Finalmente arrivato anche nelle sale italiane, il film diretto da Andrea Arnold racconta il riscatto umano attraverso una scanzonata dolcezza (e anche alcune canzoni che conosciamo piuttosto bene).
Avvertenza necessaria: l’articolo (scritto grazie anche al contributo di Sebastiano Orgnacco) contiene spoiler.
Dallo scorso giovedì 8 maggio anche nelle sale cinematografiche italiane, grazie alla distribuzione operata da Lucky Red, è finalmente possibile assistere alla visione di Bird, lungometraggio diretto da Andrea Arnold presentato in anteprima al 77° Festival di Cannes nel maggio 2024.
Protagonista del film – ambientato in un sobborgo del Kent settentrionale – è la dodicenne Bailey (Nykiya Adams), che vive con il giovane padre Bug (Barry Keoghan) in uno squallido appartamento occupato abusivamente. Bailey, ribelle e intraprendente, si autodescrive come un’adolescente “nata per cacciarsi nei guai”. Deve fare i conti con l’amara necessità di crescere prematuramente in una società allo sbando, con la pubertà e il proprio corpo che cambia, con l’opprimente responsabilità di dover difendere le sorelline e il fratellino minore dal violento compagno della madre.
A riscattarla, la sua continua ricerca di bellezza nella vita di tutti i giorni – prontamente documentata attraverso dei suggestivi video sul suo iPhone – ma soprattutto il fortuito incontro con un singolare sconosciuto che si fa chiamare Bird (lo strepitoso Franz Rogowski), in una straordinaria vicenda fra realtà e immaginazione, ai limiti del surreale.

Tra Britpop, post-punk e Burial.
Nel consigliarvi vivamente la visione di questo piccolo capolavoro, ci concentreremo di seguito sulla colonna sonora. Una soundtrack che gioca un ruolo importantissimo e “attivo” per l’intera durata del film e sicuramente desterà l’interesse del pubblico più attento in fatto di musica alternativa, grazie ad una dualità perfetta per immersione nella pellicola e atmosfere: da una parte si spazia fra evergreen del Britpop e post-punk revival contemporaneo, con brani sempre diegetici all’interno del film, provenienti da laptop o casse bluetooth, con cui i protagonisti interagiscono rendendo le canzoni a loro volta personaggi del film.
Dall’altra parte una colonna sonora extradiegetica e d’atmosfera, affidata nientemeno che alle sapienti mani di Burial, uno che di sobborghi, periferie inglesi e cieli grigi se ne intende.
“Is it too real for ya?”. Sono passati sei anni dall’uscita di Dogrel: forse troppo presto per elevarlo a moderno classico del genere, ma risentire quelle note è un tuffo al cuore. Too Real dei Fontaines D.C. accompagna una delle primissime scene di Bird; sono trascorsi solo alcuni minuti dall’inizio del film, ma l’effetto pelle d’oca è già assicurato.
Bailey e il padre Bug sfrecciano a tutta velocità fra le strade di una cittadina inglese, a bordo di un monopattino elettrico; una situazione che a primo impatto potrebbe apparire quasi idilliaca e spensierata, ma che invece nasconde tutto il peso di una realtà ben lontana da una felice apparenza. “I’m about to make a lot of money!”, canta a squarciagola Bug facendo l’eco al verso declamato dall’inconfondibile tono monocorde di Grian Chatten, illuso di aver trovato una soluzione definitiva ad ogni suo problema economico: un grosso rospo che produce un muco allucinogeno.

Di musica e di silenzi.
E anche i rospi, beh, hanno i propri gusti in fatto di musica. Quale sarà, quindi, il pezzo ideale per stimolarne la produzione di sostanze stupefacenti: Sleaford Mods o musica “sentimentale”? Facciamo un fast forward al momento in cui Bug e la sua gang si ritrovano a testare le abilità del miracoloso anfibio: la caotica Jolly Focker del duo di Nottingham viene bruscamente interrotta per lasciare spazio a qualcosa di più melenso.
È proprio Yellow dei Coldplay la canzone scelta da Bug e dalla sua gang (nella quale compare a sorpresa anche Carlos O’Connell dei Fontaines D.C.), accompagnata da un improbabile e stonatissimo coro. E, a proposito di Sleaford Mods e comparse, non perdetevi più avanti un’altra notevole interpretazione: quella di Jason Williamson, perfetto nel suo ruolo di “duro dal cuore tenero”.
Di musica si parla, ma anche di silenzi, come uscita d’emergenza da un quotidiano che non sembra lasciare scampo. Del corpo di Bailey completamente immerso in acqua in una delle scene più iconiche dell’intero film, le orecchie che annegano in quel mondo liquido e ovattato per non sentire, lo sguardo rivolto verso l’alto, perso in un cielo perennemente plumbeo.
A tenere saldamente legato ogni attimo riflessivo e ogni canzone, come un magico collante, la musica composta dal produttore londinese Burial: ora ossessiva, per adattarsi alla pesante atmosfera dei tetri vicoli sudici e tappezzati di graffiti, ora eterea e leggera, per non far rumore, come il battito d’ali di una farfalla.

Life ain’t always empty.
“Life ain’t always empty”. Tornano a farsi sentire i dublinesi Fontaines D.C. con la titletrack del loro secondo album, A Hero’s Death. Quel mantra che anche per molti di noi è stato salvifico in tempi di pandemia, qui è forse una delle chiavi di lettura più toccanti. La vita non è sempre vuota, nonostante le ingiustizie che ci tocca subire giorno dopo giorno, in un mondo nel quale ognuno fatica a trovare il proprio posto. La vita non è sempre vuota, se c’è qualcuno da amare e da cui sentirsi amati; qualcuno che sia per noi una famiglia, seppur disastrata e problematica che sia.
Ed è proprio la scanzonata dolcezza con cui vengono rappresentati quegli sgangherati rapporti umani e familiari, forse il vero e più profondo tema del film, a scioglierci sul finale. Bug si sente un uomo fortunato: pur non conducendo un’esistenza esemplare e perfetta, ha l’amore incondizionato dei propri figli su cui contare. Quindi, perché non lasciarsi andare ad un commovente ritorno verso casa con Lucky Man dei The Verve – aka l’esempio di dad music per eccellenza – in sottofondo?
Alzi la mano chi non ha mai pensato a quale pezzo vorrebbe sentir suonare al proprio matrimonio. La scelta di Bug, che finalmente riesce a sposare la compagna Kayleigh in un’improbabile cerimonia ben poco convenzionale, ricade su The Universal dei Blur. È anche tempo di addii per Bailey, che si trova a dover salutare per l’ultima volta l’amico Bird in uno struggente abbraccio. È triste, ma indispensabile; del resto, non abbiamo forse tutti bisogno di qualcuno che, nei nostri momenti più bui, ci stringa forte sussurrandoci all’orecchio “Don’t you worry”?
SEGUICI
Web • Facebook • Instagram • Twitter • Spotify • YouTube • Telegram • TikTok
Barry Keoghan Bird Blur Burial Coldplay Colonna Sonora film fontaines d.c. Franz Rogowski Nykiya Adams Sleaford Mods The Verve
Last modified: 14 Maggio 2025