello dell’acqua fresca, dei frutti esotici dai succhi dissetanti. La bravura tecnico-strumentale dei Granturismo emerge in “Distanze”, con il suo intro alla Kings of Convenience, il cui stile viene ripreso anche in “Dubbi Dubbi”, una Bossa Nova che ricorda molto la “Misread” dei norvegesi. E se vi foste convinti di aver di fronte un terzetto di burloni, “Non Essere Triste” completerà il quadro della maturità di questi ragazzi, capaci anche di scrivere una ballata riflessiva, dondolante, esistenzialista.
Che dire? Io 5 su 5, prima d’ora, non l’ho dato mai…

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Sadside Project – Winter Whales War EP

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Sadside Project sono un duo romano Garage Bluesgeneratosi nel 2009. La loro gavetta parte quando vincono il Rock Contest in Toscana e firmano il loro primo contratto e giunge fino i nostri giorni passando, come gruppo spalla, per le dieci date italiane del tour di Joe Lally dei Fugazi. Quest’anno presentano il loro nuovo lavoro Winter Whales War dove ci raccontano le loro vicende musicali psichedeliche eccitate dai racconti e dalle storie dello scrittore e marinaio Herman Melville. La copertina la dice lunga. L’album è un insieme di ballate da uomo di mare con il boccale stracolmo di birra e arriva fino alle più dure e inquieti canzoni strettamente Garage. Il viaggio inizia con “Same Old Story” un brano immediato, diretto, energetico. Il giusto tempo per rompere il silenzio che intercorre tra te e l’istante in cui pigi play. Segue “My Favorite Color”splendida ballata dove voce e mandolino evocano un ritornello che si lascerebbe tranquillamente cantare da un pubblico in preda ai fumi dell’alcool. Il disco prende bene e continua con “1959 (The Last Prom)”ballata romantica anni ’50 tutta “cuore a cuore” che lascia spazio alla più altisonante e melanconica “This is Halloween”.Carica, carica, carica è questo che mi trasmette quest’album! E arrivano le più rockeggianti; la cassa dritta di“Edward Teach Better Know as Blackbeard” e  la spartana “Nothing to Lose Blues”.

Proseguono la più psichedelica “Hold Fast” che ci accompagna al pezzo portante dell’album, “Molly”, brano duro e puro che cerca di riportarci sulla terraferma per ricordarci da dove veniamo ma poi ci lascia proseguire con una cover dei mitici Beach Boys, “Sloop John B”. Chiude l’album il pezzo omonimo “Winter Whales War” che con i suoi arpeggi ci molla a casa perché il viaggio si è concluso. Questo è uno di quegli album che si ascoltano tutto d’un fiato, senza pause, in una perfetta onda da solcare in compagnia di quei farabutti dei vostri amici.

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