Ufficio stampa, booking o etichetta? Intervista agli Unruly Girls

Written by Interviste

Quattro chiacchiere su come una piccola band debba fare musica oggi.

In occasione dell’uscita del loro nuovo album, Epidemic, di cui vi ho già parlato nell’articolo sulla Dirty Beach Records, ho fatto quattro chiacchiere con il duo di Benevento cercando di scoprire qualcosa in più sulla loro musica, su come si possa produrre canzoni oggi e magari capire cosa succerà agli Unruly Gils, ma non solo.

Ciao ragazzi, complimenti: nuovo disco e nuova, giovanissima, etichetta. Come mai avete scelto di puntare proprio sulla Dirty Beach Records?

Oltre a condividere la stessa sala prove, conosciamo Gianluca Timoteo da un bel po’ di tempo; un giorno ci disse di voler mettere su una label indipendente con lo scopo di promuovere progetti musicali della zona e non solo e l’idea ci piaceva. Siamo due identità emergenti, quindi è un rapporto basato anche sulla solidarietà reciproca.

Gli Unruly Girls arrivano da Benevento. Non conosciamo la realtà dei concerti nel vostro paese ma supponiamo che ci siano le stesse difficoltà che si ritrovano in tutti i centri che non possono definirsi metropoli. Ora la pandemia. Che ne sarà della musica e dei live?

Viviamo in un posto ostile dal punto di vista culturale e musicale, una piccola provincia nella quale bisogna investire una forza maggiore per uscire dal guscio, per esprimere semplicemente ciò che hai dentro. Il paradosso è il gran numero di band valide qui nel Sannio. Tutti noi ci interfacciamo con realtà oltre confine, proprio perché la nostra posizione geografica ci è limitata e penalizzante. La pandemia? Sì, una brutta faccenda, ma vogliamo credere a una ripartenza più bella; la musica live tornerà.

Luigi Limongelli e Luca Zotti. Siete voi le anime degli Unruly Girls. Eppure, sarà il solo Luca a portare la vostra musica in giro e nei live se ve lo permetteranno. Come siete arrivati a questa decisione e in che modo riuscite a non far perdere nulla di ciò che siete?

I Singapore Sling cantavano “Life is killing my rock’n’roll” e questa frase rispecchia quanto sia difficile far combaciare la vita del musicista con le dinamiche della vita pratica, quotidiana. Siccome oggi fare musica significa farsi anche qualche debito, c’è bisogno di lavorare, di sopperire in qualche modo. Il lavoro, gli studi, rientrano in queste dinamiche, non sono cose orribili sia chiaro, ma risultano spesso incompatibili. Il lavoro che fa Luigi non gli permette tanto di muoversi, quindi abbiamo deciso serenamente questo “split”, lavoriamo insieme in fase di composizione e produzione, mentre solo Luca porta il nome in giro. Abbiamo trovato il giusto compromesso per non alterare la performance.

So che i musicisti non amano le etichette che invece noi giornalisti o recensori sfruttiamo per descrivere nel minor spazio possibile. Elettronica, garage e synthpunk. Non è semplice con voi; se doveste lasciar stare i generi, come descrivereste la vostra musica a qualcuno che non vi ha mai ascoltato?

Suoniamo una musica energica, sporca e acida con attitudine punk. Niente di complicato, pezzi abbastanza brevi e incisivi.

Il vostro stile è tutto tranne che mainstream; c’è però una sottile ricerca melodica anche nelle vostre canzoni. Scelta ponderata per alleggerire il suono o predisposizione naturale?

Crediamo sia naturale, una sorta di vocazione interna. La ricerca di sonorità più armomiose dipende sia del nostro intuito musicale sia dalla nostra formazione personale, sono oscillazioni emotive facilmente riscontrabili nei nostri lavori.

Sono passati tre anni dal disco d’esordio. Com’è cambiata la vostra musica e come sono cambiati gli Unruly Girls?

Non sappiamo dire se c’è stato un cambiamento stilistico o di genere in questi tre anni; sentiamo la nostra musica più carica di emotività, questo è dovuto a un consolidamento del nostro rapporto su diversi fronti. Per noi rappresenta un fattore di cambiamento che sta contribuendo alla crescita umana e artistica del progetto.

Ho definito la vostra musica degna dei più oscuri locali industrial del nord Europa. Poi ci sono brani come Chanson Massacre; da dove arriva nello specifico un pezzo come questo?

Grazie per il complimento, allora non vediamo l’ora di suonare anche nei locali più oscuri del nord Europa. Chanson Massacre è la nostra lucciola nelle tenebre, il nostro pianto, un canto d’amore. È il brano che destabilizza il flow del disco, volevamo dare ancora più enfasi a questa sorta di “spleen” con la sensualità del cantato in francese, da qui è nata l’idea di chiederlo a Maria Pia Santillo, una nostra amica che studia e vive a Parigi, lei è anche l’autrice del testo ed è subito entrata in sintonia con la musica.

La vostra non è musica lugubre; eppure utilizzate liriche non proprio spensierate finendo per creare un clima grottesco che ricorda molto The Faint. È il suono a suggestionare i testi o il contrario? E perché questa sorta di contrasto?

I due processi s’influenzano a vicenda, non c’è uno schema preciso tra la stesura di un testo e la composizione delle musiche, le due cose si abbandonano all’atmosfera che loro stesse creano.

Nella mia recensione, parlo di una miriade di riferimenti ma un suono che finisce per suonare unico. In fase compositiva riflettete su cosa vi ha ispirato? Cercate di omaggiare le band di riferimento oppure fate attenzione a non suonare troppo “come qualcuno”? Sono cose cui pensate quando componete e riascoltate le vostre produzioni?

Non facciamo caso a questa cosa in fase compositiva; le influence che riceviamo le metabolizziamo sicuramente ma non sono un modello di riferimento o un punto di partenza per la creazione di un brano. Poi sai come si dice, le note sono sette, può capitare di essere accostati a qualcuno in particolare. La cosa simpatica è che spesso ci paragonano a band che non ascoltiamo mai.

In Epidemic ho notato una consapevolezza dei vostri mezzi che non si riscontrava in precedenza; eppure c’è ancora qualcosa d’incompiuto che fatico a comprendere; se derivante dai mezzi a disposizione, dalla fretta di chiudere il disco o da una precisa scelta stilistica. Alcuni pezzi sembrano bozze di canzoni strepitose, ancora da perfezionare. C’è qualcosa di vero in questa mia osservazione?

Si è una cruda verità; ogni artista si affeziona troppo alla sua opera e questa cosa non è sempre efficace per il prodotto stesso, un progetto si apre e riapre all’infinito con l’intento disperato di correggere qualcosa. Un altro fattore importante che hai menzionato è la consapevolezza dei mezzi, cerchiamo di creare il nostro sound con quello che abbiamo, la ricerca, la sperimentazione dipendono anche da quello che hai a disposizione; tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno non sono sempre accessibili per noi o per chi come noi investe in strumenti musicali con i soldi guadagnati con i live o dai proventi. Il guadagno è un percorso molto lento, ma soddisferemo anche questo desiderio.

Torniamo un pochino indietro. 2017. Cruel Tales, Prenderla a mala fa male sai. Testo in italiano. Forse l’unico che abbiamo mai cantato non in inglese. Perché quel pezzo e perché l’idea non è stata portata avanti?

Amiamo non prenderci troppo seriamente, fa parte del gioco. “Prenderla a mala fa male sai” è il nostro brano dai toni umoristici e provocatori. Luca scrisse il testo in una sera adattandolo su due accordi molto semplici, poi è venuto tutto con naturalezza. Era la prima volta per noi l’approccio con la lingua italiana, con l’inglese si predilige il valore fonetico della parola, mentre con l’italiano è più difficile metricamente, e si rischia sempre di rimare qualcosa di banale. Ne faremo ancora.

Sempre a proposito di estero: come può una piccola formazione italiana che suoni musica che con l’Italia ha poco a che fare a proporsi fuori dai confini nazionali?

Deve cercare il più possibile di allargare le proprie vedute e di espandere il più possibile le proprie connessioni. C’è un mondo davvero affascinante là fuori, ma lo devi scoprire da solo, oppure conoscendo persone che credano in te e che possano promuovere e spingere la tua musica, farla giungere a orecchie “diverse”.

A proposito di promozione; ora più che mai sta diventando importante l’aspetto estetico della propria proposta. Sembra necessario essere in grado di utilizzare con efficacia ed efficienza i social e tutti i canali che possano ampliare il pubblico. In che direzione si muovono, in tal senso, gli Unruly Girls?

Viviamo in un’epoca in cui l’apparenza è la prima cosa a catturare gli occhi della gente, ma bisogna adattarsi allo stato attuale delle cose. Curare l’aspetto estetico delle proprie piattaforme è sicuramente importante soprattutto da un punto di vista comunicativo, ma è una questione relativa, curare l’immagine non è una prerogativa o un criterio credibile, ci sono parecchi gruppi che curano molto la propria immagine ma non sono affatto convincenti, come pure ci sono altrettanti progetti interessanti super cool che non hanno nemmeno Facebook o altro.

Restiamo sul discorso promozione; per una piccola formazione quanto è importante per far ascoltare la propria musica, avere a supporto, in ordine: un’etichetta; una booking; un ufficio stampa; buone capacità relazionali e tempo da spendere.

Bisognerebbe capire quanto sia effettivamente efficiente il rapporto tra band e qualsiasi identità dell’industria musicale. Se queste collaborazioni si basano solo sul lucro, su come spillare euro a gruppi emergenti, il rapporto finirà presto; un rapporto senza passione tende a morire velocemente. Dovrebbero essere relazioni basate sulla fiducia reciproca, sul rispetto e sul confronto per attuare un percorso promozionale valido e concreto, è inutile investire denaro per un ufficio stampa, se quest’ultimo non svolge il proprio lavoro con serietà e impegno, molti si limitano a fare cose che potresti benissimo fare da solo, è una questione di tempo e di contatti. Prima le etichette investivano sulle band, ora sei tu a pagarle, paghi una cosa che già è tua solo per farla stampare, ovviamente non è un discorso generalista e polemico, ma parliamo in base alla nostra esperienza personale, ci sono etichette, invece che lavorano con serietà e passione e credono davvero nello spirito della band. Il fattore booking pensiamo sia la cosa più importante, bloccare più date possibili, trovare il contatto giusto, suonare costantemente, rappresentano le cose di maggiore rilevanza per farsi conoscere e conoscere il mondo.

Ultima domanda. Proviamo a volare con la fantasia: quale sarebbe il più grande sogno per gli Unruly Girls? Ora torniamo con i piedi per terra. Quali sono i più grandi obiettivi concreti a medio e lungo termine che pensate di poter raggiungere?

Sogno e realtà si fondono, vorremmo continuare a suonare con la stessa intensità, umiltà e passione ancora per un bel po’ di tempo, fare dischi, concerti e trovare il giusto equilibrio con le nostre vite sperando in una scossa a questa epoca non proprio entusiasmante.

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Last modified: 7 Maggio 2020