Is It Now il momento delle Automatic?

Written by Recensioni

Al terzo album in studio, il trio di Los Angeles conferma una volta di più una grande coerenza e l’invidiabile capacità di saper evitare il mero revival.
[26.09.2025 | Stones Throw | post-punk, synthpop]

Ho così tante cose da fare che non so da quale iniziare. 
Hegel secondo me ha avuto lo stesso problema per tutta la sua esistenza, solo che lui si è fatto furbo e si è alleggerito la vita dividendo la realtà in gruppi di tre. Da sempre quindi, quando cerco di fare ordine, lo copio, sia che si tratti di attività pratiche sia che tenti di superare blocchi emotivi. Cerco padri, figli e spiriti santi in tutto. TRE. 
Da qui in poi si può partire.

3,2,1… via! Al momento dello scatto della copertina dell’album delle Automatic, questa frase è stata detta sicuro.  Che soddisfazione, che ordine ristabilito.

Terzo album di un gruppo composto da tre persone, che nel giro di tre anni (scherzo, sono attive dal 2019 ma mi serve dirlo per la triade) arriva a noi come il più completo e “nutriente” del loro percorso.
La band di Los Angeles formata da Izzy Glaudini, Halle Saxon Gaines e Lola Dompé ha la peculiarità di essere così professionale e coerente a ciò a cui si rifà che, se metteste una loro canzone nella playlist di una serata anni Ottanta, nessuno si accorgerebbe della non coevità.

Le Automatic ricordano sempre qualcosa o qualcuno, ma questo potrebbe essere semplicemente il frutto della risonanza creativa dell’epoca e quindi un prodotto originale, mai un mero revival. Esuli dalle mode, evitano il pastiche e ricordano il passato con piacere, senza rimpianti.

Automatic © Erica Devin Snyder
Mondi paralleli e amici elettrici.

All’interno di Is It Now? troviamo soprattutto Gary Numan/Tubeway Army. La sua presenza trasuda ovunque. In Country Song si apre l’ingresso al mondo parallelo fatto di amici elettrici, ma ci sono anche le indicazioni iniziali da hostess intergalattica che seduce l’ascoltatore – in pratica l’espediente su cui The RAH Band costruì Clouds Across the Moon. Et voilà. L’universo è attivato. 
Il pianeta Terra resta però il punto di riferimento – il basso rimane uno strumento centrale, quello che ci fa parlare di nutrimento.

In linea con il loro debutto Signal, più che con il secondo album Excess, dalla vena più pop, continua qui il trionfo totale di Mind Your Own Business dei Delta 5, brano già interpretato dalla band nel 2019 e che nel nuovo album torna senza paura in mq9 sotto forma di chiara citazione. Si sente che questa è la roba in cui sono immerse dalla testa ai piedi.

Anche Lazy una spolverata di fatti li cazzi tua non se la fa mancare, ma con alla base una sensualità adulta e concreta che rimane subito in testa, basta ascoltarla che so… tre volte. 
Il mondo parallelo è elettrico, vero, ma forse è anche un po’ oscuro e così brani come Smog Summer e Don’t Wanna Dance arrivano per farci romanticizzare la nostra quotidiana decadenza.

Un limbo tra sogni e terraferma.

Io ho tante cose da fare, e la pressione mi fa fare anche meno di quello che già normalmente farei. Quello stronzo di uccello verde di Duolingo, per esempio, mi sta rendendo un’attività arricchente come imparare l’arabo un incubo. Se non fai gli esercizi per un giorno, diventa tutto rosso e ti scatena i sensi di colpa.

Certo è che non mi aspettavo di sentirmi sotto pressione anche ascoltando le Automatic, visto che l’album si chiude con Terminal, che non solo ha percussioni ipnotiche e grida à la Giuni Russo, ma è anche – se Duolingo funziona e ci azzecco qualcosa – cantata interamente in arabo (la voce è di Diana Quandour, loro amica e guest del disco).

Il risultato è che il finale ci lascia ancora una volta a metà strada tra lo spazio dei sogni e la terraferma. Quella in cui le stiamo tentando tutte per dare vicinanza a chi di opzioni in questo momento non ne ha.

Ora vado a fare i miei esercizi, scusate.

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Last modified: 27 Settembre 2025