Con Deadbeat, Tame Impala ha trovato la techno (ma la techno non ha trovato lui)

Written by Recensioni

Kevin Parker torna dopo cinque anni con un nuovo lavoro e una rinnovata voglia di far muovere i culi. Peccato che nessuno gli abbia insegnato come fare.
[17.10.2025 | Columbia | psych-house, pop]

Ci ha messo cinque anni a dare un seguito a The Slow Rush, il nostro caro Kevin Parker, e nel frattempo il mondo sembra essersi ribaltato. TikTok ha fatto esplodere la popolarità della band alle stelle, con The Less I Know The Better diventato rapidamente il pezzo più rappresentativo del progetto, mentre lui esplorava nuovi territori quali a) la musica elettronica e b) la vita da padre.

Se tracce come Glimmer, la produzione per Dua Lipa o la recente collaborazione con i Justice sembravano portare Tame Impala verso territori più french touch, l’interesse di Parker è andato nella direzione opposta: al groove ha infatti preferito i freddi bpm della techno; al lato più funky e danzereccio, l’approfondimento della cultura bush doof e della scena rave australiana, l’idea di prendere un camioncino con due casse e piazzarle in una radura, circondato da ragni e serpenti velenosi (questa la mia immagine mentale dell’Australia, spero coincida con la vostra). Una ricerca elettronica di ritmi ancestrali, un’estasi continua che non si tramuta quasi mai in un euforico rilascio, ma trascende, va oltre.
La domanda sorge spontanea: ci sarà riuscito?

© Julian Klincewicz
“Manca qualcosa”.

Già dai primi singoli estratti, l’impressione comune sembrava essere: “manca qualcosa”. E se End Of Summer poteva rappresentare una nuova sperimentazione da rave in cui Parker poteva ancora risultare inesperto, Loser e Dracula si presentavano come un immediato ritorno a quel psych-pop-funk che aveva già funzionato alla grande in Currents e The Slow Rush. The Less I Know The Better, no? Breathe Deeper, Let It Happen, Borderline… l’elenco continua a lungo.
Questi nuovi singoli non raggiungono mai quel livello, assestandosi piuttosto su una generica struttura di “canzone da TikTok” che non lascia grande spazio all’inventiva o allo sviluppo delle idee: basta che ci sia uno snippet di 5-10 secondi facilmente ricordabile e pronto a diventare virale (“I’m a loser, babe” da una parte, “Makes me feel like Dracula” dall’altra), come un Djo qualsiasi.

Qualunque brano di The Slow Rush, a confronto, sembra provenire da un classico senza tempo. E persino la criticata End Of Summer ne esce rinvigorita, impegnata com’è ad avvilupparsi su sé stessa in modo goffo ma, almeno in parte, divertente. Eppure, confrontati con buona parte del resto di Deadbeat, Loser e Dracula sembrano dei pezzoni.

Prendete l’iniziale My Old Ways: il pianoforte e la ritmica house ciclicano su un midtempo che non sfocia da nessuna parte, promettendo un build-up centrale anche interessante, che però svanisce come una bolla di sapone proprio quando iniziava a prendere bene. Come canta Kevin Parker: “Here goes nothing”.

Troppo poco da salvare.

Peggio fa la successiva No Reply, un mantra tribale su cui si snodano alcune delle lyrics peggiori della storia dei Tame Impala (“You’re a cinephile, I watch Family Guy / On a Friday night, off a rogue website”) e Oblivion, altro tentativo di electro-psichedelia con drum machine che resta in un limbo: troppo debole per provocare un minimo di euforia, troppo forte per essere una semplice canzone da “vibes”, come la classificheranno in molti.

Malissimo anche See You On Monday (I’m Lost), una ballata sintetica coinvolgente quanto il volo disordinato di una cimice, e una Piece Of Heaven al saccarosio, dedicata al figlio, che cita pure Enya.
Obsolete invece è il pezzo che cerca di collegare questa nuova era di Tame Impala senza spina dorsale a quella vecchia, inserendoci un groove che prova almeno a tenere sveglio l’ascoltatore. Il risultato può variare da persona a persona: io non la odio particolarmente, ma non è che smanio per riascoltarla, ecco.

Ma quindi è tutto da buttare?
Eh, quasi – anche se qualcosa da salvare c’è. Not My World, ad esempio, per una buona metà è probabilmente la peggiore canzone scritta da Parker: un tappeto techno senza alcuna velleità melodica su cui si srotola un mugugno in modalità mumblecore, senza quasi seguire un vero ritmo o delle metriche coerenti. Poi arriva il drop, e quel drop da solo è la cosa migliore di Deadbeat: esaltante come i migliori DJ set e appagante perché arriva proprio nel momento in cui ogni speranza era svanita. Troppo poco per salvare il disco, abbastanza per salvare la canzone.

Ethereal Connection invece è il pezzo da rave di Tame Impala: etereo e martellante, oscuro e senza compromessi, esattamente quello che mi aspettavo quando è stata pubblicata End of Summer, e probabilmente il punto più alto raggiunto dal Kevin Parker DJ.

Per concludere, Afterthought è un altro brano riuscito che non avrebbe sfigurato su The Slow Rush: c’è groove, c’è varietà, c’è una melodia appagante. Dopo c’è appunto End of Summer, e dopo ancora il disco è finito. Troppo poco e troppo tardi per riuscire a salvarlo in corner.

Una naturale conclusione?

Ben lontano dalla costanza di un Caribou (che di questa cosa è il re assoluto) o dalla qualità di un Jamie xx (un altro che sa plasmare la materia elettronica e quella “indie” a proprio piacimento), Kevin Parker vaga smarrito nei 56 minuti di Deadbeat, con lo sguardo vacuo e un sorriso ebete sulla faccia.

I colori che hanno da sempre contraddistinto l’avventura Tame Impala sono svaniti, soppiantati dal grigio della copertina. Le nuance psichedeliche che ci facevano godere a ogni curva, da Innerspeaker in poi, sono quasi inesistenti, sostituite dalle grafiche Canva che hanno accompagnato ogni passo dell’arrivo di Deadbeat, con quel lettering abominevole tanto è banale. Il suono da full band dei precedenti lavori è stato soppiantato dall’immagine di una singola persona che pigia play su una drum machine per vedere l’effetto che fa, il problema è che si sente. E l’impressione è che il progetto Tame Impala stia andando backwards, stavolta per davvero.

Cos’è successo, quindi? Come la leggenda di Sansone, Kevin Parker ha perso la sua forza (in questo caso il suo talento) tagliandosi i capelli? Ha trasferito tutto ai figlioli per proprietà transitiva e ora è un guscio vuoto, come i cestisti derubati di ogni abilità in Space Jam?
Oppure, semplicemente, l’evoluzione continua di Tame Impala di album in album ha imboccato un percorso naturale, di quelli che portano gli animali a estinguersi, le band a sciogliersi e i nomi sulle line-up a essere seguiti dall’infame scritta “DJ set” per il resto della carriera.

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Last modified: 21 Ottobre 2025