Alternative Pop Rock Tag Archive

Gouton Rouge – Giungla

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I Gouton Rouge riescono a miscelare il loro buon talento ad una sincerità di fondo che viene, a tratti, edulcorata da una delicata paraculaggine (ad esempio chiamare un brano “Hasselhoff” è paraculaggine) che crea un contesto totalmente svincolato dal pressappochismo che genera la musica di tendenza in Italia. Sono fermamente convinto nella buona fede del quartetto. Il loro è un lavoro molto lineare e pulito: chitarre dal suono prevalentemente crunch, batterie e bassi semplici e tastiere ricercate e presenti quanto basta. Possono ricordare immediatamente i The Drums con qualche sfumatura qua e la figlia dei primi Cure. Le creature della giungla della band lombarda si palesano con un meccanismo lento e fluido, che lascia spazio a personaggi dai contorni abbastanza netti, sintomo di una buona capacità compositiva e di una maturità artistica non molto lontana dall’essere raggiunta. “Sulle mie Labbra” è sicuramente il brano di maggiore impatto del disco, sotto ogni punto di vista. La vera forza dell’ottava traccia risiede in un riuscitissimo bridge che spinge tutto il brano ad un livello effettivamente più alto rispetto al resto del comunque piacevole CD. In definita Giungla è uno di quei lavori che potreste ascoltare due giorni e dimenticare subito dopo oppure tenere nel cuore per sempre. Io sto nel mezzo. Non mi piace né dimenticare né affezionarmi troppo.

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Rocky Wood – Shimmer

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Un bagliore (shimmer) avvolge le mie orecchie pochi secondi dopo aver pigiato il tasto play dello stereo. “Blind Hawaii”, opening track di questo esordio degli svizzeri Rocky Wood, brilla come il ricordo malinconico e dolce di tempi ormai passati ma non per questo dimenticati, come vecchi amori trasformati in lacrime di speranza, come chimere che vedi nascere come boccioli in una primavera sempre nuova eppure ogni volta puntuale, ogni marzo, ogni anno, ogni volta che ti senti spacciato. La voce di Romina Kalsi irrompe sulle tenui note di chitarra in modo sensazionale, con un timbro da pelle d’oca, da magone al cuore come quando incontri la donna che ami segretamente, come quando meno te l’aspetti. Note tenui di chitarra e ritmiche essenziali l’accompagnano verso un orizzonte infinito, in un crescendo Dream Pop che è da annoverare tra le migliori cose ascoltate quest’anno. Convince sempre Romina, anche quando, grazie al banjo di Fabio Besomi, sceglie le strade più Folk (“The Dawn”, “Run Away”) per cantare le sue inquietudini, le proprie illusioni, la sua esistenza e quella degli altri ed anche quando invece cerca di colpire al petto con canzoni intime, più Pop (“Sandstorm”), grazie ad un uso sapientemente essenziale del piano suonato da Roberto Pianca, con tastiere, chitarre e Glockenspiel. Le ballate sentimentali non suonano mai melense e stucchevoli (“Distance Whitout”) e il quasi Funky di pezzi come “Plans” rivela una vena lisergica appena accennata ma dal sapore pungente e intenso (“Sulfur Seed”). Brani (“Dead Man”) che suonano a metà tra un certo Slowcore stile Sun Kil Moon e il Dream Pop femminile di certi Beach House, particolarmente tendenti al moderno Indie Pop e al Pop/Rock Soul (“Shooting Frames”). L’album si chiude con il brano più caotico, multiforme, ricco e carico di effetti e rumore, il più propriamente Alternative Rock anche se sempre in uno stile elegante e non certo disturbante.

Finisce cosi, lasciando il sapore forte ma delicato che solo certa musica strumentale e Folk può dare, specie se insaporita da una voce tanto affascinante, che lascia senza fiato, proprio perché sembra quasi senza respiro. Shimmer è un bagliore (più che un effetto per chitarra, come i più attenti tecnici potrebbero pensare) e come tale ti toglie la vista per un attimo, lasciandoti poi quella strana sensazione di qualcosa che esiste, senza essere veramente. Shimmer sarebbe stato un vero capolavoro se brani come “Blind Hawaii” o “The Dawn” avessero trovato più simili, in tracklist, di pari intensità. Non è un vero capolavoro, Shimmer, ma ci vorrà del tempo prima che la luce di queste canzoni sparisca dal nero dei miei occhi chiusi, appena prima di addormentarmi, aspettando primavera.

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2 a.m. – Songs for Newborn to Be

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2 a.m.: non si tratta di frequenze radio o cose del genere. 2 a.m. è semplicemente un duo costituito da Andrea Marcellini (notare le iniziali) e Andrea Maraschi (rinotare le iniziali) che, con queste Songs for Newborn to Be, si getta a capofitto nel mondo del Pop Rock italiano cantato rigorosamente in inglese. Un esordio che convince solo a tratti, anzi spiazza particolarmente per quanto riesce a farsi apprezzare e detestare con la stessa enfasi a ogni alternarsi di brano. Il loro stile sintetico che mostra un certo eclettismo e lascia immaginare la presenza di un ragguardevole estro compositivo, crea melodie intriganti sotto l’aspetto estetico, tutto condito però da arrangiamenti non troppo stimolanti e un programming che non convince in maniera confacente. Una sorta di Pop Wave che spazia tra Shoegaze di stampo Glasvegas (“Karmadipity”), Dream Pop e Psychedelia ma non elettrizza per nulla quando sceglie le strade più Pop, Emo, New Romantic e introspettive (“I Cannot Cry”, “Naked”, The Untold Words”, “The Magic Can’t Work”, “A Song for Newborns to Be”) e che invece trascina senza possibilità di riluttanza alcuna quando imbocca le vie della Wave sintetica e danzereccia a metà tra Thou  Shalt Not, Late of the Pier e Dance Punk in pieno Franz Ferdinand style (“PG”, “Clash”, “I Wanna Make Noise (in Your Life”)). Non ci si scervelli a cercare un barlume di originalità neanche negli episodi migliori del disco ma quello che possiamo fare è godere di una carica e di una capacità di coinvolgere e far smuovere il sedere non sempre presente nelle formazioni nostrane. Alla fine resta poco di cui essere felici, ma quel poco che resta è tanto ben fatto che la speranza è di poter avere in futuro qualcosa di più che un anonimo duo che miscela Pop ed Elettronica anche se probabilmente la strada giusta per lasciare il segno è quella triviale e carnale più vicina al culo che non al cuore.

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