Sdang! @ Garbage Live Club, Pratola P. (AQ) | 11.03.2017

Written by Live Report

Un live report chiacchierato.

Quando mi sono trovata a dover dire la mia su un album come Benji di Sun Kil Moon Silvio ed io ci conoscevamo da poco ma avevamo già capito che in fatto di musica ci saremmo ritrovati a discutere spesso (ma in fondo anche volentieri). Quel disco mi aveva lasciata un po’ così, mentre per lui si trattava di uno di quelli che sarebbero finiti di certo in classifica a dicembre. Da allora è passato qualche anno, ma i progetti che da subito hanno convinto entrambi li contiamo ancora sulle dita di una mano. Chiariti i presupposti, è facile immaginare la meraviglia nel renderci conto dopo pochi minuti di live che gli Sdang! ci avrebbero messo d’accordo, perchè ce n’è per tutti i palati nell’impasto sonoro messo a punto da Nicola Panteghini e Alessandro Pedretti nel loro primo full length, La Malinconia delle Fate, uscito a maggio 2016 con la collaborazione di La Fornace Dischi, Dreamingorilla, Taxi Driver, Toten Schwan e Acid Cosmonaut.
V
i proponiamo un resoconto della serata un po’ diverso dal solito, se vi va potete chiamarlo live report chiacchierato.

________________________________________________________________________________________________

Maria Pia: Sulla carta quella degli Sdang! non sembrava affatto un’impresa facile.

Silvio: No. Come affermano loro stessi, la musica che propongono vuol essere un raccontare storie senza parlare, e cosa c’è di più difficile? Inoltre sul palco per ora sono solo in due, chitarra e batteria, e quindi creare un sound potente, appassionato e appassionante non è cosa semplice.

MP: Certo è che quando gli elementi su cui contare sono così pochi è necessario padroneggiarli con una certa maestria per ottenere un risultato così denso e istrionico. Davanti a una qualità come quella di cui ha dato prova questo duo bresciano mi viene da pensare che se alcune proposte faticano ad attecchire in Italia sia sempre un po’ colpa di quel retaggio melodico implicito nella tradizione musicale tricolore, di quel credo a base di cantautorato per cui l’assenza di liriche rasenta la blasfemia.

S: Sì, esatto. Lo stile degli Sdang! è quello di band internazionali che hanno raggiunto livelli impensabili, come Godspeed You Black Emperor!, Drive Like Jehu e Battles, una tendenza che in Italia fa una fatica pazzesca non solo a trovare un “giusto” pubblico ma anche a tradursi in proposte valide, tanto che di formazioni sufficientemente note che propongano Post e Math Rock da queste parti se ne trovano davvero poche, e se si parla di progetti completamente strumentali la lista si riduce ulteriormente: penso ai Massimo Volume, che però sono imprescindibili dallo Spoken Word di Clementi, oppure ai Port-Royal, che però sfruttano al massimo l’Elettronica e le ritmiche più danzerecce. O ancora ai Giardini di Mirò, che puntano su un Post Rock più standardizzato e cinematografico, o agli Zu, che tuttavia, hanno l’apporto fondamentale del sax di Luca Mai.

MP: Appunto, parli di formazioni decisamente più numerose rispetto a loro. Anche i Battles che sono in tre comunque non possono prescindere da dosi massicce di sintetico nelle performance dal vivo, ne’ dal fatto che c’è un “regista”, che nel loro caso è Konopka. In due l’intesa dev’essere perfetta, altrimenti non funziona.

S: Sotto l’aspetto tecnico Alessandro e Nicola sono professionisti, e la meticolosità al momento del soundcheck ha avuto il suo peso, sin da allora da parte loro c’è stata un’attenzione maniacale per far sì che il sound riprodotto fosse esattamente quello cercato.

MP: Gli Sdang! non cantano e non si dimenano mai eccessivamente, eppure l’attenzione del pubblico è stata alta sin dall’inizio della performance. Alcuni passaggi li definirei quasi ipnotici e in arrangiamenti così volubili e coinvolgenti c’è spazio anche per parentesi Pop, di quelle che si appiccicano. Penso all’intro di “Martina”, chè quel giro di chitarra che poi esplode mi è rimasto in testa per un paio di giorni.

S: C’è stata una sorta di teatralità nel proporre i brani, grazie a cui in effetti sono riusciti a rapire i presenti al Garbage nel giro di pochi secondi. Anzi, la cosa che più ho apprezzato è stato proprio il minimalismo della chitarra, che riusciva a suonare sempre la cosa giusta senza infilarsi in tunnel di riff e schitarrate onanistiche, con la capacità di passare da atmosfere sentimentali di classico Post Rock a violente digressioni Metal, tra Neurosis e Isis, con una naturalezza incredibile. Il tutto in perfetta sintonia con la batteria, i cui cambi di ritmo, uniti ai tempi dispari, scivolavano nelle note con una dolcissima armonia.

MP: Un EP dai toni Alt Rock e poi le sei tracce che compongono il disco di esordio, dal sound decisamente più compiuto: a sentirli dal vivo non si direbbe proprio che il repertorio sia così ridotto. Tutto merito dell’eclettismo di brani come “Astronomica”, scatole cinesi di umori che si dipanano seguendo logiche compositive astruse e magnetiche.

S: Sì, in effetti la differenza tra i pezzi dell’ultimo lavoro e i precedenti si percepisce, ma l’unica pecca l’ho trovata forse nella scelta della scaletta, con maggiore energia nella prima parte a cui è seguito una specie di calo, non dovuto alla stanchezza ma proprio a brani più morbidi.

MP: Io invece ho apprezzato la virata finale all’intimo, la malinconia della chitarra all’inizio di “Scrivimi una lettera tra nove anni” che poi si lascia contagiare dalle percussioni nervose, così come la trama soffice di “Autunno” in chiusura ad evocare atmosfere à la Explosions In The Sky.

Il prossimo appuntamento al Garbage Live Club è con una combo tutta abruzzese, tra l’Hardcore Punk degli YesNoMaybe e l’Heavy Rock degli Anarcotic Bureau [ evento FB ]. La prossima volta in cui Silvio ed io ci troveremo d’accordo è a data da destinarsi.

Last modified: 22 Febbraio 2019

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *