Sabato scorso abbiamo assistito al debutto live italiano del quartetto di Manchester: ecco com’è andata.
[07.06.2025 @ Arci Bellezza, Milano]
Giusto un mese fa ripescavo tra i CD Songs About Jane dei Maroon 5. L’ho riascoltato con attenzione, quella che si dedica alle cose ritrovate durante sessioni furiose di deep cleaning.
Ne ho tratto questo: non me ne frega niente se molti li schifano, perché ho realizzato che una tale coerenza pop rock non l’ha più mantenuta quasi nessun gruppo, negli anni.
I Maroon 5, se ci pensate, non ci hanno mai truffato, al terzo album non abbiamo dovuto dire “si sono venduti”. Per l’intero percorso non hanno fatto nient’altro che essere loro, sempre inglobando qualche tendenza dei tempi, s’intende, quindi con scelte di gusto più o meno discutibili, ma Songs About Jane è un esordio lucidissimo nelle intenzioni.
Anche la mira lo è: pubblico quasi esclusivamente femminile (e conseguente massiccia adesione segreta da parte degli uomini eterosessuali) e ricerca, dal vivo, di qualcuno che completi i ritornelli. L’importante è che, mentre aspetti la risposta, tu tenga una mano dietro l’orecchio da cui l’In-Ear è stato sganciato meccanicamente; l’altro braccio, invece, si deve dedicare all’esortazione.
Tutto parte di un linguaggio ben codificato.
Che possa piacere o no questo processo, agli esordi di Adam Levine si richiedeva un repertorio ben nutrito prima di poter applicare il sopracitato piano d’azione; più di vent’anni dopo, a quanto pare, basta aver imparato le regole della performance e via. Un album è sufficiente.

Forse un eccessivo manierismo?
Ora, immaginate i Corella come dei piccoli Maroon 5 (anche se sono in quattro), già con le idee chiare sul proprio futuro, con un indirizzo scritto, che si prevede lineare e in crescendo. Si annusa che non vogliono niente da chi cerca una piccola, sfiorata forma di spigolosità o sperimentazione nella musica e nelle parole.
L’obiettivo è avere una risposta estatica dal pubblico (loro lo chiamano “family”), il quale viene invitato a ripetere fonemi impersonali. Quasi fuori tempo storico, in parte. Teneri.
L’impressione che si ha assistendo al primo live italiano dei Corella è che potrebbero essere sul palco di un circolo Arci come già headliner a Glastonbury. E non al 100% in senso positivo. Suonano bene, sono tecnici, incontaminati, ma, oltre a delle buone canzoni da imparare a memoria, sembrano schiavi di manierismi che lasciano talvolta interdetti, visto l’heritage che dovrebbero avere, venendo da Manchester.
Neanche un capello sporco da tour in furgone, neanche una chiazza di Peroni sui pantaloni. Lo so, è un discorso generalista, non è che se sei di Manchester devi girare con la felpa Umbro e farti spaccare gli incisivi per sembrare un Gallagher a fine anni novanta. Ma, a dimostrazione che non si può scappare veramente da mamma e papà, ascoltate l’attacco di Come Around: sembra un pezzo ripulito di Noel Gallagher’s High Flying Birds. Paro paro.

Un’eredità pesante.
Waterfall è un misto tra i Pinguini Tattici Nucleari e un preset di Nicki Minaj all’epoca d’oro degli anni dieci. E anche qui, attenzione con i titoli quando i tuoi precursori sono The Stone Roses. Dov’è l’alone di magia? She’s a waterfall.
E, finendo con una delle canzoni con cui hanno iniziato, Head Underwater, ecco che troviamo un concentrato bignamico rock che in radio funziona da Dio e che può portare veramente tanta gente sotto al palco. Quello che ti fa anche vendere un quintale di fasce da legare in testa con la band ritratta in PNG, roba così.
I Corella sono dei professionisti. È certo che diventeranno un nome.
Riempite voi con congiunzioni avversative, se credete.
Qui altre foto della serata, scattate – come quelle che trovate all’interno dell’articolo – da Andrea Tedone.

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Last modified: 10 Giugno 2025