Ramper – Nuestros mejores deseos

Written by Recensioni

Gli spagnoli ci regalano il disco più triste di questo tristissimo aprile.
[ 06.03.2020 | autoprodotto | post rock, slowcore ]

Il sogno trabocca,
ci incontriamo da svegli
Che ne sarà dei genitori che non amiamo?

Fatica che intrappola
sussurrando il nostro nome
Che ne è dei bambini che non abbiamo avuto?

Calma a casa
Accetto il coma
Cosa ci si aspetta da me?
Cosa mi aspetto da me?
Cosa ti aspetti da me oggi?Vedo edifici illuminati
pieni di bambini che giocano
Vedo amici stanchi
riempire i vuoti

Se ho un’alternativa
Ho scelto di rimanere qui
Ovviamente non c’è alternativa
Resta a guardarmi crescere

Ci vuole una dose di coraggio non indifferente per tirare fuori una roba così nel 2020 e non lo dico in tono ironico e canzonatorio. Ho una stima immensa per questi quattro musicisti di Granada, Jose Alberto “Joserto” López Rosales (batteria), Antonio Martín Ruíz (basso), Ángel Oreste Rodríguez Romero (chitarra, synth e cori) e Álvaro Romero Sepúlveda (chitarra, synth e cori). Provate voi a mettere insieme lo slowcore dei Red House Painters, certi suoni in stile Neutral Milk Hotel, chitarroni a strati Slowdive, alternative rock anni Novanta e farlo come se foste Jesu.

Provateci voi e se ci riuscite e fate anche che il risultato sia qualcosa di spettacolare e non un’accozzaglia eterogenea di roba. Ci vuole coraggio perché il post rock, il sadcore e tutti i generi che non fanno proprio dell’allegria un punto di forza, trovano spesso dei giganteschi muri innalzati dal pubblico mainstream; un coraggio dettato dal fatto che i Ramper non hanno pensato minimamente al loro pubblico possibile, limitandosi a suonare ciò che amano. Non chiamiamolo coraggio, quindi; talento piuttosto, perché è questo che viene fuori dall’ascolto di queste sei canzoni per circa cinquanta minuti che è anche il primo album (dopo una demo dello scorso anno) dei Ramper.

Dentro Nuestros Mejores Deseos c’è davvero tanta roba, non originale certo, ma comunque in quantità da fare felici gli appassionati di certi suoni dimessi; ci sono i Low, ci sono i Cigarettes After Sex, ci sono i Neurosis, ci sono i Mogwai, gli Slint, i Sigur Ròs, i My Bloody Valentine. C’è tutto quello di cui avrete bisogno se cercate un suono per deprimervi in maniera sana.

Il disco parte con la traccia omonima e con una discreta potenza tanto da lasciar presagire scenari differenti, funesti, schizoidi e violenti ma l’avanzare dell’ascolto rivelerà aspetti più oscuri con una ritmica che sembra presa a prestito dai Bauhaus o dai Massimo Volume (e ascoltando capirete il paragone strambo). Proprio i brani e i passaggi più misurati saranno protagonisti del disco, rubando spazio alle progressioni potenti post rock e rilevando le grandi potenzialità dei Ramper che mantengono alta l’attenzione sui pezzi senza mai dover esagerare e spingere eccessivamente l’accelleratore.

Ho fatto troppi paragoni, me ne sono reso conto ma è davvero difficile non farne e presto capirete; un disco che parla di un’adolescenza rassegnata, di sogni infranti, di speranze da costruire, di sogni suicidi che nascondono la voglia di essere qualcosa, qualsiasi cosa per qualcuno.

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Last modified: 14 Aprile 2020