Guilherme Nunes – The Archetype

Written by Recensioni

Dall’allegria degli esordi alla risoluzione dei tormenti interiori a suon di post-punk.
[ 05.03.2021 | autoprodotto | post punk, alt rock ]

Nato a Castelo Branco in Portogallo ma residente a Basel-Landschaft in Svizzera, Guilherme Nunes è un talento eccezionale, considerata la sua giovanissima età (classe 2002) e il suo trascinante secondo full length, interamente registrato in casa tra settembre 2020 e lo scorso febbraio.

Un lavoro che, per assurdo, presenta già una maturità stilistica, lirica e concettuale da far invidia a tanti suoi colleghi più avanti con gli anni e che, per l’autore, rappresenta una sorta di necessaria catarsi in un momento delicato della sua esistenza. The Archetype è un album che tratta il divenire delle cose, il mutamento e la sua composizione è avvenuta proprio in un momento di scontro interiore dell’autore tra il suo stato d’animo e ciò che gli accadeva intorno finendo per diventare il testamento del superamento delle sue difficoltà.

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Superato il pop psichedelico a suo modo leggero dell’esordio, il sound del portoghese si fa più estremo, malinconico e introspettivo con diverse derive che attraversano trasversalmente il post rock più freddo, senza disdegnare atmosfere e suoni propri del dream pop con una vocalità, quando presente, criptica e ansiosa in perfetto stile post punk.

Pur non potendo parlare di The Archetype come di qualcosa di perfetto e assoluto, sia in termini innovativi che compositivi, si tratta di uno di quei dischi capaci di farsi amare dalla prima all’ultima traccia; un disco che sembra sempre rimandare alla mente altro, che non ha picchi incredibili eppure che è impossibile non far girare in loop a lungo nello stereo. La batteria sorda che ascoltiamo nel singolo Awakened sembra ispirarsi al capolavoro degli Have A Nice Life e poco importa se il risultato non può ovviamente essere lo stesso e la stessa voce di Guilherme è una miscela in salsa lo-fi tra gli Interpol e i The National più carichi e melodici.

Tara, di oltre quindici minuti, è un lungo omaggio alla più oscura tradizione post rock e per qualche secondo ci sembrerà di vedere lo spirito di Michael Gira impossessarsi del portoghese per trascinarci con lui all’inferno. Un pezzo complesso che inquadrarlo in una definizione sarebbe impossibile ma che meglio di ogni altro riassume tutto quello che troverete nel disco.

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Ovviamente, la cosa che più dispiace è il fatto che la totale autoproduzione palesi lacune importanti specie in fase di mixaggio ma ora ci limiteremo a considerare le composizioni per quello che sono. Altro fattore importante, cui abbiamo accennato, è l’incredibile differenza tra esordio e secondo album. Si può mostrare due lati di sé tanto diversi senza risultare poco credibile? Ovviamente è la sensibilità di chi ascolta che deve fornire la risposta, e la mia dice semplicemente si, se non altro perché, a riascoltare Unveil, potreste scovare qualche anticipazione del tormento attuale, come si trattasse di un’anima in pena che nasconde il suo male in una irreale allegria.

Non aspettatevi, nonostante quanto detto, un disco pesante come un macigno: al contrario tanti sono i brani energici come Forgotten To The Sea, dritti, facili e post punk nella maniera più orecchiabile possibile e sono anche questi pezzi che fanno del disco e del suo ascolto un dovere morale per ogni appassionato del genere.

Stavolta non c’è nessun capolavoro da osannare: solo un gran disco di un talento freschissimo che scommettiamo avrà ancora tanto da raccontare. E noi sogniamo un mondo in cui a scommetterci siano anche quei produttori sempre più impantanati nella mediocrità commerciale.

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Last modified: 16 Luglio 2021