Hibou Moyen – Lumen

Written by Recensioni

Il terzo LP di Giacomo Radi tra suoni sixties, trame cantautorali, echi pop psichedelici e inclinazioni folk.

[ 21.02.2020 | Private Stanze | cantautorato, alt pop ]

Luce e buio, ombre e aperture improvvise. “Hibou moyen” (“gufo comune”): un moniker perfetto per muoversi nell’oscurità, che fa emergere l’amore per la natura e per gli animali che l’artista mette in scena anche in alcuni dei suoi pezzi.

Un lavoro in chiaroscuro, questo di Giacomo Radi nel suo progetto solista giunto al terzo full-length, che segue gli album precedenti – Inverni (2014) e Fin dove non si tocca (2016) intervallati dall’EP Ancora Inverno (2015).

Dopo essersi avvalso della collaborazione del cantautore Umberto Maria Giardini per il precedente album, questa volta Radi si occupa in prima persona della produzione, con Andrea Scardovi. Ne viene fuori un lavoro fortemente intriso di suoni sixties, tra trame cantautorali, echi pop psichedelici e inclinazioni folk già presenti nelle precedenti prove, in cui mellotron, archi, piano e chitarre creano una perfetta base per le caratteristiche vocali dell’artista.

Tra gli episodi maggiormente degni di nota, la traccia di apertura Uragano, in cui si può cogliere un intro dal sapore psichedelico quasi beatlesiano. Gli scheletri delle comete non sfigurerebbe nel repertorio di Afterhours, Marlene Kuntz o Vasco Brondi (“e mi risvegliano al mattino esplosioni nucleari”). Serotonina è lenta e ipnotica, ma nel crescendo finale potrebbe chiamare in causa Kurt Cobain.
L’omaggio a un certo cantautorato italiano più intimista e nello specifico a Sergio Endrigo, si fa esplicito e dichiarato in Era estate, storia di un’amore riletta attraverso il filtro dei ricordi.

Undici pezzi con esiti non sempre perfettamente riusciti, ma che danno complessivamente vita a un racconto coerente di ricerca di sé anche attraverso percorsi nostalgici e nel rapporto con la natura.

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Last modified: 5 Marzo 2020