L’album in collaborazione tra la band di Oklahoma City e l’artista texano è un viaggio onirico da ascoltare in solitudine.
[31.10.2025 | Computer Students | primitive americana, noise rock, folk]
“So I’m sitting now / Half in the earth / With the ghosts of my friends / And the ghost of the world / And the echo is endless”
(Radioactive Dreams)
C’è un affluente del Mississippi che si chiama Red River e che, oltre a dare il nome a una delle rivalità universitarie più forti d’America, ha la funzione di confine naturale tra Texas e Oklahoma. Siamo nel profondo Sud-Ovest degli Stati Uniti, immersi completamente dentro paesaggi che sembrano uscire da una sceneggiatura di Taylor Sheridan. Prima di accendere i fanali delle metropoli texane bisogna viaggiare lungo distese pianeggianti, se non desertiche, proprio nella culla del Red River, con la sua argilla rossa che ne tinteggia la peculiarità. E la storia di questo disco collaborativo nasce proprio qui, lungo il confine tratteggiato sulla mappa tra i due stati.
Due artisti che si incontrano per dare vita a un’uscita che saprà trasportarvi dentro le atmosfere del Cormac McCarthy più polveroso e desolato e i quadri ritualistici di Georgia O’Keeffe. I nomi in questione sono quelli dei Chat Pile da Oklahoma City e di Hayden Pedigo da Amarillo, Texas.
Due artisti che paiono appartenere a mondi inconciliabili: da un lato una band che fa del noise rock il suo scheletro primordiale, dall’altra invece uno dei compositori e chitarristi più intriganti della nuova tradizione americana, con il suo pizzicato sulle corde che narra moltissimo della sua terra natia. Un incontro che avviene nella scena suburbana dell’Oklahoma e che, da ipotetico split, si trasforma in un capitolo a sé da scrivere e incidere per l’etichetta Computer Students.

Tra rassegnazione post-moderna e dolcezza notturna.
In the Earth Again è un disco onirico da ascoltare in solitudine, come se foste in cammino sul selciato di un pueblo che invecchia incrostandosi di sabbia portata dal vento e metallo arrugginito. È l’anima invecchiata di un cowboy del West che, inesorabile, si deteriora dentro una decadenza neppure più urlata. Un album che sfuma verso un orizzonte ambrato, caldo e sensuale, che si bagna dell’odore liquido della resina di vecchie querce e punge come gli spuntoni di un cactus, ferendo le cicatrici più oscure e inquietanti, come nell’allarmante quiete profetica di Demon Time: “All the castles of the world will burn / But someday all the demons will return / And they will find you / And they will fuck you up”.
Una collaborazione che sa stupire, prendendo delle pieghe narrative e musicali che, vista l’estrazione artistica dei nomi coinvolti, si possono sì immaginare, ma che vengono eseguite con coraggio, avanguardia e una sorprendente omogeneità di intenti.
E quindi possiamo prima trovare una profonda rassegnazione umana post-moderna in Never Say Die!, per poi aprirci alla dolcezza notturna sussurrata da Raygun Busch, autore di una prova vocale cangiante e magistrale. “Before the life goes from my eyes / before all magic is lost to time, you’re here / with me”, canta il frontman della band dell’Oklahoma in The Magic of the World, lasciandosi trascinare dagli arpeggi di Pedigo e dal mellotron del fido Cap’n Ron.
Nella trentina di minuti di durata dell’album vi destreggerete per un sentiero rurale che collide pure con l’universo impervio e sludge a cui ci hanno abituato i Chat Pile, che si avvalgono anche di registrazioni ambientali e tape loops, ma che suonano compatti e metodici come nella marziale The Matador, che fa da architrave portante del lavoro. Una traccia industriale dove i Nostri lasciano i solchi per un mondo che sembra dover cancellarsi per tornare allo stato embrionale della spiritualità: “Oh and things fall apart / And no one knows / Body breakdown / Going blind / The second sun now / melts my eyes”.
Un amalgama perfetto.
La bellezza d’insieme sta comunque nel ruolo di Hayden Pedigo, che risponde sempre con una strumentalità atmosferica che distende il tempo e dilata lo spazio, con la bravura di chi non vuole prendersi un palcoscenico e che anzi amalgama perfettamente la sua dimensione primitive folk con una sensibilità che i Chat Pile non solo scoprono di possedere nelle proprie vene, ma che rendono addirittrua trascinante, come nelle sottili distorsioni di Radioactive Dreams o nell’intreccio chitarristico di Behold a Pale Horse, dove Pedigo e Luther Manhole ci portano con la mente tra i cavalli purosangue mustang che fuggono nella libertà della natura selvaggia.
La ricchezza spontanea, intima e genuina di una band in stato di grazia come i Chat Pile è ulteriormente sintetizzata nello struggente finale acustico di A Tear for Lucas, dove sentirete la fragilità emotiva di un Raygun Busch che siede sul suo portico a ricordare le immagini di amici che non ci sono più: “So I’ll toast my friend / While time allows / ‘Cause I loved you then / And I love you now”.
Gli arpeggi si spengono, In the Earth Again sfuma e ciò che rimane è un’enorme sensazione di soddisfazione, perché, nonostante Cool World sia uscito solo nel 2024, l’impressione è di aver appena finito di ascoltare un disco che rappresenterà un nuovo motivo per far sì che i Chat Pile meritino di essere annoverati tra i nomi più chiacchierati della scena. E possiamo dire con serenità che, grazie allo spessore artistico di Hayden Pedigo, si è concretizzata una delle migliori uscite del 2025 musicale.
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Chat Pile – Bandcamp
Hayden Pedigo – Bandcamp
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Last modified: 31 Ottobre 2025




