Live Report

LUCI A SAN SIRO BRUCE SPRINGSTEEN AND THE E-STREET BAND

Written by Live Report

La notte è madre delle emozioni più intense. Delle più irresistibili pulsioni, delle risate alla vita amara e dei più irrazionali pianti. E c’è qualcuno che tutto questo lo sa benissimo: piglia la notte in mano e la spreme fino a farti piovere addosso gioia e dolore, amplificati sotto un cielo buio e tetro. Questo è il fascino dello stregone, che in realtà si confonde in modo magistrale tra la gente comune.
Lo stregone ora non è più un giovane ragazzetto, ma ha la pozione magica per stare in pista 4 ore senza segni di cedimento e la stazza di chi le maniche se le rimbocca ancora anche solo per dirigere una festa, insieme a 60 mila adepti. Accompagnato da scaltri maestri da lungo tempo fedeli nell’esecuzione dei suoi riti, il mago trasforma tutto ciò che è insipido in piccante o aspro. E tutto questo, dopo tanti anni, ricapita di nuovo quando sale sul palco di San Siro di nero vestito e con in mano il suo scettro: una sgualcita e deturpata Telecaster color natural.
Bruce Springsteen and The E-Street Band sono tornati a predicare. E questa volta la loro festa scarna e prepotente, carnale e mistica risulta essere più corale e più spirituale che mai. Alle 20.30 appaiono 16 ometti, alcuni attempati e altri nuovi arruolati (tra cui un’intera sezione fiati, novità di questo tour). Sotto un cielo ancora ricoperto di un offensivo barlume grigio i ragazzacci del New Yersey imbraccciano gli strumenti quasi ad invocare la notte, che oggi appartiene a tutti noi “amanti”. E il lunghissimo rito (tengo a ripetere e a precisare, 4 ore di concerto senza mai scendere dal palco!) parte con il roboante gioco tom-rullante del solidissimo Max Weinberg, che ci fa subito capire che oggi le sue braccia voleranno alte per picchiare con la foga di un uomo capace di creare il suo personalissimo “caos calmo” senza versare una sola goccia di sudore (incredibile!). Infine entra lui, il Boss, il nostro predicatore, il nostro stregone e senza tante ciance ci spara: “We Take Care Of Our Own”, tutti uniti, Italia e America sono un tutt’uno in questa gigantesca e compattissima arena. Siamo uniti dalla sua passione e dalla sua festa che calpesta la disperazione e il disagio di questi tempi, strappandoci un pianto isterico di rabbia e tanta voglia di riscatto, succede nelle intensissime “Jack Of All Trades” e “Wrecking Ball”. Poi l’attenzione si sposta, nella eterna preghiera “My City Of Ruin” la sua personalissima città crolla al ricordo di Clarence Clemons (ex sassofonista scomparso esattamente un anno fa) e Dani Federici (tastierista e fondatore della E-Street Band). Mai la musica di Springsteen è stata così gospel, San Siro è la sua chiesa e la forza delle sue grida, roche e potentissime aprono il cuore di tutti noi fedeli. Ma ricordiamolo ancora, non fa mai male: questa è una festa. E allora partono le antiche “Spirit In The Night” e “The E-Street Shuffle”, il testimone passa dal gospel al blues, con una maestria di chi ha imparato tutto dalla propria terra e ce lo vuole raccontare. Esperienza che non si ottiene solamente graffiando vinili dentro un vecchio grammofono, ma masticando la terra delle infinite autostrade e delle metropoli con il cemento nel cuore. Il cuore e la sua infinita speranza però spezzano il cemento quando a fianco di Little Steven il vecchio saggio ruba alla notte i sogni infranti, ma mai perduti, di “The River”. L’altalena pende di nuovo verso l’introspettività fino a toccare il suo apice con la versione piano e voce di “The Promise”, suonata da Springsteen come se facesse sentire per la prima volta la canzone ai suoi figli, e ci sentiamo tutti più vicini a lui.
Ma alla E-Street Band non basta piantare la bandierina dentro i nostri cuori. Vuole proprio scuoterci lo stomaco. La seconda parte dello show è un tiro unico, una corsa senza pit stop e Bruce è sempre più in mezzo a noi, persino in senso fisico, improvvisando innumerevoli stage diving. Ci è riuscito di nuovo: palco e pubblico sono un’entità sola. Il trucco prediletto dallo stregone è sempre il solito: portare coi piedi per terra tutta la sua poesia che vola nella notte, la sua arte così cruda e sempliciotta da commuovere noi poveri mortali. E questa sera il trucco funziona più che mai.
In questa ultime due ore e mezza, si mischiano pezzi nuovi e vecchie glorie, anche inaspettate come il blusaccio marcio di “Johnny 99”, “Out In The Street”, terribilmente muscolosa e tamarra e la frenetica “Candy’s Room”. San Siro sorride a denti stretti, con una tensione pacifica e una felicità incontenibile sempre in bilico tra introspezione e coralità. Bruce e la sua band sono colla per l’anima.
Quando tocca alla gioiosa “Waiting On A Sunny Day”, il Boss grande e grosso cantata con una splendida e timida bambina pescata dal pubblico. Lo show non sono fuochi d’artificio e luci strabilianti, ma siamo noi ammagliati e stregati dal nostro domatore (piccola frecciatina a due a caso: capito Bono e Chris Martin?).
Il concerto è eterno, passano via le ore e canzoni che portano gioia, passione, dolore, rabbia, amarezza ma mai e poi mai sconforto o segni di caduta. La risalita dopo la distruzione è tutta riassunta in “The Rising”, la percepiamo davanti alle casse e davanti al magistrale crescendo elettrico della più grande live band al mondo.
Si arriva in fretta ad un finale sbracatissimo dove vengono inanellate tonnellate di hit: “Hungry Heart”, “Dancing in The Dark”, con una pazza scatenata sul palco a ballare con il novello Jake, impeccabile al sax prende il posto del compianto zio Big Man, ricordato con un onesto e sobrio tributo in “Tenth Avenue Freeze Out”. E poi ancora il sudore di “Glory Days” fino al pugno pieno di terra bruciata e teso al cielo di “Born in The USA”, per ricordarci che qui si fa anche politica, ci si balla sopra con il sorriso nonostante il cuore e il portafoglio siano malati e deturpati.
La festa chiude i battenti a mezzanotte inoltrata con una scioltissima “Twist and Shout”. Tutte le luci dello stadio sono ormai accese da decine di minuti, a ricordare che il concerto dovrebbe essere già terminato da un pezzo. Ma questo non è un semplice concerto e San Siro a fari accesi pare ringraziare il suo pastore più che redarguirlo e lo fa con il suo unico mezzo a disposizione, la sua accecante luce artificiale. Luce che sebbene priva di anima prova a colorare una notte senza stelle, e sappiamo tutti noi presenti che una notte così merita di essere illuminata per tutto quello che ha donato al nostro stregone, che non ha esitato un instante a farlo suo per amplificarcelo dritto in faccia.

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NO-BRAIN – NOBRAINO A TORINO

Written by Live Report

Li abbiamo visti pochi giorni fa al Primo Maggio e credo che tutti gli spettatori, anche i più distratti con Rai3 in sottofondo mentre tentano un meritato pisolino, siano rimasti catturati da questa band.
Si dice che siano uno dei migliori live act in circolazione, e anche dentro il tubo catodico non hanno deluso le aspettative. In poco più di 10 minuti di show hanno strapazzato il palco del concertone di Roma: tutine trasparenti con grotteschi palloncini/profilattici in testa, un cantante che, oltre a tuffarsi spavaldamente in mezzo al pubblico rischiando di rompersi tre costole, prende un bel rasoio elettrico e si tosa il crine in diretta. Insomma i Nobraino potrebbero scrivere un manuale su come vivere al meglio il famoso quarto d’ora di celebrità di Warhol (in realtà suonavano qualche anno fa in un programma della Dandini…prendiamola come un secondo giro di ruota della fortuna).
Qualche giorno prima del fatidico Primo Maggio, Rockambula ha avuto l’opportunità di presenziare ad un loro show all’Hiroshima Mon Amour, storico e prestigioso locale torinese. Location forse un po’ azzardata per il quintetto di Riccione, che si presenta davanti a una platea calda ma un po’ diradata nell’ampia sala concerti.
Nobraino sono un gruppo sui generis e lo si capisce subito dalle prime note. Sono in tour con un nuovo album e iniziano il live con un inedito “Esca viva” (impresa che in tutta la mia vita ho visto fare solo a Bruce Springsteen). Nonostante l’azzardato inizio stabiliscono immediatamente un pazzesco contatto col pubblico: dote che sappiamo essere ben rara in qualsiasi tipo di band.
Il loro frontman Lorenzo Kruger è un vero pagliaccio folk, un menestrello con vestiti improponibili persino al Circo Orfei, a metà tra idolo delle balere e santone new age, ricoperto da una barba che rimane lontana dall’essere spocchiosamente intellettuale e gli dona aria gioiosa e buffamente mistica. La sua voce profonda (che pecca solo per essere troppo vicina alle corde basse di De André) parte dagli abissi e ti strappa un sorriso storto. Perché nella loro satira, nel loro stile circense, i Nobraino trasmettono una gioia tesa, spensieratezza sull’orlo del precipizio, sempre senza utilizzare troppo schemi e ragionamenti.
Passano veloci tanti brani (molti dall’ultimo e ambrato “Disco d’oro”): tanta musica in questo show matto e divertente. Spicca nella prima parte “Record del mondo” a metà tra folk e rock’n’roll, quello dei padri fondatori, radice ben dura da estirpare. La band è precisissima e trascinante, il basso di Bartok pulsa come il miglior funky di Flea, Nestor Fabbri schitarra con inconfondibile stile da ganster jazz anni 40, Vix percuote serenamente le pelli, sta sopra le nuvole con spensieratezza degna di colui che suona con e davanti ad amici. E poi la trombetta di Dj Barbatosta dona pepe ad una pietanza già molto saporita e scatena da sola pogo e salti di un piccolo ma caliente pubblico.
Il momento più intenso è incastonato nell’unica ballata del set: “Film Muto”, puro diamante di musica pop italiana; un leggero e breve viaggio a mezz’aria, disegnando il cielo ma coi piedi ben saldi per terra.
Ogni canzone (anche le più frivole) sono poesie dritte e puntate al “cuore muscoloso”. La band cerca di dribblare il nostro cervello in questa ora e mezza di live. Ma quando lo tocca lascia un bel livido. Si ragiona poco in questa gara, ci sono tanto sudore e tanta velocità. Non c’è tempo neanche per una scarica neuronale, la frenesia di questo live concede al cervello pochi istanti, ma la band li sfrutta benissimo, con trovate al dir poco aguzze.
La corsa punta al “record del mondo di chi sta più bene” (“sarò esonerato da qualsiasi tipo di competizione” ci dice la già citata canzone) e prevede tra i vari contorni alle canzoni: una poesia di strada (improvvisata?) di Kruger su un bidone dell’immondizia in mezzo al pubblico, stacchetti comico-musicali degni del miglior Benny Hill e una costante interazione col persone ed oggetti del pubblico (divertente il contest da luna park: “centrare l’asta del microfono con un cappello di paiettes”). Si ride, si canta e si balla. E questa è la forza della loro semplicissima festa, dura e pura, che distrugge la razionalità e pompa brividi nello stomaco. E la loro musica è la perfetta colonna sonora: mai troppo snaturata dalla triste razionalità. Anche il cantautorato italiano allora può’ essere divertente.
Il finale è dedicato a classici come “La giacca di Ernesto” e “Bifolco”, che chiudono il siparietto. Palco e platea sono un tutt’uno in questo encore, tant’è che Kruger è più sotto che sopra il palco. Ci saluta e si dirige verso i camerini saltellando tra noi, a suo grande agio nella sua dimensione migliore. Quella di partecipante attivo della strampalata festa.
Devo proprio ammettere che ci voleva un concerto così, me ne ritorno a casa con il mio neurone che orbita pacioso e ben rilassato.

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Massimo Zamboni

Written by Live Report

Voglio narrarvi una storiella alquanto triste. Avete presente quando in strada o in un locale, dove diavolo volete insomma, incrociate lo sguardo di una donna e il vostro cuore inizia a battere i denti. Qualcosa di oltre il semplice piacere estetico, qualcosa di più assoluto. Vi fate forza, le dite qualche parola imbarazzata e stupida e voi sudate gonfi d’amore e poi sparite, entrambi, per sempre. O no. Sapete che quell’amore durerà per sempre ma poi, magari, la rincontrate e maledicendo Dio, capite che proprio in quell’istante avete smesso di amarla. Venerdì all’ex Wake Up di Pescara (si! Ha riaperto, almeno fino a maggio, con nome Zu::Up o qualcosa del genere (Zu::Bar, altro locale della zona andato in fiamme letteralmente qualche mese fa + Wake Up) sempre nella vecchia location) è accaduto qualcosa di simile. C’era il concerto di Zamboni, proprio lui, l’ex chitarrista e compositore di CCCP e CSI, le band che hanno segnato la nostra adolescenza “ribelle” a modo nostro, una delle più stravaganti e geniali formazioni che la fertile Emilia abbia mai prodotto. Lui è sul palco ed io lo osservo, curioso e intimorito mentre appoggiato al bancone mi gusto la compagnia di un Americano da cinque euro (lezione di vita numero 1 – Una consumazione all’ex Wake Up è sempre cinque euro, birra o cocktail. Fai la scelta giusta calcolando la proporzione a te ideale tra gradazione alcolica e gradevolezza). Sembra che il problema del tempo che passa non sia un suo problema, sempre uguale a quel giovane sognatore che con Ferretti vagava per la Mongolia. Mi vengono in mente mille ricordi, di amici svaniti, serate passate sotto un ponte, tra materassi vecchi, Peroni ad ascoltare Zamboni. Poi il concerto inizia. Lui solo sul palco, con chitarra, i suoi testi e qualche base. Ed io mi rendo conto che qualcosa sta per accadere. Le mie emozioni di cristallo cominciano a farsi in mille pezzi. Con una voce improponibile e testi pseudo impegnati, alterna canzoni che paiono semplici bozze a brani Spoken Words talmente anacronistici che puzzano come cadaveri imbalsamati e rispuntati dalla terra in un’altra dimensione spazio temporale. Siamo circa trenta persona. Quasi tutte siedono a terra, ai piedi del palco. Trepidamente in silenzio, si applaude con fare incerto. Qualcuno sembra apprezzare. La realtà mi sembra lontana. Vedo una mescolanza di ragazzi diversi, spaesati, che si chiedono perché sono lì. Altri hanno paura di urlare “Che è ‘sta merda” per timore di apparire ignoranti. E tanti sembrano rispettare più che gradire. Di scatto mi alzo e decido di andare. Non resisto che quasi mi viene da piangere. Tutto troppo imbarazzante, per me, per lui, forse anche per chi mi ha chiesto dieci euro. Punkow è crollata sotto i bombardamenti tanti anni fa. E noi neanche ce ne eravamo accorti. Il volto di Zamboni è Dorian Gray. La sua musica, il suo dipinto.

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Paolo Benvegnu

Written by Live Report

Non è solo un talentuoso cantautore che si esibisce dal vivo su un palco, Paolo Benvegnu.
E’ un performer a 360 gradi. Un interprete, un teatrante, un clown contemporaneo che riempie il palco con la sua presenza scenica creando ironie e paradossi , giocando con le parole come se fossero le corde della sua chitarra.
Un Benvegnu che fa ridere, che sorprende, che stupisce, intrattenendo il suo pubblico e divertendosi insieme a lui.

Ad un certo punto ci racconta che lui parla una lingua straniera e che noi riusciamo a capirlo solo perché hanno inserito una polverina strana dentro le nostre bevande.
Abbattendo la quarta parete come si dice a teatro, si mette completamente a favore del suo pubblico. Mostrando quello che è: Un personaggio assolutamente autentico, quello che due minuti prima ti fa l’imitazione di un recente Piero Pelù e subito dopo ti commuove con canzoni in acustico come Cerchi nell’acqua, immancabile brano del suo repertorio insieme a Rosemary Plexiglass.

Un repertorio che, se non di modifica molto nel contenuto, è ogni volta una sorpresa nella forma. Un trionfo di improvvisazione su una scaletta solo abbozzata, oggetto di continue sperimentazioni e rimodellamenti. Plasmata da Benvegnu stesso sulla base anche delle sue evoluzioni. Come uomo prima che come artista.
Chiunque lo conosce percepisce e apprezza il fatto che lo spettacolo non sia mai uguale a sé stesso. Per questo conosco gente che Benvegnu se lo va ad ascoltare ogni volta che gli sia possibile. Per questo vi invitiamo a seguire le sue prossime performances live. Da non perdere.

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Tv Lumiere

Written by Live Report

Scena 1: Interno Notte
Introducono il live dei Chaos Physique i Tv Lumiere. Talentuosa band
Ternana che da anni fa parte del circolo virtuoso dell’etichetta indipendente Acid Cobra Records, figlia del buon Amaury Cambuzat, che dei Chaos è voce e mente geniale.

Al di là di un palco fumoso il battito accellera sulle prime note dei
brani di ‘Addio amore mio’, ultimo lavoro che i Tv Lumiere portano in tour da diverse
settimane. Arrivano i brividi quando Federico, il cantante, inizia ad
accarezzare le corde della sua chitarra con l’archetto di un violino, per
dare vita ad una danza a volte lenta a volte convulsa con lontani echi di Ian
Curtis che, come Federico mi confermerà poi, è un riferimento costante della band.
Esplode il cuore con il brano finale, tratto dall’album di esordio ‘Tv Lumiere’.
Un’invocazione e mille evocazioni per una band che negli anni è stata
capace di creare uno stile assolutamente personale, low-fi in modo originale e
non facilmente replicabile.
Non sono animali da palcoscenico, formalmente parlando, i Tv Lumiere.
Performano con lo sguardo fisso sull’orizzonte della quarta parete ma, nonostante questo, quello che la loro musica genera è un flusso di innamoramento reciproco e continuo tra loro e il pubblico che li ascolta.

Non ti guarda Federico mentre canta. Non ammicca, ma cazzo quanto lo senti.

Scendono dal palcoscenico e mi complimento sinceramente con loro.
Bacchettandoli più tardi perchè, nemmeno questa volta, “mi hanno fatto” i Gatti”.

Scena 2_Sempre interno notte:
Il live all’Init.. continua con l’ascesa sul palco di Amaury Cambuzat e i suoi Chaos Pshysique.
Un uomo e musicista geniale, Amaury.. un essere speciale per citare qualcuno più famoso di me.
Sta alla voce e contemporaneamente sbatte sulle tastiere o fa l’amore con la sua chitarra. E’ con tutto il corpo che suona mica solo con le mani. Il caos fisico è tutto concentrato su di lui e sull’energia nervosa che riesce a trasmettere in un mix scellerato di noise punk e buona psichedelia. Progetto interessante e caotico 1975. Etichettato Jestrairecords.Uno di quei progetti che prende la forma di colui che lo plasma con le sue nude mani. Un disco di cui ri-sentirete parlare.

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ZEN CIRCUS, BUSKING A TORINO

Written by Live Report

Tutto ebbe inizio con un loro pezzo ascoltato nella compilation del 2009 “Il Paese è Reale”, idea di Manuel Agnelli per promuovere con il consolidato marchio Afterhours un po’ di realtà del nostro stivale. Degno di nota, per carità. Però in quell’album la traccia 13 (insieme a molte altre a dire la verità) la mandavo sempre avanti.
La trovavo fine a se stessa. Catastrofica e poco significativa per il mio ego musicale e per il mio spirito. Insomma, non assolutamente fastidiosa come il brano degli Zu, ma decisamente insapore. O meglio ardentemente desideravo fosse insapore. Ma tutte le dannatissime volte che mi dimenticavo di mandarla avanti, mi infastidiva un po’. Non mi scorreva addosso come l’acqua della doccia, non mi entrava e usciva dalle orecchie senza ostacoli come la parentesi sulla Formula 1 al telegiornale. Con quella frase all’inizio che distrugge la poca educazione religiosa che ti rimane dal catechismo: “La storia ce lo insegna che se Dio esiste è un coglione”. Con quel riff così sporco e quella cattiveria così gratuita e arrogante.

Qualche anno dopo (ovvero pochi mesi fa) grazie al web social approccio per curiosità un manciato di brani degli Zen Circus e scopro di provare per loro la sensazione che già ho provato la prima volta che ho visto un film di David Lynch: estremo, razionalmente non mi rappresenta, senza freni, ma divarico appena le dita delle mani che mi coprono gli occhi e faccio entrare questa oscura magia dentro di me. La differenza ora però è semplice. Mentre Lynch è reale solo nel suo (e forse anche un po’ nel mio) strampalato cervello, gli Zen Circus sono reali nei palazzi di periferia, nella disoccupazione, nella bestemmia, nello spietata lotta al qualunquismo, in questo baraccone di falsi eroi, nell’Italia di Berlusconi (che non mi pare proprio sia finita). Insomma sono reali nella truce quotidianità. Oscuri più di Lynch, perché il loro buio lo vedi tutti i giorni in giro e non solo nel tuo malato cervello, ma i nostri pisani ci ridono sopra sarcasticamente e l’oscuro lo fanno cantare con le loro canzonette. Pazzesco.
Insomma, di tutti i 19 artisti scelti da Agnelli e soci, scopro che questi sono sicuramente i più “reali”. E alla fine vinco le mie stupide tare mentali e me li faccio piacere, fino ad adorarli proprio! Amo contraddirmi in questi casi, anche se non amo ammetterlo.

Pochi mesi dopo mi ritrovo ad uno loro concerto, a Spazio 211 a Torino. E’ il mio primo concerto degli Zen Circus e pare per giunta essere un live molto acustico (il tour è stradaiolo, ha l’inconfondibile sapore del tintinnio della moneta nella custodia della chitarra, tant’è che porta l’inequivocabile nome: “Busking Tour”). L’acustico si sa è la prova del nove, dove emergono le magagne spesso coperte dal baccano elettrico e la scarnificazione della canzone puo’ a volte riservare spiacevoli sorprese.
Sono dunque un poco scettico, continuo a far valere il mio testardo pregiudizio, guardando lo stage con occhio critico prima dell’arrivo dei ragazzi. Anche perché ad aprire la serata c’è il cantautore torinese Stefano Amen, che non mi convince molto né per l’andamento stanco del suo moderno cantautorato, né per il piglio troppo profetico, che non si addice troppo alla serata circense che si aspetta.
Ma dopo un brevissimo cambio palco, tre magri ometti salgono sul piccolo stage dello Spazio 211 di Torino e risultato? Mi becco un bel “vaffanculo”, che si sa i ragazzacci pisani non hanno alcuna remora a invitarti a visitare luoghi poco profumati. Perché citando proprio un loro verso: “A chi critica, valuta, elogia, figli di troppo o di madre noiosa”. E siccome io non mi sento nè di troppo (dato che sono primogenito) nè di madre noiosa, capisco il mio errore e la smetto subito, mi limito dunque a raccontare.

Con “Atto secondo” si aprono le danze, la potenza è impressionante. Una bizzarra formazione (ma in generale, non solo in questo live direi) con Appino e Ufo sempre appiccicati ai loro legnetti acustici e Karim picchiatore di cartoni dell’Ikea e innaffiatoio (notare innaffiatoio come tom, non ho captato la differenza con le pelli finché non ho visto il beccuccio verde dell’irrigatore in plastica), un vortice di elettricità che vibra dalla purezza del legno (e della cartone e della plastica), distorta dai loro tocchi violenti, incazzati. Si, perché gli Zen Circus possono suonare pure il triangolo e gli xilofoni, ma rimangono la band più incazzata d’Italia. E non c’è volume e distorsione che tenga.
Il gruppo scherza tra un’accordatura e l’altra manco fosse in garage con quattro amici di vecchia data, i tre pisani sembrano meno incazzati quando se la ghignano tra di loro insultandosi a vicenda senza mezze misure. Poco professionale, ma molto sincero.
La prima parte di scaletta scivola via e incanala un classicone dietro l’altro. Si passa da “Ventenni” a “Gente di Merda” (in acustico ora mi piace quasi e non perde il tiro del riff incalzante), da “Figlio di Puttana” a “L’amorale”. Il pubblico del piccolo club torinese è calorosissimo e scatena ad ogni pezzo un tripudio di sfogo e di liberazione.
Se andiamo a guardare bassi tecnicismi, la band dimostra di sapere suonare, come per me si suona dal vivo il rock’n’roll: sudore e nervi. Lo si nota bene nella cavalcata finale di “Andate tutti affanculo”, vera e sanguigna, anzi sanguinolenta. Perché gli Zen sanno fare male con le loro affilate parole, mai troppo forbite e mai troppo banali. Hanno la schiettezza di saper utlizzare il sarcasmo nel degrado, pochi scrupoli di coscienza insomma, pochi come ce li facciamo con i nostri amici stretti nel parlare del più e del meno. E questo li rende pazzescamente reali.

A metà concerto Karim, vero showman della band, imbraga un’improbabile asse metallico (un’asse di una sedia?) e, spiattellandoci sopra le sue manone impreziosite di anellazzi, genera groove, arte in cui il pirata toscano pare essere ben dotato. Qui si intonano un paio di canzoni (per intenditori) da “Villa Inferno” e infine “Ragazzo Eroe”, e si scatena un bel pogo stile “anni 90”. Tempo per Karim di ritornare alle pelli (e cartoni e plastiche) che Appino fa cadere neve e stelle comete (e forse anche qualche santo) dal soffitto dello Spazio 211 con “Canzone di Natale”. Anche qui il Circo apre una parentesi cabarettistica scherzando sull’incarcerazione dello spaccino Abdul ma “tranquilli con l’indulto tra poco lo tirano fuori”, ci dice Ufo con il suo buffonissimo accento toscanaccio.
Un attimo di “snobbismo”, un baleno di dieci secondi, in cui la band fa la finta, esce ma rientra subito per gli ultimi pezzi. “Milanesi al Mare” è perfetta in questa versione da strada e non perde affatto lo spirito sixties, un bel boogie per affondare il macigno dei pensieri in questo tragicomico scenario.
Poi accade ciò’ che da un lato speravo, la ciliegina sulla torta che rende questo spettacolo uno dei più veri e onesti che io abbia mai visto. Gli Zen Circus scendono dal palchetto del locale con basso e chitarra acustici e un cajon di cartone (proprio acustici qua, senza neanche l’impianto) e si mettono a strimpellare “Ragazza Eroina” in mezzo a noi. Ma la cosa incredibilmente vera è un’altra e la noto davanti ai miei occhi. Appino pesta il piede di un ragazzo dietro, smette di cantare e chiede scusa.
Gli antieroi sono loro. Talmente vicini e onesti che non potresti mai pensare che oggi siano i migliori sulla piazza. Ma non esageriamo con gli elogi se no “affanculo” mi ci rimandano per la seconda volta.

 

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La Nuova Onda dei Diaframma

Written by Live Report

Un amico che suona per i suoi amici.
Si potrebbe descrivere così il concerto di Federico Fiumani, leader dei Diaframma, tenutosi il giorno 2 Marzo presso il locale Riunione di Condominio.
La stanza qualunque di una casa qualunque, un palchetto minuscolo, e un live da brividi per una delle figure di riferimento della cosiddetta New Wave Italiana anni 80, in particolare quella Fiorentina che vede in prima linea anche i Litfiba di Desaparecido e i Neon.

Un genere curioso la New Wave, che negli anni ha avuto evoluzioni complesse, contaminazioni continue e nuove ispirazioni.
L’onda di Fiumani oggi si chiama “Niente di serio” nuovo disco in promozione questi giorni.
E Federico, Venerdi sera, sembrava aver davvero voglia di “niente di serio”: Ha scherzato con il suo pubblico, spesso si interrompeva per fare una battuta, a volte dimenticava le parole.
Ma i suoi fan, gli affezionati, lo amano proprio per questo.
Perché Fiumani, nonostante tutto, è rimasto un Puro. Perché Fiumani quando finisce il concerto il palco se lo smonta da solo, si rimette la sua giacca a vento e senza troppo clamore si mischia tra la folla come se fosse esattamente uno di loro.
Lontano dal glam del pubblico di massa, quello a cui negli anni si sono più avvicinati gli eterni rivali dell’epoca, i Litfiba, Fiumani se gli stai simpatico il nuovo disco te lo regala pure.
Io mi sono avvicinata per fargli alcune domande e tra l altre cose, abbiamo parlato di che senso abbia parlare di new wave oggi.
Siamo giunti insieme alla conclusione che, come per altre forme d’arte, qualsiasi etichetta è giusto un elemento funzionale a categorizzare una mole di materiale altrimenti non codificabile.
Federico è un puro ma è tollerante: Non giudica male gli artisti che si avvicinano ai circuiti Mainstream, così come non critica il compromesso artistico, se fatto bene.
Mi dice che secondo lui “L’artista deve essere sempre infedele” perché lo scopo dell’arte è mettersi continuamente in discussione. Mi dice di no anche quando, un po’ faziosa, gli chiedo se i MK, andando a S. Remo, si sono sputtanati.
Io a questo Fiumani già gli voglio un poco bene.

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Namless Crime + Ephesar

Written by Live Report

Namless Crime + Ephesar Live@Sea Legend (NA) 26 Febbraio 2012

Tanti e diversi sono stati gli ospiti che hanno calcato il palco del Sea Legend, un locale di Pozzuoli che ultimamente sta diventando una vera garanzia e notando le prossime programmazioni ci aspettano grandi sorprese. Domenica 26 Febbraio al Sea Legend si sono esibiti i Namless Crime, una band partenopea dedita al thrash metal, carichi di un nuovo disco intitolato “Modus Operandi” e con alle spalle diversi anni di carriera. Veniamo adesso allo show che è stato piacevole in una maniera inaudita in cui oltre agli attesissimi Namless Crime c’ erano anche gli Ephesar che vantano la presenza della talentuosa Aurora, sentita già all’ opera nei Five Sided Room. Ad aprire le danze sono stati proprio Aurora e soci con il loro Rock dalle vene Progressive e nel Gothic, la loro prova è stata davvero apprezzata dal pubblico, tanto che alcuni ragazzi hanno partecipato ai diversi ritornelli delle loro canzoni. Il solo intoppo è stato trovato nella regolazione degli strumenti che erano troppo alti e spesso la voce di Aurora veniva coperta, la giovincella però ha degli alti non indifferenti per cui molte volte è riuscita a cavarsela. Canzoni che hanno colpito sono state “Labirinto”, la successiva “Custode delle Ombre” e la possente “Prezzo della Vendetta”; ottima prova anche per “Weight Of The World” una cover degli Evanescence riuscita davvero bene. Tutto sommato, gli Ephesar hanno dimostrato di saperci fare, siamo fiduciosi e auguriamogli la buona fortuna per il percorso intrapreso che di questo passo ci sbalordiranno. Solo verso la mezza si comincia ad allestire il palco per i Namless Crime. La band sale carica e con tanta voglia di suonare e mostrare di che pasta sono fatti, Dario, il vocalist del gruppo è pieno di energie e come suo solito ce la mette tutta come d’ altronde ha sempre fatto. Un altro complimento va a Maddalena Bellini che con i suoi riff crea un vero e proprio caos, personalmente non mi aspettavo di trovare una musicista di questo calibro, il gruppo è maturato e si sente, l’ esibizione che hanno tenuto al Sea Legend è stata a dir poco eclatante. I Namless Crime partono come macigni con la potente “Jesus Square Suicide” continuando con l’ altrettanta grintosa “Crumbling”. La vetta però per quanto riguarda il sottoscritto, viene raggiunta con “Climb” e “Sleepwalking”, quest’ ultima tratta dall’ ultimo album. Proprio dal loro nuovo disco il quintetto napoletano ci fa ascoltare anche le seguenti tracce: oltre la già citata “Sleepwalking”, c’ era “Under The Bridge Of Sanity” che è un altro pezzo da novanta, “Unsigned” e “Tested”. Domenica abbiamo assistito ad uno show con i fiocchi, spero vivamente di riuscir a presenziare ad un’altra loro data che credetemi ne vale davvero la pena.

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AQUEFRIGIDE

Written by Live Report

AQUEFRIGIDE + TANNHAUSER
Venerdì 20 Gennaio 2012 @ Tipografia – Pescara

Primo atto dell’eroica impresa di Frantic Factory, un appuntamento mensile con l’estremo (almeno per il momento). “Revolution is Heavy” recita lo slogan apparso sui social network e sui flyer in giro per la città, e siamo certi che di rivoluzione si tratti.
Luogo designato per questo happening della Pescara alternativa è Tipografia, locale già noto per le sue derive electro-danzerecce, ma finora poco avvezzo ad ospitare chitarroni distorti e urla sguaiate.
Il colpo d’occhio è dei migliori, gran bel posto, situato in un circondario completamente industriale, tra il grigiore dell’asse attrezzato e le fuliggini del cementificio, habitat ideale per le creature della notte in cerca di luoghi bui.

L’antipasto è a base di stoner metal intinto nel fango, dal retrogusto lisergico e imprevedibile, e porta il nome di Tannhauser. La band pescarese vede tra le sue fila due volti noti del rock nostrano, quali Sergente e Franz degli Zippo, entrambi chitarristi nella band madre, qui rispettivamente in veste di chitarrista e cantante. Ottimo groove alimentato dalla pulsante sezione ritmica, suono corposo e voce potente che non ci pensa due volte ad urlare tutta la propria rabbia. Aspettiamo questi quattro ragazzi al varco, con il primo lavoro che ci auguriamo giunga a breve.
Il piatto forte della serata è finalmente pronto per essere servito. Gradito ritorno per Bre Beskyt Dyrene aka Simona La Muta e della sua splendida creatura Aquefrigide. Un mix più unico che raro di alternative rock, metal, punk, grunge e industrial, per una band che meriterebbe certamente più attenzione dagli addetti ai lavori. Diversi mesi di stop hanno portato ad un ri-assestamento della line-up e la band romana torna ora ad essere un quartetto, mentre Simona torna ad imbracciare la sua chitarra fiammante e a fronteggiare la Transexual Riot.

Poche e fioche luci illuminano la scena, mentre nella sala ragazzi e ragazze in totale venerazione attendono con ansia di venire travolti dalle note di Mephisto Hobbit, Orighami, Carne Cruda, Freddo Mercurio, e ancora In Che Depressione Suono, Svastika, Soffio Veleno, Detesto, e così via. Vengono proposti i migliori episodi elettrici di Un Caso Isolato (2006) e La Razza (2009), ad oggi gli unici due oscuri reperti del combo capitolino.
La partecipazione del pubblico è attiva e concitata, e i testi duri e crudi di Simona lasciano davvero qualcosa di indelebile, come anche i volumi elevati, come si addice al galateo del rock.
La band fa appena in tempo a lasciare il palco quando è costretta ad uscire nuovamente allo scoperto per eseguire una manciata di altri brani, tra cui la bellissima Ago Primavera, graditissima.

Mi auguro che gli Aquefrigide riescano ad ottenere i riconoscimenti che meritano, poiché in un ambiente ormai totalmente a puttane come quello della musica italiana – e soprattutto cantantata in italiano – riescono ad essere ancora “puri”.
Un inizio, questo, che fa ben sperare e che punta a collocare Pescara tra le realtà che contano. L’accurata selezione di Frantic Factory propone nei prossimi appuntamenti i Forgotten Tomb (17 febbraio) e gli svedesi Siena Root (9 marzo), mentre altri eventi verranno annunciati a breve e si preannunciano esplosivi.

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Fabrizio Cammarata and The Second Grace

Written by Live Report

blah blah Torino.

Sono passati quattro anni dall’ultima apparizione di Fabrizio Cammarata sui palchi torinesi: se non sbaglio nel2007 alla Fnac per promuovere il primo disco, poi all’Hiroshima l’anno successivo…per uno come me che crede le sue canzoni siano state scritte su misura, quattro anni sono stati lunghi eccome! Partito dalla Sicilia con Marco Petrigno che in quell’occasione rappresentava i The Second Grace, in nave, durante i giorni di mare mosso, mi pareva già un ottimo motivo per essere in prima fila e lasciarmi trasportare dalla passione che sprigiona quando imbraccia una chitarra. In un clima assolutamente caldo, locale piccolo ma accogliente, Fabrizio ci presenta il suo nuovo album Rooms (di cui potete leggere recensione qui https://www.rockambula.com/fabrizio-cammarata-the-second-grace-rooms) ma non solo. É un concerto che sa di chiacchierata,propone pezzi del primo album (toccante la performance di Sapphire, suonata senza amplificazione e ad occhi chiusi, esattamente “così come era nata”), ci racconta come nascono le sue canzoni; Antananarive ad esempio, forse il pezzo più conosciuto di Fabrizio, scelto anche per una nota pubblicità televisiva, nacque di getto, dopo aver scoperto che l’amore della sua vita era appena fuggita in Madagascar senza preavviso. Oppure Myriam (traccia n° 7 di Rooms), scritta per una donna incontrata per strada e mai più vista.

La passione che trasmette è il modo in cui si cala nella canzone, quasi come esplodesse dentro pur di uscire (esemplare nell’interpretazione di una vecchia canzone messicana, Llorona che potete ammirare qui cantata in una precendete esibizione

, contagia tutto il pubblico che apprezza tantissimo. Senza dubbio un Artista con la A maiuscola. Plauso anche a Petrigno, anch’egli cantautore siciliano, che accompagna Cammarata un po’ alla chitarra, un po’ alle percussioni, un po’ alla tastiera; perfetto complice di una serata che si scalda con il passare dei minuti, purtroppo pochi. Un’ora scarsa, applausi sempre in crescendo.
Ho avuto il piacere di scambiare due parole con lui dopo il concerto, mi raccontava della sue esperienze al SXSW di Austin, uno dei più grandi festival degli Stati Uniti, e delle sue prossime date in Italia, del suo vivere di musica. Ho comprato il cd direttamente da lui, e sono tornato a casa felice come un bambino.

Prossime date: fatevi trasportare dalla sua musica, non ve ne pentirete.

09/03/2012 – Milan (I) – Radio Popolare / Pathanka
11/03/2012 – Mantova (I) – La Tana del Drago
12/03/2012 – Padova – Blu Radio Veneto host
18/03/2012 – Milan (I) – Magnolia (ViaAudio-Night)
07/04/2012 – Salerno (I) – Sol-Palco

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Christine Plays Viola

Written by Live Report

Una pioggia insistente a volte diventa un ottima cornice per abbellire le proprie serate, la musica poi riesce a fare tutto il resto, non siamo in Inghilterra. Nel senso che tutto potrebbe andare nel modo migliore, lasciarsi graffiare il volto dalle gocce perseveranti, siamo lontani dalle calde giornate estive. È uno dei concerti dei Christine Plays Viola nella plumbea ma affascinante Sulmona, questa sera il live prende vita nello scenario del Silver pub. Insolita ma sempre affascinante location, si gioca quasi in casa ma questo potrebbe rivelarsi controproducente, la lingua batte sempre sul dente che duole.

Band giovane giovane che apre e cover band che chiude, i CPV nel mezzo come un cuore piazzato nel petto, una micidiale pugnalata sullo sterno. Poi tanta new wave negli ipnotizzati occhi attenti nel percepire tutto quello proposto dallo spettacolo, le orecchie ormai abituate a certe elevatezze sonore non faticano mai, ubriaco di suoni giusti, la voce è complice della mia commozione. Si alza il sipario per i CPV, scende il doveroso diritto di aguzzare i sensi e lasciarsi trasportare fin dove sia impossibile arrivare, lo show poco italiano cala un aria nordica nell’afoso locale intriso di caldi aliti alcolici, i riff capovolgono la stanza aumentando vertiginosamente la pressione al cervello, mi lascio manipolare a modi cubo di Rubik. Ad averlo ancora un cervello. Poi tutto improvvisamente finisce lasciando in bocca un amaro indescrivibile, una sensazione molto vicina alla nostalgia, Atmosphere dei Joy Division è quello che meglio descrive questa strana sensazione. Del resto non mi frega niente, di tutto adesso non mi frega niente. Conferme ampiamente ribadite dalla migliore band dark new wave dell’attuale scena indipendente italiana, continuiamo ad ignorare queste realtà e la merda pian piano ci entrerà prepotente nella bocca. Questa è una delle poche cose che mi rendono orgoglioso di abitare nel centro Abruzzo. Poi scende la notte.

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Zen Circus

Written by Live Report

Un concerto degli Zen Circus è sempre un buon concerto, questo ormai è assodato, non c’è scusa che regga, l’orecchio vuole sempre la sua parte. Il mio ne ha già sentite troppe. Questa volta allo Zu:Bar di Pescara c’erano tanti piccoli piacevoli motivi per andare, location a portata di mano, venerdì sera e Zen Circus freschi di nuovo album. Loro si sa, dal vivo sembrano punkettoni casinisti ma sono pur sempre la migliore band italiana del momento, i loro pezzi profumano sempre di freschezza, la voglia certamente mi spinge ad osservarli ogni benedetta volta con attenzione maniacale. “Nati per subire” il loro ultimo disco raffigurava perfettamente la gran parte dei presenti insofferenti quella sera, tipi strani non del settore che in nessuna maniera riuscivo a collocare, eppure la discoteca c’era il giorno dopo (o prima?!), o forse Zen Circus assomiglia vagamente a qualcosa dell’ambiente house music tirando un tranello ai consumatori ignari della serata?  Mah, mi consolo nel vedere gli scatenati (veri ma pochi, e ce ne sarebbe bisogno…) fans pogare e cantare sotto il palco, loro si che meritano rispetto a dispetto di un acustica orribile e un ambientazione noir forse non proprio adatta ai colori dell’indie rock, una bara saldata con zinco scadente e cerimoniata in maniera maldestra. Fortuna che le birre non mancano mai e la serata scivola liscia come non mi sarei mai aspettato visti gli acidi contorni con i quali mi ero in precedenza confrontato. La scaletta inevitabilmente comprende tutto il nuovo disco ed immancabili pezzi che hanno fatto la storia della band che registrò un disco con Brian Ritchie, ma questo ovviamente lo sapete tutti.

Concerto di qualità per aridi orizzonti senza vie di scampo, iniziative che andrebbero supportate e moltiplicate per un educazione musicale nostrana ai limiti del collasso. Avete voglia di vomitare? Oppure ne avete abbastanza e cercate di alzare nuovamente quella testa troppe volte schiacciata?

Il sentimento alternativo chiede rivoluzione per non lasciarsi sempre sovrastare da situazioni indigeste, nel bene e nel male è stata una bella serata. Almeno per una volta abbiamo provato a farci sentire…

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