Magic, Alive!, magia e rinascita insieme a McKinley Dixon

Written by Recensioni

Nel suo nuovo album, il rapper statunitense ci racconta una storia dal sapore tragicamente ricolmo di speranza, amore e magia.
[06.06.2025 | City Slang | conscious hip hop, jazz rap, neo-soul]

Magia, ovvero quel potere sovrannaturale che permette di compiere azioni normalmente impossibili, come non alzare la voce sui mezzi pubblici, volare sui tetti delle case a bordo di una scopa, dire alla persona amata che odiate il modo in cui si veste, far resuscitare i morti.
In quest’ultimo caso, i tre ragazzi protagonisti del viaggio offerto dal rapper statunitense McKinley Dixon hanno fortemente creduto che il loro amico, nonché quarto membro della scorribanda, potesse tornare in vita e ricongiungersi con quegli esserini umani che aveva lasciato tanto soli, tristi e pieni di domande irrisolte.

Alive!, io scelgo di vivere ogni giorno e il mondo che mi ruota attorno, improvvisamente, comincia a piacermi e io inizio a sorridergli, nonostante le sue innumerevoli storture e i suoi mille periodi “no”. I tre ragazzi capiscono che l’unico reale modo per riunirsi con il loro compagno è quello di renderlo spiritualmente vivo attraverso l’arte, la musica, la danza. Nessuna bizzarria, nessun pentolone contenente pozioni magiche miscelate: basta un po’ d’immaginazione e il gioco è fatto.

Under 30 (ancora per poco, eh), originario del Maryland ma in pianta stabile in Virginia, amante della letteratura senza tempo, il talentuoso artista che prende il nome di McKinley Dixon si ritrova nell’Anno Domini 2025 a promuovere già la sua quinta fatica arrivata dopo l’ultimo, acclamatissimo Beloved!Paradise!Jazz!?, dove il punto interrogativo finale sta ad indicare un’etichetta davvero molto stretta al rapper di Richmond.

Il suo sound eclettico viene definito come un incontro tra jazz, rap e conscious hip hop, ma Dixon alza gli occhi al cielo e ci tiene a confessare che la sua arte è priva di catene e classificazioni, una musica personale e intensa come i racconti che inserisce nei suoi testi, riflessivi e poetici.

McKinley Dixon © Dennis Larance
Tra letteratura e rituali afroamericani.

La sua musa ispiratrice principale è la scrittrice afroamericana Toni Morrison – scomparsa ahimè nel 2019 – e in questo nuovo lavoro il rapper della Virginia esplora il concetto di Magia riadattandolo agli scritti della Morrison stessa, la quale indaga spesso il tema della magia e del soprannaturale, intrecciandoli con la storia e la cultura afroamericana.

Magia come metafora di schiavitù, libertà, identità e memoria, attingendo dalle tradizioni africane, raccontando di miti, leggende e rituali, mettendo in campo una vera e propria connessione tra mondo spirituale e materiale. Magic, Alive! è l’inaspettato incontro tra passato, presente e futuro; è come ti muovi nel mondo, come affronti paure e delusioni, come concepisci l’amore e le piccole cose che ti rendono felice. Non c’è perdita che non possa sanarsi con i sentimenti.

Sentire è forse una delle parole chiave del mondo musicale e prima ancora emotivo di McKinley Dixon, o meglio ancora percepire attraverso i cinque sensi nuove forme di vita e di spiritualità, a stretto contatto con l’interiorità che ognuno custodisce dentro di sé.

C’è anche la scoperta di una copia del Grant’s Annual of Magic, il primo vero tentativo di demistificare la magia, trasformando i giochi di prestigio in qualcosa che si potesse realmente vedere, toccare e portare con sé, dietro l’idea di Magic, Alive!. Perché dietro ogni azione sbalorditiva e inspiegabile c’è sempre un trucco che lo spettatore fa fatica a capire, sorridendo all’idea che la magia è lì, dinanzi ai nostri occhi, e che non sempre necessita di risposte.

Se pensate sia solo un disco hip hop, vi sbagliate.

Ci lasciamo cullare dallo spoken word catartico di Dixon nella breve intro che introduce la storia dei quattro amici – un racconto che sa quasi di coming of age à la Stand By Me, per intenderci – in cui la voce narrante del rapper fluttua nelle note acustiche con una calma tragicamente rassicurante, per poi condurre la successiva traccia su note di sax e cori black tutti al femminile, marchi di fabbrica del Dixon più soul. Una goduria infinita, quasi da schioccare le dita a ritmo senza perdere neanche una battuta.

Il racconto procede serrato anche per merito dei sodalizi musicali con Ghais Guevara e Teller Bank$, già presenti nel precedente disco, a sottolineare l’importanza della collaborazione artistica non solo per Dixon, ma per buona parte della scena hip hop globale. In particolar modo, Bank$ prende il sopravvento a partire dal secondo dei tre momenti del singolo Recitatif, in una danza folle e caotica che richiama un certo stile à la slowthai, punk e nevrotico, in contrasto con la poesia delineata da Dixon nella prima parte del brano.

Prendiamo The Outkast, The Roots, Robert Glasper e il loro modo di guidare l’hip hop verso direzioni ora più funky, ora più rock, ora più psichedeliche, più altri ascolti che di certo il nostro rapper avrà fatto sin da giovanissima età. Mescolando tutto ciò con quella freschezza jazz moderna e raffinata, ecco che ne uscirà fuori McKinley Dixon.

I fiati aprono varchi che si fanno via via sempre più liberi, il fiato esplode rincorrendo col pedale sull’acceleratore un’oasi che sembra quasi irraggiungibile: Beloved!Paradise!Jazz!? fa echo in quel brano il cui titolo possiamo ricordare con piacere, ovvero Run Run Run part II. Le parole scorrono come un fiume in piena, mentre gli strumenti seguono che è una meraviglia per le orecchie.

La magia è dappertutto.

Questa è musica jazz, è black music, è world music, è aria da respirare a pieni polmoni, e la successiva We’re Outside, Rejoice! ne è un esempio lampante: elegante, sinuosa, da accarezzare nelle serate passate nei locali a bere e mangiare tutti insieme, con enormi tavolate che in silenzio assaporano i piatti tendendo un orecchio attento a questo disco. Attento, non perché debba capirne i testi o la complessità degli strumenti, ma perché è inevitabile che rapisca anche se si sta facendo tutt’altro.

“We danced, we survived, we flied, that’s Magic, Alive!”. Speranza, quella che esce dalle note di pianoforte, sassofono e archi della traccia finale Could’ve Been Different, che vede l’entrata in scena di ben due nomi decisamente all’altezza del caso: Blu e Shamir. I versi di questi due eclettici artisti chiudono il racconto con un tocco che scaraventa l’emozione al suo apice, probabilmente senza che noi ci accorgiamo della fine di questo viaggio così intenso in una dimensione tanto vicina alla realtà e, allo stesso tempo, altrettanto a contatto col suo opposto.

La magia non è un luogo, non è uno status, non è qualcosa su cui ridere sopra o di cui essere scettici. La magia è ogni giorno con noi, ci segue passo dopo passo in tutti i momenti di cui ne abbiamo bisogno e, all’occorrenza, è pronta a venir fuori attraverso una parola, un gesto, un suono. Basta solo chiudere gli occhi e immaginarla.

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Last modified: 6 Giugno 2025