Interviste

Underdog

Written by Interviste

Rockambula nella persona del nostro collaboratore Emilio Terracciano decide di incontrare Diego Pandiscia degli Underdog per parlare del nuovo disco, della scena musicale italiana e di una Roma sempre più violenta e affascinante. Vediamo cosa hanno da dirci gli Underdog…

Dopo tre anni eccovi di nuovo al varco. Bentornati Underdog. Allora che atmsofera si respira all’uscita dell’ultima fatica? Smaniosi di far conoscere al pianeta il vostro lavoro immagino!
Smaniosi è il termine giusto, abbiamo lavorato tre anni, il disco descrive benissimo questo periodo, porta al pubblico quello che sono attualmente gli Underdog, un gruppo con la consapevolezza che questo sarebbe stato “il disco”, oppure basta.

Qual è il bilancio di Keine Psycotherapy? Se sarà il primo leggendario album della famosa e storica band Underdog questo lo potremo dire tra una quarantina d’anni…ve lo auguro…ma intanto, parlando come ragazzi presi singolarmente, “non-underdog” per capirci, lavoratori immersi in questa, per certi versi, orrenda epoca in cui siamo capitati, segnata da precariato e generale indifferenza verso tutto (figuriamoci verso l’arte), cosa ha rappresentato per voi riuscire a creare la band che volevate e un disco che ha ricevuto il favore di quasi chiunque lo abbia ascoltato?
Ho sempre fatto, e questo non è un bene, delle scelte che comunque erano condizionate dal fatto che gli Underdog esistevano, ed erano in un certo senso quello che volevo fare, quello che volevo/voglio essere.  Il “non Underdog” ha un lavoro che gli piace, ma scelto e dettato dal fatto che il “non Underdog” non esiste e quindi c’è “il cantante degli Underdog che in qualche modo ha un lavoro che farebbe il cantante degli Underdog”: in questo caso l’educatore nei campi rom.
Però poi, vedere che l’ossessione che ti caratterizza, in questo caso la musica, viene apprezzata e compresa da altri “alieni” non può che mantenere in vita quello che sei, e soprattutto, quello che cerchi di fare.

Vivete a Roma se non sbaglio. Ho vissuto in quella città parecchi anni e l’ho vista cambiare molto, diventare una città sempre peggiore per violenza, inadeguatezza, malcostume italiano dilagante e, ahimè, menefreghismo giovanile davvero preoccupante. Credo sia lo specchio migliore di tutta l’Italia. E voi che ne pensate? Come la vivete o meglio come vi sembra il tessuto sociale, ed in particolare quello giovanile, della vostra città?
A me sembra un interessante melting pot, Roma sta diventato piano piano europea ma a suo modo, e con tutte le contraddizioni che da sempre si porta dietro. Roma  al momento ha un alto livello di degrado sociale ma ha anche un’ottima risposta artistica e “umana” che la contraddistingue da molte altre città Italiane. E’ una città viva, e malata allo stesso tempo, e questo in un certo senso ne crea anche il fascino.

Veniamo alle sette note. In Italia abbiamo una particolare predilezione per accorgerci in ritardo (o non accorgerci affatto) di talenti musicali nostrani e, al contrario, valorizziamo svariati fenomeni da baraccone. Sinceramente vi vedo lontani e indipendenti un po’ da tutto. Ed è un bel complimento sia chiaro. Che ne pensate del panorama musicale nostrano? Ci sono artisti con cui magari vorreste collaborare?
Abbiamo collaborato in un live con Salis, Luigi Cinque e Badara Seck  da cui abbiamo tratto un brano nell’EP “Empty Stomach” ed è stata un’esperienza unica che davvero non avrei sperato di poter fare. Quindi già quel momento è stato una grande soddisfazione.
Il panorama italiano è pieno di artisti validissimi, ma come già accennavi te sono per lo più mantenuti nell’ombra, pur trovando alcuni un grande riscontro a livello internazionale. Personalmente ho avuto la fortuna di collaborare con molti musicisti anche stranieri, in contesti musicali moto differenti. Mi piace pensare di continuare a incontrare musicisti interessanti con cui continuare a suonare insieme, collaborare, come è successo ultimamente con Cole Laka dei Two Pigeons o con Uwe Bastiansen e Geoff Leigh.

Emergere e “diventare qualcuno” con la propria arte oggi è davvero un’impresa ardua. Ma gli Underdog sono davvero interessati a “sfondare” nel senso classico del verbo o hanno altri obiettivi? Voglio dire, cosa significa per gli Underdog “diventare qualcuno” e qual è la ricetta per restare indipendenti ed al tempo stesso esportare ovunque la propria musica?
L’obiettivo è suonare quello che voglio e poterlo portare in giro, il che non significa sfondare ma significa semplicemente suonare quello che si vuole e vedere se qualcuno è disposto a fermarsi ad ascoltare.

Ascoltando i vostri due lavori, e ancora di più vedendovi dal vivo, la sensazione principale che suggerite a chi vi ascolta è, a mio parere, l’imprevedibilità, la percezione che da un momento all’altro nel brano possa arrivare qualcosa di sorprendente e inaspettato sia a livello di arrangiamenti che di soluzioni melodiche. Le varie trovate per rendere i brani così multiformi sono frutto di improvvisazione collettiva o c’è dietro una ricerca in studio e una decisione premeditata di organizzare precisi arrangiamenti?
L’improvvisazione collettiva in lunghe session è quello che ha caratterizzato il nuovo lavoro,  c’è anche una ricerca di suono e di struttura ma fondamentalmente siamo sette teste che suonano insieme senza molti preconcetti od obiettivi premeditati se non quello di voler esplorare “qualcosa di nuovo”.

Avete suonato al Festival dell’Avanguardia di Shiphort organizzato dai leggendari Faust (o da quello che ne rimane). Un ambiente e dei musicisti che da 40 anni contagiano irrimediabilmente con idee e sperimentazioni chiunque ne venga a contatto. Cosa vi portate dietro da quell’esperienza a livello musicale? Se non sbaglio avete collaborato con Uwe Bastiansen?
Ho il flash durante il festival di questa jam registrata dentro il furgoncino di Jean Herve Peron dei  Faust  in cui avevano accorpato me e Basia a improvvisare con questo batterista metal norvegese, già questo ti fa capire l’attitudine del festival, Uwe Bastiansen suonava e registrava la session, ma non abbiamo ancora sentito cosa ne è uscito fuori!
Se poi ti devo parlare a livello personale, è stato bellissimo essere ospite nella Stadtfisch Orchestra con Uwe, Zappy e Jean Herve Peron, Geoff Leigh, mi hanno insegnato a lavorare realmente da musicista durante il periodo dei due dischi incisi per l’amburghese Clouds Hills. Ero con questi musicisti molto più grandi di me che avevano dei ritmi assurdi di lavoro in cui si sentono, e ti fanno, sentire completamente a tuo agio. Ci si chiudeva per tre giorni a improvvisare per portare poi il disco direttamente in studio, il che non sembra, ma è un lavoro che richiede una forte concentrazione. I ricordi più grandi poi sono stati proprio a livello umano, solo con gli underdog mi ero sentito così “in famiglia”.

Musicalmente avete diverse provenienze stilistiche lo so. Anche molto diverse. E siete parecchi peraltro. Riuscireste a trovarmi almeno un album o due che mettono d’accordo tutti, un disco che tutti davvero amate e che magari avete condiviso nell’ascolto durante le registrazioni di Keep Calm?
Non credo, forse azzardo e provo a dire Pithecantropus Erectus di Mingus la traccia omonima è impossibile non amarla. Ma oltre questo è impossibile, spesso quando parliamo tra di noi ognuno cita dischi o artisti che magari l’altro non conosce assolutamente.

Dal vivo come sarà l’impatto di Keep Calm secondo voi? Avete in mente qualcosa di particolare o cercherete di riprodurre fedelmente il più possibile i brani così come suonano in studio?
Ma in realtà a noi sembra scontato, ma noi suoniamo dal vivo come in studio ne più ne meno, non amiamo usare più di tanto sovraincisioni, il disco riproduce fedelmente quello che possono effettivamente suonare contemporaneamente sette musicisti. Il live poi è caratterizzato da tutto ciò: sette teste senza freni che si muovono su un palco, quello che succede poi succede.

I vostri brani. Mi piacerebbe analizzarli uno ad uno ma non c’è tempo! Anzi spazio! Ne prendo uno che mi piace particolarmente. Mi spiegate il significato del testo e com’è nato musicalmente Macaronar?
Si provava, anche parlandone con la produzione, Altipiani e Martelabel, a testare l’italiano, e quando mi sono trovato in questa situazione mi è tornato alla mente una vecchia frase che strillava il chitarrista della mia prima band, ti parlo di anni e anni fa. E nulla, questa frase “le mani che sudano ed anche stasera un parto isterico di me stesso” è riapparsa nel cervello mentre cercavo qualcosa da cantare  e per assurdo descriveva benissimo come stavo alcune volte in quel periodo, da li, è uscito il testo in una sera: descrive l’attimo in cui si sorpassa il limite e ci si ritrova ad esplodere, completamente vulnerabile, davanti a qualcuno.

Finale scontato. Avete progetti particolari per far conoscere gli Underdog alle prossime tredici generazioni? Tournèe in vista?
Gli Underdog verranno a suonare nelle vostre città, nel bene o nel male, “Keep Calm”.

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Cadaveria

Written by Interviste

Ciao Cadaveria e bentornata su Rockambula. Partiamo col dire che il disco è effettivamente la sintesi di ciò che intendi tu per Horror Metal. Ma a parole tue come lo descriveresti?
CADAVERIA: ‘Horror Metal’ è senza dubbio l’album più oscuro e inquietante che abbiamo mai composto. E’ difficile descrivere questa cosa a parole perché si tratta di una sensazione, ma è comunque un qualcosa che ti arriva chiaramente quando lo ascolti. L’album non ruota attorno ad una storia specifica, ma si ispira a molti elementi dell’immaginario orrorifico, provenienti sia dalla cinematografia che dalla vita reale. In questo senso è un album “visivo” (e visionario) e attraverso il video di Flowers in Fire che abbiamo appena realizzato abbiamo dato una forma a queste visioni provenienti dal mondo delle ombre. Horror Metal è quindi un concetto che identifica sia il mood dell’album che il nostro stile, uno stile molto personale che non si può definire diversamente.

Delle fasi di registrazioni cosa ci dici, dove e come si sono svolte?
CADAVERIA: Dopo una pre-produzione avvenuta ai Capt. Woofer Studios in provincia di Vercelli siamo entrati nel vivo delle registrazioni adottando anche uno studio di Genova e uno di Roma. Alcuni membri della band non abitano in Piemonte, quindi ognuno ha curato le registrazioni del proprio strumento nello studio a lui più comodo.  Successivamente siamo re-intervenuti su alcune parti vocali che non mi soddisfacevano e abbiamo inserito una serie di ulteriori arrangiamenti chitarristici e alcune parti di tastiera, avvalendoci nuovamente dello studio del vercellese. Poi siamo entrati in una lunghissima fase di mixaggio, curata da Killer Bob a Genova e revisionata per lo più a distanza attraverso lo scambio di file tra me e lui. Lo stesso dicasi per il mastering, col quale abbiamo ulteriormente definito e sigillato l’impronta oscura del suono. Abbiamo curato molto i dettagli arrivando ad ottenere esattamente quello che desideravamo, per questo possiamo dire di essere pienamente soddisfatti del risultato.

Invece le tematiche che tocchi in “Horror Metal” quali sono?
CADAVERIA: Quelle che mi appartengono da sempre: riflessioni sulla vita, sulla morte, sul dolore e la gioia. Alcuni testi sono nati da appunti scritti in momenti distanti fra loro e riaccorpati in un testo in fase compositiva, altri sono nati di getto, come “Flowers in Fire”, che ho scritto in ospedale al risveglio da un’anestesia totale, o “Apocalypse”, chiaramente ispirata al film Apocalypto di Mel Gibson.

Questo è il tuo settimo album, avresti mai pensato  di arrivare fino a questo punto? C’è qualcosa che cambieresti o modificheresti della tua carriera?
CADAVERIA: Non ci ho mai pensato, sono sempre andata avanti un passo dopo l’altro guardando più al presente che al futuro e quando ho sentito il desiderio di farlo ho anche cambiato strada, perché fare musica è una cosa intima e per farla mi devo sentire a mio agio. Non posso fare una cosa che non mi appartiene, almeno non per più di 10 minuti. Proprio perché sono sempre stata fedele a me stessa non rinnego nulla e non cambierei nulla di quanto ho fatto.

Cosa ne pensi di questo fenomeno chiamato “Pay to Play”, che a quanto pare, ultimamente, si sta verificando tantissimo?
CADAVERIA: E’ vergognoso che una band paghi per suonare. Un po’ di amor proprio cazzo!

Che pareri sta avendo “Horror Metal” dalla  critica e quali dal pubblico?
CADAVERIA: La maggior parte delle recensioni sono state molto positive e i nostri fan hanno colto la maturità di questo disco e lo stanno apprezzando moltissimo. Lo stiamo constatando soprattutto ora che stiamo facendo numerose date live a promozione di Horror Metal. I riscontri sono molto buoni, le due date in Francia hanno avuto l’interessamento di radio e di molti magazines e il pubblico canta a memoria le nostre canzoni. Anche chi non ci conosceva ma ci ha visto ad esempio al Fillmore di Piacenza a supporto degli Arch Enemy ci ha fatto molti complimenti. Questo è doppiamente positivo perché la nostra musica non è così immediata, quindi il fatto che dal vivo la gente apprezzi anche al primo ascolto ci dà grande soddisfazione. Personalmente mi sono sempre ritenuta più una cantante da studio che un animale da palcoscenico, ma le date che abbiamo fatto negli ultimi sei mesi mi hanno fatto acquisire una nuova consapevolezza anche sul palco.

Adesso veniamo ad una domanda che vuol più che altro soddisfare la mia curiosità. Come ti appassionasti alla musica Heavy Metal   e  in che momento decidesti di prendere uno strumento in mano e cominciare a comporre musica?
CADAVERIA: E’ tutta colpa di Flegias! La prima canzone heavy metal che ho sentito è stata alla radio (cosa stranissima! sarà stato un segno del destino) ma non sapevo cosa fosse. Sarà stato il 1988 o giù di lì… poi ho conosciuto Flegias, che già ascoltava metal da tempo, e da lì sono partita con un recupero a ritroso di tutto ciò che mi ero persa (o quasi). La passione è stata spontanea ed immediata. Ho sempre amato cantare e quando mi si è presentata l’occasione ho fondato i Marciume e lì ho scoperto che il growl mi veniva spontaneo. Poi sono arrivati gli Opera IX e tutto il resto. Strumenti in mano pochi perché non so suonare, ma orecchio tanto e tanto bisogno di esplicitare le mie emozioni in testi e melodie che invento e registro sul cellulare o appunto dove capita. Condisce il tutto una ricerca della perfezione decisamente maniacale.

Il tour promozionale di “Horror Metal” ha visto la tua band supportata da tante altre band di spalla. C’è qualcuna che ti ha incuriosita ed ha attirato la tua attenzione?
CADAVERIA: Purtroppo quando suoni sei in ballo dal mattino e finito il sound check ti ritiri in camerino per rilassarti un po’ e prepararti per lo show, quindi non ho mai occasione di vedere il concerto di chi mi precede.

E parlando del tour, dove suonerete nei prossimi giorni? Dove potremmo venire a sentirvi?
CADAVERIA: Abbiamo suonato molto nel nord Italia. Dal prossimo mese ci dedicheremo al sud con una data a Catania il 15 dicembre (al Barbara Disco Lab) e da febbraio toccheremo il centro Italia e poi faremo nuovamente qualche data all’estero. Per ogni aggiornamento sulle date e non solo vi invito a iscrivervi alla nostra newsletter accedendo al sito cadaveria.com o tramite reverbnation. I “facebookaddicted” ci possono trovare su facebook.com/cadaveria

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Sandra Ippoliti

Written by Interviste

Sandra Ippoliti è una delle cantanti (interprete, musicista) più interessanti del panorama indipendente italiano, versatile e con una grande conoscenza della musica, Rockambula decide di fare una chiacchierata con lei per cercare di capire realmente l’artista Sandra Ippoliti.

Che tipo di persona è Sandra Ippoliti?
Bisognerebbe chiedere a Umberto! (Palazzo ovviamente!)

Quanto è importante scrivere musica nella tua vita e quanto riesci a mettere della tua persona nei pezzi?
Per quanto mi riguarda, ascolto musica da quando ho coscienza di me. Ho cominciato, come dico sempre, studiando il pianoforte a sei anni, poi da autodidatta ho cominciato con la chitarra. La mia prima canzoncina l’ho scritta a 12 anni, strofa, ritornello, strofa, bridge e ritornello finale. Per quanto mi riguarda, dunque, ho sempre avuto la musica come componente imprescindibile della mia vita.
Nelle mie canzoni ci sono io. Dunque tutti, dunque nessuno. Insomma parto da me, e sputo fuori quello che mi ha colpito, quello che mi fa star bene e male, Umberto Palazzo dice che io non scrivo io parlo. Effettivamente è così, suono due accordi e comincio a dire cose che escono senza aver bisogno di pensare. Poi riascolto e mi chiedo stupita come può essere uscita una canzone di senso compiuto? (più o meno), dove fossero nascoste tutte quelle cose che sono uscite fuori? E’ un bell’esercizio per conoscere il subconscio di ognuno. Spesso, quelle canzoni che credi siano solo tue poi si trasformano in un qualcosa di universale, l’esempio de Le Blues, che credevo fosse solo un mio dolore, un mio stato d’animo ed invece, racconta uno stato d’animo comune a tutti noi: la sofferenza per la perdita di qualcuno o di qualcosa di importante.

Come vedi la scena musicale italiana, c’è spazio per chi vuole esprimere la propria arte?
Eh. Lo spazio c’è ma è sempre quello ed è sempre più stretto. Ovvio ci sono le lobby anche in questo settore. Io non so nemmeno se sono ancora “entrata” nonostante la mia reticenza nel volerlo fare. Io sono una romanticona, considero la musica come un qualcosa di unico, sacro, importantissimo. E’ una cosa seria, il suono è una cosa seria e gli sputtananti per due soldi o per le copertine di giornali, sono però e purtroppo, la realtà. Sporcare la musica con comportamenti del cavolo mi sembra come bestemmiare. Considerarla solo una fonte di guadagno e di “guapperia” mi fa solo che schifo. Dunque non saprei. Odio i compromessi, odio il pilotare un qualcosa e consumarlo fino alla morte stessa di esso. Mi piace la spontaneità. Ma sono rimasta sola. A tutti, anche al più pulito degli artisti interessa solo il successo e i soldini ed il come arrivarci è un qualcosa di secondario: il fine giustifica i mezzi. IN ITALIA.

Tu che rapporto hai con chi “governa” il sistema musica cosiddetta indie in Italia?
Odio la suddivisione per generi, non la sopporto. Considero la musica sempre un’espressione di un umano e ovvio che sia diversa da persona a persona. Mi sembra inutile, ma va bene.
Già che ci siano dei vertici è già preoccupante e già mina al concetto di originalità. Non credo molto in questo “movimento”. Si perde un pò in se stesso. Vorrebbe farmi credere che le magliette (orrende e senza forma) che indossano costino 3 euro a pezzo? O i loro occhiali con montature oscene siano di plastica riciclata e quindi li hanno pagati 15 Euro? O che si siano tagliati i capelli col ciuffo da soli? E’ tutto finto, è più finto del pop. Quindi non mi riconosco molto in questa “moda”. I vertici non li conosco, so che suona un pò sempre la stessa gente e questo non è sinonimo di originalità e di ricerca. I vertici guardano al guadagno applicando manovre da pop all’indie. Sperimentazione e progetti folli, addio!

Molti artisti si lamentano perché sono sempre gli stessi gruppi a suonare, una specie di circolo chiuso, tu cosa ne pensi?
Che è un circolo chiuso. Gira sempre la stessa gente, da mille anni, si spartiscono premi e premietti, solcano i palchi migliori e gira e rigira sono sempre loro. Io cosa ne penso? Io no amo molto questo genere. Non mi piace quasi nessuno e non posso farci niente. Ho provato ad ascoltarli e molte volte ho dovuto interrompere l’ascolto per il fastidio che provavo in certi punti. E pensi. Bene mi fa provare qualcosa quindi è una musica che vale. E mi sforzo di riascoltare. Può essere che non ho i mezzi per comprendere. Ascolto le parole, nessun senso, ascolto la melodia, l’arrangiamento, ritrovo cose brutte già sentite ripetute come un mantra. Ma è una bufala. E’ sempre la stessa melodia! E mi fa venire da piangere. Purtroppo questo effetto, e so che mi giocherò la metà di tutti voi lettori, me l’ha fatto il tanto osannato doppio disco dei VERDENA. Hanno messo su questo doppio disco, mentre montavo il set su un palco  non ricordo dove. DI colpo, ho cominciato a piangere, non ero a mio agio, quella musica, mi stava davvero dando fastidio. Eppure mi dicevo, affermano di essersi ispirati ad un disco come ANIMA LATINA, mio disco preferito con AMORE NON AMORE. A mio avviso dovrebbero andarci piano quando affermano di citare come ispirazione, un disco come ” Anima Latina” di Lucio Battisti, frutto di un viaggio, di un’amicizia, di un rapportarsi con un altro popolo   (i BRASILIANI), con un’altra musica. Frutto di un periodo storico come gli anni 70, che spruzza originalità e coscienza del proprio essere da ogni parola, ogni suono ha la volontà di creare un linguaggio diverso. E quindi costoro? Che cosa volevano denunciare con questo disco? Insomma loro mi sono simpatici, ma ricordo quando uscirono un pò di tempo fa. Erano l’idolo della generazione dopo la mia, quella già degli anni 80. Io non li accettavo, il mio idolo allora era Lyne Stanley e non il cantante dei Green Day. E’ una questione di età.

L’Abruzzo terra tua (e mia) che ruolo ricopre in tutto questo? Nel senso, belle realtà musicali che iniziano a dire la loro…
L’Abruzzo sforna delle interessantissime realtà. Siamo terra prolifica e genuina, con moltissimi talenti. Solo che dopo un tot se vuoi farti conoscere devi comunque uscire fuori dalla provincia e sistemarti dove hai un pò più di visibilità. Altrimenti qui non accade nulla. Dopo un pò c’è la necessità di girare altri luoghi, di suonare in altri posti. Io ho provato da sola a fare tutto ciò. Ho cercato appoggi a destra e a manca, ma non è stato facile e tutt’ora non lo è. Le agenzie lavorano come sempre: il pesce grande trascina quello piccolo.

Bene, cosa ci riserva il tuo futuro artistico? Dischi, live, collaborazioni…
Il mio futuro artistico. Ho da fare il mio secondo disco. Lo temo. Ho una moltitudine senza senso di pezzi scritti nell’ultimo periodo. Tanti tanti. Devo ancora riorganizzarli e poi vedere un pò come fare una cernita intelligente. Scegliere i musicisti. Insomma questo disco sarà diverso dal 1. Il primo non va oltre il pop con qualche sfumatura jazz. Era abbastanza democraticamente corretto. Il prossimo si muoverà in base al mio suono, provando a scavalcare i generi. Registrarlo in compagnia, suonarlo in compagnia. Il mio sogno è questo. Poi live, tutti quelli che posso fare. Adoro suonare dal vivo più che fare i dischi. Nascono degli attimi in cui si perde la cognizione del tempo il corpo si muove in base a qualcosa che non controlli. E’ magnifico è come essere ipnotizzati. Certamente continuerò la mia collaborazione con Umberto Palazzo, sempre se lui vorrà. Vige questo contratto tra di noi: se vendo più dischi di lui sono licenziata e anche se fanno più foto a me, sono licenziata. Capita!

Umberto Palazzo a parte, con quale artista italiano vorresti lavorare?
Eh… Bella domanda. Non saprei, probabilmente con i Sacri Cuori e Hugo Race, Paolo Conte, Faust’O. Ascolto poca musica contemporanea italiana, mi butto sul passato. Dunque, Battisti, Dalla, Graziani, Rino Gaetano, Ciampi, De Andrè insomma nel passato avrei l’imbarazzo della scelta.

A quale daresti fuoco?
Sono all’inizio della mia carriera, non posso darmi la zappa sui piedi. Credo solo che molti artisti tendano a mentire su quello che cantano. Non raccontano altro che belle parole, bei sentimenti, belle intenzioni, ma poi nella vita non sono proprio così, senza sentimenti, che non sognano nemmeno lontanamente di provare quello che dicono. Purtroppo per loro tutto ciò, trapela da molte piccole cose e si perde il valore del loro operato.

La cosa più bella che ti è capitata negli anni della tua carriera artistica?
La cosa più bella è stata di aver avuto la possibilità di far conoscere la mia musica in giro per l’Italia e non solo. In questo periodo diventa quasi impossibile suonare nei locali quando non si ha un grande seguito, nessuno scommette più sul talento, i soldi sono pochi e il gestore del locale è costretto a giocare sul sicuro per non andarci sotto con la serata. Di aver suonato su palchi diversi, di aver conosciuto molta gente meravigliosa e aver condiviso molto. Questo scambio è appagante e ti fa vivere bene. A livello professionale il fatto di essere apprezzata, per un’insicura come me, è molto. E poi spero sempre che il meglio debba venire, ancora.

Cosa vorrebbe succedesse nel mondo Sandra Ippoliti?
Questo è un pò il domandone della miss quando vince. Peace and love. Anche se gradirei un ritorno alla comunità, al ritrovarsi in piazzetta per fare due chiacchiere. Vedo che da singoli, senza metterci troppo in esposizione manteniamo una schiera di amici che esistono solo nella vita dei social network. Ecco questa prassi non mi piace. Mi fa pensare al film di wall.e ed è letale. O meglio, è utilissimo questo mezzo, però usato in modo intelligente e noi non ne facciamo un utilizzo sano, credo.

Ecco, in questo spazio puoi dire tutto quello che ti passa nella testa, Rockambula ti saluta e speriamo di averti nuovamente sulla nostra webzine…
Spero di trovare qualcuno che creda nel mio progetto. Vi ringrazio tanto per tutto e soprattutto, grazie per la pazienza Riccardo!!! 😀

Ah, ultima domanda… Quanto è antipatico  Umberto Palazzo? 
Umberto Palazzo? Affatto antipatico, direi anzi che ci sbellichiamo dalle risate nei nostri viaggi sulla sua Toyota Corolla! Umberto sa tantissime cose, ti spiega e ti intrattiene su qualsiasi argomento, ascoltiamo moltissima musica di qualsiasi genere. Io sono onorata di suonare con lui. E’ una delle poche figure della musica italiana che stimo e ringrazierò sempre per quello che ha fatto per me e continua a fare.




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Alex Secone alias IlSognoIlVeleno

Written by Interviste

La nuova promessa del cantautorato italiano viene dal nostro Abruzzo. Lui è IlSognoIlVeleno e nell’intervista che segue ci racconterà i sogni e le paure di chi vorrebbe poter vivere facendo quello che la natura sembra avergli suggerito. Ci parlerà dell’Italia e dei suoi difetti, delle sue canzoni e di Parigi, della musica e della vita. Belle parole di un uomo che con i suoi pochi anni ha più da dire di tanti vecchi santoni del Rock e ci chiede solo un pezzettino della nostra esistenza da dedicare alle sue canzoni. Chi scommette su di lui?

Ciao Alex. Per prima cosa, come stai?

Bene, grazie. Mediamente abbronzato e con tanta voglia di suonare.

Raccontaci brevemente chi sei come sei diventato quello che sei, musicalmente parlando.

Sono uno che studia pianoforte da quando aveva sei anni e che un giorno ha deciso di scrivere la sua prima canzone. Da lì è cominciato tutto. Col tempo poi, affini l’orecchio, gli ascolti, trovi dei musicisti che fanno al caso tuo e dai fuoco alle polveri.

Cosa ti manca per essere come Dente, Brunori, Vasco Brondi, Mannarino, Di Martino ecc..

Potrei darti due risposte: quella maliziosa e quella più istituzionale. Se volessi essere malizioso ti direi che non conosco un numero sufficiente di persone che contano nel fantomatico ambiente ‘indie’. La risposta istituzionale invece è che loro sono più bravi, che io sono più giovane di loro e che quindi ho tutto il tempo di crescere. Scegli tu quella che preferisci.

Qual è il futuro della musica italiana? Come te lo immagini?

Non molto diverso da ora per la verità. In Italia c’è sempre stata un’élite intoccabile e inavvicinabile e poi tutto il resto che si dà molto da fare ma che raccoglie un centesimo di quello che meriterebbe. Questo naturalmente non vale solo per la musica. Internet ha solo aumentato il numero di proposte, di gruppi, di dischi in circolazione. Poi però alla fine son sempre molto pochi quelli che riescono ad ottenere soddisfazione e sicurezza economica da un mondo come quello musicale. Il punto fondamentale, e anche molto semplice, è che le persone ascoltano quello che ascoltano gli altri.

Che diavolo di nome hai scelto? Inusuale direi. Perché?

Non lo so neanch’io. Mi piaceva l’idea di accostare due nomi che non avessero nulla in comune ma che insieme dessero l’idea di qualcosa di vagamente poetico. Alla fine è una sorta di sunto della mia musica, credo: da una parte l’aspetto positivo, sognante e dall’altro la disillusione, la totale mancanza di speranza.

L’Abruzzo non è certo terra per musicisti emergenti. Nascere a Teramo invece che Roma o Milano non ti spiana la strada. Diverse le infrastrutture, diverse le opportunità, i locali, la scena, le distanze dalla vita. È davvero un problema cosi grande o sono io che esagero?

Non esageri. E’ così. Purtroppo le possibilità di emergere non sono così tante neanche nelle grandi città che hai citato. Non so se sia un mio cattivo vizio ma io riconduco sempre tutto a un problema culturale prima che burocratico o di infrastrutture. La verità è che a noi italiani piace sempre ascoltare il già sentito, leggere il già letto, fare il già fatto. Dà un senso di sicurezza probabilmente ma così è. Lo spazio per le cose nuove è ridotto a poco più di zero e non parlo certamente per me. Ho la sensazione che sia un discorso che investe tutti a tutti i livelli.

Di recente hai suonato al Soundlabs di Castelbasso e Civitella (vicino Teramo), dove c’erano anche, Amelie Tritesse, John Wolfington, Nigel Wright, Delawater, Let’sBuyHappiness, A Classic Education, Veronica Falls, Orlando Ef, Di Martino, Jens LekmaneThurston Moore. Come è andata? Hai conosciuto qualcuno di loro?

E’ andata bene, ci siamo divertiti molto. Ho conosciuto Antonio Di Martino insieme ai suoi musicisti Giusto Correnti e Angelo Trabace. Sono persone splendide con le quali puoi parlare di qualsiasi cosa senza orari e non è una cosa così comune anche nel fantomatico ambiente indipendente. Antonio è una persona umile e perfettamente consapevole di quello che fa. Mi ha colpito molto e ricorderò sempre con molto piacere la lunga chiacchierata sul lungomare di Roseto.

Perché il Soundlabs non decolla?

Le ragioni sono diverse. Il Soundlabs ha sicuramente il merito di voler essere un festival diverso dagli altri, con grandi artisti magari poco conosciuti in Italia, ma questo naturalmente non basta. E’ ancora più difficile organizzare tutto questo in provincia. Se aggiungi che il costo dei biglietti non è proprio popolarissimo le cose si complicano.

Cosa non funziona nel sistema musicale italiano? Colpa dei media, del pubblico, delle etichette. Perché a vincere sono sempre i peggiori?

Premettendo che non credo che a vincere siano sempre i peggiori posso dire che anche qui i motivi sono tantissimi. E’ difficile rispondere a questa domanda in maniera completa e con cognizione di causa. Io dico questo: penso che l’Italia stia vivendo una delle peggiori crisi culturali della sua storia recente, perfino peggio di quella degli anni ottanta. Naturalmente i media si adeguano dando al pubblico ciò che il pubblico vuole. I media però non si limitano ad assecondare questo gioco al ribasso ma loro stessi ne sono i corresponsabili dando vita a un terribile cortocircuito dal quale è difficilissimo venir fuori. Odio le generalizzazioni e quindi so perfettamente che ci sono tante persone che rifiutano questo status quo ma evidentemente non sono ancora abbastanza per poter cambiare le cose in maniera radicale.

Il tuo primo album si chiama “Piccole Catastrofi”? Semplice ironia?

Potrebbe essere. Le catastrofi del disco sono a volte catastrofi personali, private; altre volte invece riguardano il nostro paese, hanno una dimensione più ampia. Sono un pessimista ma il disco non lo è. Lo definirei più un album dei ricordi e delle disillusioni.

Il primo brano è “Nouvelle Vague”. Hai un legame particolare col cinema francese di Truffaute/Godard? Catturare “lo splendore del vero” diceva Godard. Parole fatte per te. E’ una casualità?

Il cinema francese, e nello specifico il breve periodo della nouvelle vague, mi ha sempre molto affascinato e di conseguenza ricopre un aspetto importante in quello che è stato tutto il processo di ispirazione e scrittura del disco. Fu un periodo molto speciale, contraddistinto dalla voglia spasmodica di andare controcorrente, di cambiare le regole esistenti. E’ una cosa vitale per l’arte in genere e per questo ho voluto omaggiare quell’atmosfera speciale nel mio primo disco.

C’è anche tanta Francia dentro l’album. C’è qualcosa che ti affascina di Parigi e dintorni più che il resto del mondo?

Diciamo che Parigi ha un’atmosfera del tutto particolare e soprattutto riconoscibilissima. La vedi, la vivi e ti rendi conto che quelle sensazioni che ti circondano non le trovi da nessun’altra parte. E’ questo che mi piace di Parigi, la sua unicità, il suo stile, la sua raffinatezza che nessuno potrà mai cancellare.

In “Bistrot” trovo evidente l’assonanza con la “Ballata Dell’amore Cieco” di De Andrè. Omaggio, caso o cosa?

Solo un caso. Confesso di non aver mai pensato alla canzone di De Andrè. Dopo tutto, pur essendo caricata di eccessiva enfasi per evidenti motivi di scrittura, è una storia d’amore travagliata e violenta di cui non è così raro leggere sui giornali. Al di là dell’esagerazione a me interessava il significato sotteso del testo, mettere in luce l’avidità, la violenza e l’opportunismo di cui è capace l’uomo.

La cosa più bella del disco è che, nonostante si capisca che c’è tanto dentro, dagli arrangiamenti splendidi, ai testi, dalle melodie indovinate, alla strumentazione più variegata, si respira un’atmosfera di naturale semplicità che non significa tuttavia, testi immediati e banali. Cosa ti piace del tuo disco? E cosa non ti piace?

Soprattutto le melodie, lo confesso. Alcune le trovo davvero indovinate. Mi piace molto anche il respiro volutamente retrò degli arrangiamenti. Non sono completamente soddisfatto della produzione ma è pur vero che è il primo disco. C’è tutto il tempo di intuire e seguire il proprio suono.

Dal vivo non sei solo. Presentaceli.

La banda che suona con me dal vivo è così formata: Andrea Marcone alla batteria, Emanuele Carulli alle chitarre e Sandro Cubeddu al basso. Andrea è quello che mi segue da più tempo, Sandro ed Emanuele sono entrati a far parte del gruppo qualche mese fa. Ci divertiamo molto in giro, sono molto contento della resa sul palco.

Cosa ascolti di solito. Consigliaci un gruppo o un disco del passato e fammi un nome su cui scommettere (non necessariamente italiano).

Ho i miei punti fermi che torno ad ascoltare ciclicamente (Bowie, Battisti, Cohen e Tenco su tutti) ma per il resto la mia curiosità mi guida automaticamente verso nomi e dischi nuovi da ascoltare.

Per quanto riguarda il disco del passato ti dico Songs of Leonard Cohen, il suo primo disco, che per me ha significato un punto di non ritorno verso certe atmosfere. Il nome su cui scommettere naturalmente sono io.

“Bisognerebbe dare onorificenze alla gente che fa i plagi”.  Che ne pensi?

Credo che la frase sia di Renoir. In ogni caso, con tutto il rispetto, distinguerei tra plagio e citazione. La citazione può essere un modo intelligente di saper riconoscere in modo onesto le proprie influenze. Ha una sua legittimità. Il plagio manca a mio avviso di quell’aspetto ‘critico’ che ogni artista deve necessariamente avere per far sì che la propria arte, e l’arte in generale, faccia un passo in avanti, cambi, muti la sua forma.

Dal vivo, a prima vista sembri un tipo parecchio spavaldo e sicuro di se ma parlando mi sei sembrato invece piuttosto malinconico e disilluso. Chi sei veramente?

Non sono di certo spavaldo. Sicuro di me forse sì ma anche qui ci sarebbe molto da dire. Malinconico e disilluso penso che siano due aggettivi che centrano meglio la questione. Per il resto preferisco che siano gli altri a dare di me le loro versioni. Io non credo di essere capace di descrivermi, sono troppo pigro per farlo.

Quali sono i tuoi prossimi progetti live e studio?

Per quanto riguarda i concerti c’è da pianificare il programma invernale. Spero di riuscire a suonare in posti ancora mai raggiunti finora. Per quanto riguarda invece il lavoro in studio è ancora presto. Sto scrivendo però alcune canzoni nuove, mi piacciono molto ma ripeto, è ancora prematuro per parlare del secondo disco. Vorrei portare in giro Piccole catastrofi ancora per un po’.

Dove vuoi arrivare?

Non lo so. Citando qualcuno, non mi interessano gli arrivi, mi importano solo i viaggi.

Il mio tormentone. L’arte è prostituzione, diceva Baudelaire. Si può (soprav) vivere oggi, solo della propria arte?

E’ difficile in generale, lo è ancora di più in Italia. Vivere della propria arte è quasi impossibile, sopravviverci è una prospettiva più realizzabile. La sopravvivenza non la vedo, però, come una prospettiva così negativa. Io mi accontenterei senza problemi ma anche la sopravvivenza è da sudare. E molto.

Quale è il tuo sogno di musicista e la tua paura più grande?

Un sogno potrebbe essere quello di arrivare al maggior numero di persone possibile senza perdere nulla in libertà artistica, anche se il sogno più grande per me resta riuscire a ricordare i testi sul palco, sarebbe davvero fantastico. La paura più grande invece è rendersi conto di non avere più la minima ispirazione neanche per riuscire a mettere due accordi in fila, non essere capaci più di scrivere mezzo verso. Ecco, questo per me sarebbe uno scenario da fine del mondo.

In relazione al tuo percorso artistico a chi devi dire grazie e chi mandare affanculo?

Beh il grazie più grande va certamente alla mia famiglia che ha sempre appoggiato qualsiasi pazzia mi venisse in mente di fare in relazione alla mia volontà di suonare. Mandare affanculo invece non fa parte del mio carattere, preferisco tacere e godermi in silenzio l’altrui disfatta quando arriverà il momento. Perché arriverà.

Chi odi della scena indie italiana? Chi ti piace? Voglio nomi.

Non farò mai un nome a mezzo stampa. Non riuscirai a tirarmelo fuori neanche con l’ausilio di terribili torture medievali.

Dimmi quello che avrei dovuto chiederti e non ti ho chiesto? Poi, se vuoi, rispondi.

Avresti dovuto chiedermi se dopo tutte queste risposte da finto intellettuale in realtà suono per conquistare cuori femminili.

La risposta è: “Assolutamente sì”.

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Zoas

Written by Interviste

Ecco cosa viene fuori da una gradevole e irriverente chiacchierata con gli Zoas

 

Iniziamo in sordina…spiegate ai lettori di Rockambula chi sono gli Zoas…

Quindi… bella domanda… si può rispondere con un libro o con una frase.. diciamo che Gli ZoaS sono 5 siciliani irrequieti che “senza suonare non posson stare!” con un istinto alla creatività che nasce da piccoli ma si sviluppa a partire dagli anni on fire del liceo…

“Babykilla” è il vostro primo lavoro in studio, come ci siete arrivati???

Mah… in effetti arrivarci è stato un casino come il resto d’altronde… siamo partiti anni fa registrando in modo pessimo pezzi non di altissimo livello (che vorremmo riprendere oggi per migliorarli un pò) e via via tra uno studio e l’altro abbiamo deciso di registrare live 5 brani ancora immaturi… in babykilla ep si sente l’effetto live e lo si apprezza ascoltandolo per intero anche 2 volte..

Sound aggressivo e testi impegnati, è solo questa la ricetta per fare musica di “qualità”??

La musica per essere di qualità deve essere sincera. sinceri devono essere i musicisti che la suonano… anche una nota all’infinito può essere grandiosa un pò come i feedback di buddy guy o il punk dei ramones…. sicuramente ci perdiamo del tempo ma neanche tanto… diamo molto spazio all’istinto in sala prove certi brani riusciamo a chiuderli in giornata e altri in un paio d’anni…come se un flusso esistenziale fosse sempre li con noi e ci dicesse: si così va bene, no così non va, si è ok ma per gli anni 80..eccecc..

E quanti e quali “sound” convergono nella vostra musica?

Facciamo parte della generazione di ascoltatori di red hot chili peppers, nirvana, pearl jam ma gli anni 70 dei led zeppelin, black sabbath non sono da meno… l’argomento è molto ampio..poichè nel nostro sound si può trovare una radice punk, stoner, hard rock, post rock, elettronica.. questo perchè ognuno di noi ascolta diversa roba… in babykilla ep per esempio si nota un’influenza funk (king of pigs) o elettronica in chiave punk (trickster)…

Come sarà il post “Babykilla” e quanto dovremmo aspettare?

Faremo un disco.. si spera di entrare in studio tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre… a breve decideremo che brani inserire e in che modo… il sound prenderà sicuramente una via leggermente più raffinata e più decisa. Per il nuovo anno salvo catastrofi e crisi economica di dimensioni cosmiche dovrebbe uscire!

E live, come sono gli Zoas?

Live….in passato insicuri , adesso molto più sicuri. Sudiamo! il che significa che ci muoviamo un pò e siamo incazzati… i live per noi sono un modo per scaricare le nostre paure, idee. Pisciamo emozioni insomma!

Parlateci dell’avventura SuperSound, com’è stato suonare a Faenza?

Suonare a Faenza è stato divertente… merito dell’acustica, della gente e del locale… abbiamo sudato un casino! Mai così tanto e abbiamo suonato soltanto l’ep. 5 brani, 20 minuti… ci sarebbe piaciuto suonare un’ora piena ma i contest sono sempre così. Non abbiamo vinto ma per noi non è stato importante. Importante è stato suonare al Tek di Faenza prima dei Nobraino…

Credete che esperienze come questa abbiano il potere di “salvare” la musica?

No non hanno il potere di salvare la musica.. probabilmente la abbattono un pò.. o meglio abbattono il giudizio della gente e i pareri. un pò come gli opinionisti che fanno parte delle trasmissioni televisive che si mettono in mezzo tra la tv e la gente a casa i contest si mettono in mezzo tra i gruppi emergenti e il pubblico. Una giuria oggi ha il potere di creare o distruggere un futuro alle band emergenti! e in ogni caso non dimentichiamoci che non siamo noi a salvare o uccidere la musica… semmai è lei che ha potere sull’uomo. è eterna, l’uomo in media vive 25000 giorni.

A proposito, cosa vuol dire far musica in un contesto così difficile?

L’italia è un terreno pesante e con poche vie d’uscita dal tunnel dell’anonimato. Se segui le mode e lo fai con stile allora qualcosa può uscire.un esempio è il cantautorato di questi ultimi anni. Colapesce, Brunori sas, ecc.. li vedi ovunque..e sono totalmente diversi da ciò che suoniamo noi. All’estero è anche così ma non esiste soltanto una via. prendi per esempio l’inghilterra… Li si suona di tutto e c’è spazio per tutti… ovviamente il livello è alto ma non è un albero con un ramo solo. L’italia è un terreno difficile. QUi i gruppi devono impegnarsi 3-4 volte di più… è come un corso di laurea in medicina! ma a differnza di un corso di laurea che nel bene o nel male chiede di studiare dei libri con la musica devi prima scriverli e poi studiarli!

Se esiste, quale potrebbe essere un’ipotetica soluzione?

Se esiste la soluzione è suonare musica che possa essere ascoltata da qualsiasi essere umano sulla terra probabilmente con testi scritti in una lingua universale…ovvero non esiste un teorema.. sono emozioni e possono piacere come no..

Abbiamo dimenticato o tralasciato qualcosa??? Cosa rimane ancora da dire???

VOTA ZOAS ALLE PROSSIME PRESIDENZIALI!

Dove vi si può rintracciare???

Ci trovate su Facebook alla pagina ZOAS su youtube al canale ZOASOUND su twitter alla voce ZOASOUND e soundcloud ZOAS… per le serate live trovate scritte sempre le date su facebook..
BYEEEE

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Guignol

Written by Interviste

Abbiamo avuto il piacere di intervistare i Guignol, freschi di pubblicazione del loro quarto disco in studio “Addio cane!” (composto da undici tracce) che giunge a distanza di due anni dal precedente “Una risata… ci seppellirà”.
Maggiori info su di loro potete anche trovarle sul loro sito ufficiale, http://www.guignol.it/

Da chi avete tratto ispirazione per il vostro nuovo lavoro? Artisticamente sembra molto diverso dal precedente “Una risata…ci seppellirà”…

Da noi stessi, dal nostro caos quotidiano, esistenziale, individuale e quindi quello pratico, dovuto al confronto-scontro continuo con le cose di tutti i giorni, le vicende personali e quelle della realtà dei luoghi in cui viviamo. E’  molto diverso da “Una risata ci seppellirà” ma è anche il suo proseguimento. Probabilmente è quello che mancava a “Una risata ci seppellirà”. E’ stato scritto e composto durante la fine del tour di quell’album, in modo molto spontaneo e urgente.

Il nuovo cd ha un titolo davvero insolito: “Addio cane!”…come mai?da dove viene?

“Addio cane!” perchè ho sognato un cane parlante, ripreso nel dialogo surreale dell’ultimo brano del disco, e poi perché è la chiusura di un ciclo per noi, forse un commiato, forse l’inizio di altro. In ultimo perché suonava bene 🙂

Com’è nata la collaborazione in questo disco con Paolo Perego degli Amor Fou?

Paolo Perego già aveva co-prodotto con noi il precedente “Una risata ci seppellirà” nel 2010, oltre all’EP “Canzoni dal cortile” del 2009, poi ha suonato con i Guignol varie volte come batterista, in periodi in cui eravamo scoperti in quel ruolo per varie ragioni. Siamo amici da tempo con Paolo e a Casa Medusa, il suo Studio, assieme e con Francesco Campanozzi, si è lavorato sempre bene.

Come nascono i testi delle vostre canzoni?

Dipende, non c’è un criterio unico. Possono essere frutto di appunti, raccolti quì e la e poi sviluppati, oppure un soggetto su cui raccontare  una storia oppure fatti e sensazioni legate a vicende personali o di appartenenza comune, da rendere spesso in maniera teatrale, grottesca, tragicomica, come spesso è la vita… questo paese, ecc…

Dopo quattro dischi pensate sia tempo di fare bilanci?Fin dove vorreste spingervi?

Non crediamo sia già tempo di bilanci, ma piuttosto di viversi il presente con quello che ci porta…. Non sappiamo dove siamo diretti, ne fino a quando ma credo di poter garantire che i Guignol proseguiranno in qualche modo e ci saranno altri episodi.

Tra non molto ricorrono i quindici anni della fondazione del gruppo…avete in cantiere qualche sorpresa per i fans?

Al momento no, non siamo jn vena di celebrazioni, sarebbe comunque prematuro anche volendo. Al momento cerchiamo di sorprendere noi stessi con il tour che riparte questo autunno, poi vedremo cosa ci inventeremo.

Progetti in cantiere per il futuro immediato?

A parte suonare molto e spingere al massimo possibile questo disco, forse, probabili nuove collaborazioni, un paio di progetti paralleli miei (Pier Adduce) in solo o con altri artisti, anche fuori dall’ambito musicale, e per il resto, continuare a divertirci facendo la musica che ci piace.

 

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Bugo

Written by Interviste

In occasione del festival “Note su ali di farfalla” (https://www.rockambula.com/note-su-ali-di-farfalla-notte-per-federica-e-serena/), serata di beneficenza dedicata a Federica e Serena, le due studentesse teramane scomparse sotto le macerie del terremoto aquilano, abbiamo avuto il piacere di regalarci e regalarvi un intervista con uno dei protagonisti della serata che si è tenuta a Teramo venerdi 07 settembre. Insieme a lui, hanno partecipato ad uno dei più attesi eventi live del centro Abruzzo, Calibro 35, Offlaga Disco Pax, I Cani, Amelie Tritesse e Gesamtkunstwerk. Ma ora godiamoci la solita ironia, sagacia e candida follia del menestrello che viene dal nord. Signore e signore, ecco a voi Cristian Bugatti, in arte Bugo.

Ciao Bugo. Per prima cosa, come stai?

CIAO, ORA STO SDRAIATO.

Difficile che il nostro pubblico non ti conosca. Impossibile direi. Ma oltre il personaggio chi è Cristian Bugatti e chi Bugo?

GUARDA, A DIRE IL VERO IO NON MI CONOSCO. E’ TUTTA LA VITA CHE CERCO DI CONOSCERMI!

Raccontaci come e perché è iniziata la tua carriera.

NON PARLO MAI IN TERMINI DI CARRIERA. E’ LA PAROLA “CARRIERA” CHE NON MI PIACE, NON MI CI RITROVO. E’ UNA DI QUELLE PAROLE COME “CURRICULUM” CHE SERVE SOLO PER RUFFIANARSI LE PERSONE. HO INIZIATO AD AVVICINARMI ALLA MUSICA GRAZIE AD ALCUNI AMICI DEL MIO PAESE CHE AVEVANO UNA BAND. UN GIORNO ALLE PROVE MI CHIESERO DI PROVARE A SUONARE LA BATTERIA, MI VENNE NATURALE E COSI INIZIAI. DOPO DUE ANNETTI HO COMINCIATO A SCRIVERE CANZONI E HO ABBANDONATO LA BATTERIA. HO FORMATO UN GRUPPO NEL 1994, I QUAXO, CHE HO SCIOLTO DUE ANNI DOPO PERCHE’ MI SONO RESO CONTO DI ESSERE ALLERGICO ALLE DINAMICHE DI GRUPPO E VOLEVO CONTINUARE DA SOLO.

È ancora l’amore per quello che fai che ti spinge a continuare? Considerando che hai all’attivo otto album, oltre a diverse collaborazioni e altro, non pensi che, a un certo punto, le idee possano esaurirsi?

LE IDEE SI ESAURISCO SEMPRE, E PER FORTUNA, ALTRIMENTI AVREI IL MAL DI TESTA! E’ PER QUESTO CHE CERCO SEMPRE NUOVE SOLUZIONI, PERCHE’ SE SCOPRO UN’ IDEA CHE FUNZIONA E PROVO A REPLICARLA, MI VIENE SEMPRE FUORI UN PASTICCIO. LE IDEE VANNO E VENGONO, ALCUNE FUNZIONANO, ALTRE NON VANNO PROPRIO.

Nel corso degli anni, ho notato una sorta di evoluzione melodica a discapito delle sperimentazioni lo-fi degli esordi. Come mai questo mutamento pop?

IO HO SEMPRE FATTO POP. NON HO MAI CONSIDERATO LA MIA MUSICA COME MUSICA SPERIMENTALE. ANCHE UNA CANZONE COME “SPERMATOZOI” E’ POP. SOLO CHE ALL’ INIZIO AVEVO POCHI MEZZI E LA QUALITà SONORA ERA QUELLO CHE ERA. IO CERCO DI NON RIPETERMI, CERCO DI LAVORARE IN TERRENI IN CUI NON MI SENTO SICURO.

Quest’anno hai duettato con Enrico Ruggeri nel brano “Il lavaggio del cervello” contenuto nell’album “Le canzoni ai testimoni” nel quale Ruggeri canta con diversi esponenti della nuova musica italiana (Dente, Linea77, Marta sui Tubi, ecc…). Come nasce questa collaborazione? Può essere la base per qualche progetto futuro o un episodio isolato.

CREDO CHE SARà UN EPISODIO ISOLATO, A MENO CHE RUGGERI NON VOGLIA FARE UNA COVER DI BUGO!

Come è nato il tuo ultimo album “Nuovi Rimedi Per La Miopia”?

E’ NATO DURANTE IL TOUR DI CONTATTI, NEL 2009. CI HO LAVORATO PER OLTRE UN ANNO E L’ HO COMPLETATO E CONSEGNATO AD UNIVERSAL NELL’ ESTATE DEL 2010. VOLEVO UN DISCO DIVERSO DA CONTATTI.

Torniamo a qualche anno fa. Parlami della splendida “Amore Mio Infinito”, ispirata al romanzo di Aldo Nove e presente nell’album del 2006 “Sguardo Contemporaneo”.. Scrivi spesso le canzoni ispirandoti a opere letterarie?

NO, IN GENERE NO. PERò ALL’ EPOCA AVEVO LETTO QUEL LIBRO DI ALDO E MI AVEVA COLPITO L’ AMORE DEL BAMBINO PER LA BAMBINA. E IO NON AVEVO ANCORA SCRITTO UNA CANZONE CON UN TESTO COSI “INFANTILE”.

Quando, con quale disco o canzone, in quale circostanza hai capito che avresti vissuto di musica?

CON “CASALINGO”. L’ HO SCRITTA NEL 1998 MA HO ASPETTATO IL MOMENTO GIUSTO PER PROPORLA.

Il vecchio tormentone/paragone con Beck (che oggi non ha più senso) ti ha più lusingato o infastidito, nel corso degli anni?

ENTRAMBE LE COSE.

Una delle cose che ho sempre trovato affascinante nel tuo modo di scrivere è l’attenzione per le piccole cose apparentemente insignificanti e la capacità di cantare la generazione della disillusione. Nel tuo ultimo album, “Nuovi Rimedi Per La Miopia”, ho notato invece una sorta di aria di speranza e tematiche più sentimentali e adolescenziali. Sembra che il giovane Bugo di qualche anno fa puntasse paradossalmente a un pubblico più maturo rispetto all’artista di oggi. Non è più il Bugo di “Spermatozoi” (che adoro) e mi è difficile immaginare un pezzo come “Comunque Io Voglio Te”, come un pezzo di quel Bugo? Chi o cosa ti ha cambiato? Stai ringiovanendo?

IO NON VOGLIO RIPETERMI, NON HA SENSO PER ME RISCRIVERE UNA CANZONE COME “SPERMATOZOI”. RIMANE UN BRANO UNICO PERCHè NON NE HO MAI RIFATTO UNO SIMILE. IO CERCO DI IMMAGINARMI NUOVE IDEE. NON AVEVO MAI SCRITTO UNA CANZONE IN CUI MI IMMAGINAVO UNA SORTA DI PERSONAGGIO CHE FA IL DURO E DICE CHE L’ AMORE è UNA SCELTA COME IN “COMUNQUE IO VOGLIO TE”. IO VOGLIO ESSERE SEMPRE DIVERSO, PERCHè DENTRO DI NOI ABBIAMO TANTI LATI, SIAMO DEI MULTIPLI. IO NON HO NULLA A CHE FARE CON LE TEMATICHE ADOLESCENZIALI, NON MI SONO MAI INTERESSATE. E NEL NUOVO DISCO NON C’è TUTTA QUESTA SPERANZA CHE TU CI VEDI. LA VITA è VANITà , E SEMPRE SARà COSI PER ME.

Che rapporto hai con il tuo pubblico? Oltre ai tuoi fan, ci sono ancora gli oppositori violenti (non necessariamente in senso fisico) che mi è capitato di vedere a qualche tuo live? Da dove viene quest’astio da parte di alcune persone? Perché chi non ti apprezza si arroga il diritto di offenderti e non fa la stessa cosa con altri artisti? Perché succede a te e non a Dente o Brunori?

SE DECIDI CHE VUOI ESSERE UN ARTISTA ALLORA PREPARATI ALLA CROCIFISSIONE. OGNUNO HA DIRITTO DI ESPRIMERE IL PROPRIO PARERE. IO NON SONO UN RUFFIANO, NON FACCIO MUSICA PER ACCONTENTARE GLI ALTRI, FACCIO LA MIA MUSICA E BASTA, CON TUTTI I RISCHI E LA FATICA CHE COMPORTA. CHI MI OFFENDE FA BENE, PERCHè ANCHE IO OGNI TANTO OFFENDO ME STESSO! ANCHE GLI ALTRI PERò DOVREBBERO OFFENDERE SE STESSI!!

C’è molta più elettronica nella tua musica. Scelta dettata dalla necessità evolutiva o cosa?

L’ ELETTRONICA FA PARTE DELLA MUSICA DI OGGI, NON POSSO FARNE A MENO E HO ANCORA TANTO DA SCOPRIRE.

Pensi di aver avuto dalla musica tutto quello che ti spetta?

NO! VOGLIO FARE UN DUETTO CON JIMI HENDRIX!

Che musica ascoltavi da ragazzo e cosa ascolti oggi? L’ultimo disco ascoltato e il tuo preferito?

HO INIZIATO CON DURAN DURAN ALLE MEDIE, POI TANTO RAP AL LICEO, DA JOVANOTTI AI BEASTIE BOYS. POI IL ROCK AMERICANO E MAN MANO MI SONO FATTO ONNIVORO. ASCOLTO TUTTO RANDOM, SENZA PENSARCI TROPPO. L’ ULTIMO ALBUM CHE HO SENTITO E’ “COEXIST” DEGLI XX. UNO DEI MIEI PREFERITI, SE NON IL MIO PREFERITO, è “THE PIPER AT THE GATES OF DAWN” DEI PINK FLOYD.

Cosa ti piace e cosa odi della musica italiana, del sistema musicale e del pubblico, a mio avviso sempre meno capace di scegliere e condizionato da tv e radio, nonostante mezzi a disposizione molto più imponenti rispetto al passato (penso al web)? Siamo un popolo di pigri o di ignoranti?

SI, MA QUESTO NON è UN MALE SE RICONOSCIAMO DI ESSERE PIGRI E IGNORANTI.

Qual è il futuro della musica italiana? Come te lo immagini?

COME è SEMPRE STATA. DIVISA, OGNUNO A COLTIVARE IL PROPRIO ORTICELLO, NELLA SPERANZA CHE QUALCUNO PASSI E COMPRI I NOSTRI FRUTTI.

E cosa ne pensi della scena Indie? C’è qualcuno che non sopporti o che non merita il successo che ha? Ti avviso che a questa domanda mai nessuno ha fatto un nome. Sembra esserci molto rispetto reciproco, a “telecamere” accese.

AHAHA! IO NON SOPPORTO NESSUNO!! NEMMENO ME STESSO!

Ho notato una tua particolare attenzione all’aspetto estetico (vedi gli abiti che indossi nelle tue copertine) eppure questo non si riversa necessariamente nella tua proposta musicale, come accadeva per il Glam Rock. Che rapporto hai con l’apparire?

CI GIOCO, CON L’ APPARENZA. SE METTO UNA MAGLIETTA COOL DICONO CHE SONO UN FIGHETTO. POI METTO UN PANTALONE STRACCIATO DICONO CHE SONO UN BARBONE.  E’ TUTTO UN GIOCO.

Quale è il tuo sogno di musicista e la tua paura più grande?

NON VIVO DI SOGNI. LA MIA PAURA PIù GRANDE SONO SEMPRE STATO IO.

Pensi di dover dire grazie a qualcuno per essere quello che sei e di dover mandare affanculo qualche stronzo che ha provato a fermarti?

NESSUNO PUò FERMARTI, SE NON TE STESSO O LA MORTE. TROPPO FACILE DARE LA COLPA AGLI ALTRI.

Che rapporto hai con la critica musicale?

NULLO.

Qualche anno fa, hai suonato a pochi chilometri dal mio paese, nella suggestiva location dell’Eremo di Celestino V. Hai qualche ricordo particolare, bello o brutto che sia, di quella serata?

NON RICORDO NULLA!

Il tour “Qualcosa di più importante” è quasi alla fine. Il bilancio?

5 MORTI E 2 FERITI. LA MAGGIOR PARTE è SOPRAVVISSUTA.

Quali saranno i tuoi prossimi passi? Ora vivi in India con tua moglie, se non sbaglio. Dobbiamo aspettarci contaminazioni esotiche?

PUò DARSI, è PRESTO PER DIRLO.

Dimmi quello che avrei dovuto chiederti e non ti ho chiesto. Poi, se vuoi, rispondi.

COS’ HAI MANGIATO STASERA? RISPOSTA: PASTA AL BURRO!

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Ravenscry

Written by Interviste

I traguardi si raggiungono col sacrificio, con la forza di volontà e la determinazione. I Ravenscry sono riuscito con le loro qualità a raggiungere importanti obbiettivi. Ai microfoni di Rockambula c’è l’ affascinante Giulia che ci illustrerà un po’ il percorso della band.

Anzitutto perché non presentiamo i Ravenscry ai nostri amici lettori?

Giulia: Perché no?! Il progetto Ravenscry nasce nel 2008, ispirato dalle desiderate doti istrioniche del batterista Simon Carminati, dal sarcasmo irritante del bassista Fagio, dal fascino incompreso del chitarrista Mauro Paganelli, dalla stabilità altalenante del chitarrista ritmico Paul Raimondi e dalla sconfinata passione per gli animali della cantante Giulia Stefani.

Questo “One Way Out” è il vostro disco d’esordio, cosa ci dite a riguardo: come, dove e con chi si sono svolte le fasi di registrazione e mixaggio?

Giulia: Beh, così mi costringi a tornare seria! Farò l’immane sforzo… One Way Out è il risultato di un vero e proprio lavoro di squadra: le idee, proposte da qualcuno, sono state poi sviluppate con l’apporto di tutti, arricchendosi del background e dei gusti di ciascuno di noi. Quanto alla produzione, nonostante contassimo esclusivamente sui nostri limitati mezzi finanziari, non abbiamo voluto rinunciare alla qualità e ci siamo avvalsi della competenza di grandi professionisti. Per quanto riguarda la fase di registrazione: Simone Mularoni e Simone Bertozzi dei Fear Studio e Dario Ravelli di Suonovivo; per la fase di mixing e mastering: Fabrizio Grossi di Sound of Pisces (Steve Vai, Slash, Cypress Hill, Alice Cooper ecc.) e Tom Baker di Precision Mastering (Judas Priest, Sevendust, Manson, Megadeth e via dicendo) di Los Angeles.

Per quanto riguarda la promozione del disco come vi state muovendo, che tipo di lavoro state facendo?

Giulia: La nostra principale strategia è quella di instaurare, per quanto possibile, un rapporto “umano” con coloro che ci seguono e ci apprezzano, cosa che nessuno può fare per noi! La nostra etichetta lavora su obiettivi meno immediati ma certamente più importanti, come le campagne promozionali all’estero rivolte alla stampa, alle webzines e alle agenzie di un certo livello, alle quali noi non potremmo arrivare solo con le nostre forze. Molto intense e positive sono state quelle rivolte alla Germania, dove il nostro disco è distribuito da Soulfood/Sony BMG, all’amata Scandinavia e al Giappone, dove le nostre etichette, rispettivamente The Trip Records di Peter Uvén e Hydrant Music, hanno lavorato in maniera impeccabile!

Come vi trovate con la Wormholedeath e la Dreamcell11? Com’è nata la collaborazione con loro?

Giulia: In parte ho già risposto prima. Posso solo aggiungere che, per quanto intenso possa essere stato il lavoro dell’etichetta, ci troviamo pressappoco come una qualsiasi band underground al primo disco.

Quanto all’origine dei nostri rapporti, posso semplicemente dirti che all’epoca, ricevuto il nostro materiale, l’etichetta si è mostrata subito entusiasta, e insieme abbiamo elaborato una proposta di collaborazione.

A tuo parere qual è stata l’esperienza live che più ti ha colpito e ti è rimasta impressa fino ad ora con i Ravenscry?

Giulia: Vediamo… Ci sono state occasioni durante il tour in Scandinavia, in cui il pubblico era letteralmente rapito, quasi come in uno stato di catarsi folle, di delirio da baccanale che esprimeva un assoluto senso di libertà che solo la musica (e, ammettiamolo, anche un po’ l’alcol…) riesce a scatenare. Difficile darti una data precisa: accadeva quasi ogni sera 😀

Come è stato accolto il disco dal pubblico e come dalla critica?

Giulia: In maniera discordante, come ci si aspettava! Non abbiamo scelto una strada facile… ci sono momenti in cui le prendiamo, da una parte, dai metallari puro sangue; dall’altra, dalle orecchie più fini. Ma al di là di questo, c’è da dire che un grande risultato è stato l’improvviso e crescente interesse del pubblico dopo la pubblicazione del videoclip di Nobody (e non voglio credere che sia solo per la somiglianza del protagonista con A. Hopkins…:D). Oltre all’aumento di fans tedeschi, inglesi, svedesi, abbiamo notato, in particolare, un incremento di contatti dal Sud America e dalla Russia, cosa che ci sorprende piacevolmente dato che non c’è ancora stata una promozione mirata in quelle aree…Altra grande sorpresa, le ottime vendite in Giappone!

Con quali band sogni di dividere il palco?

Giulia: Qualcuno sostiene che i sogni siano fatti per rimanere tali…altri confidano ancora fedelmente nelle stelle cadenti, o nei primi morsi ai frutti di stagione…io, nel dubbio, preferisco non dirtelo! 😀

Adesso ti andrebbe di esprimere un tuo parere personale riguardo il fenomeno del “Pay to Play”,  che sembra verificarsi molto negli ultimi tempi. Cosa ne pensi di questa cosa, che opinione hai su tutto ciò?

Giulia: La mia opinione in materia è piuttosto…indignata! Sarò presuntuosa, forse antiquata, ma per me rimane assurda e a dir poco contraddittoria la condizione della musica (e più in generale, della cultura) ridotta a pura merce, al fine di arricchire le tasche di personaggi che non provano la minima vergogna a definirsi “imprenditori”, quando si tratta di musica. Senza contare quelli che si spacciano per benefattori. D’altra parte, finché saremo convinti di fare della musica la nostra vita, l’eventualità di un compromesso simile sarà sempre in agguato e, laddove in gioco ci fosse veramente la possibilità concreta di un salto di qualità, non è escluso che, prima o poi, ci si trovi a cedere.

Per quanto riguarda l’attività live cosa ci dici, dove suonerete nei prossimi giorni? Avete in programma anche qualche festival?

Giulia: Nulla di definito al momento, ma la risposta di prima credo possa darti già qualche indizio prezioso… . Al di là dell’attività live, vorrei cogliere l’occasione per annunciare l’imminente uscita del secondo videoclip, per il quale è stata scelta l’opener del disco, Calliope; e nel frattempo si lavora al nuovo disco. Nuovo disco, nuove contaminazioni… pronti a prenderle ancora e ancora 😉

Bene Giulia, l’intervista si chiude qui, concludi come meglio ti pare…

Giulia: E’ stato davvero un piacere. Un saluto a tutti i lettori di Rockambula, con la promessa di superare ampiamente, con il nuovo disco, le loro migliori aspettative!

 

 

 

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NoMoreSpeech

Written by Interviste

Ecco che sulle pagine di Rockambula approdano anche i NoMoreSpeech, la nuova band di Alteria, l’ affascinante conduttrice di programmi in onda su Rock TV, Rai 5 e Rock’n’Roll Radio, nonché membro dei Rezophonic. Nella seguente intervista conosceremo meglio il gruppo mettendo a fuoco anche alcuni interessanti retroscena.

Ciao Alteria e benvenuta su Rockambula. Anzitutto perché non ci dici come è nato il progetto NoMoreSpeech?

Alteria: Ciao, ci siamo formati tra il 2006 e il 2007. Io e il bassista suonavamo già insieme e in poco tempo abbiamo trovato batterista e chitarrista per andare in giro a fare serate. E infatti abbiamo iniziato subito con tanti concerti. Poi durante una prova in sala è saltato fuori il nostro primo pezzo composto da noi (Picture of Gold) quasi per caso da una ritmica jungle che il batterista stava provando…e da lì è partito il tutto.

Riguardo al vostro omonimo cosa ci dici, dove è stato registrato e soprattutto come si sono svolte le varie fasi di mixaggio e registrazione?

Alteria: Il disco lo abbiamo registrato, mixato e fatto il mastering ai Massive Arts Studios di Milano nel quale abbiamo passato 15 giorni praticamente giorno e notte a registrare prima e a fare il mix poi….una specie di tour de force piuttosto impegnativo ma che ci ha dato tante soddisfazioni!!! Il disco abbiamo cercato di farlo suonare piuttosto live e caldo e “di pancia” senza trastullarlo e editarlo troppo in post produzione…e ci piace assai così… L’unico pezzo che non abbiamo fatto al Massive è Picture of Gold che avevamo registrato in precedenza da altre parti e poi mixato al Massive e fatto il mastering a Los Angeles.

Chi si occupa dei testi e di cosa trattano?

Alteria: Dei testi mi occupo interamente io. Parlo di esperienze e riflessioni personali in modo piuttosto diretto cercando di renderle condivisibili e universali.

Sei una ragazza dalle mille risorse  oltre che super attiva ma riesci a dividerti il lavoro tra i NomoreSpeech, i Rezophonic, Rock TV e la radio?

Alteria: Diciamo che sono sempre iper attiva….tra i tanti concerti fortunatamente, la televisione (Rock TV e RAI5) e la radio (rocknrollradio) sono sempre in giro! La mia prima e più forte passione è la musica e ovviamente cantare e stare su un palco…in tv ci sono finita quasi per caso…

A tuo parere Rock TV ha influito sul vostro successo?

Alteria: Intanto non parlerei di successo…non facendo un genere così commerciale e non essendo un gruppo mainstream i canali sono pochi e la visibilità è ridotta. Diciamo che di concerti ne abbiamo sempre fatti tanti e speriamo sia sempre così, ormai i live sono quasi l’unica risorsa per una band che vuol promuovere la propria musica. Il mio lavoro a Rock TV mi ha sicuramente dato una certa visibilità anche se alla fine essendo un canale a pagamento è diffuso fino a un certo punto. E spesso questa cosa è un’arma a doppio taglio per chi ascolta rock…è facile dire “ah, è quella di rock tv…si è messa pure a cantare…” e magari sei più conosciuta in un certo ambiente come “quella che lavora in tv” quando è il contrario, nel senso che canto e giro i palchi di tutta Italia da una decina di anni e la tv è arrivata molto dopo. Quindi ci possono essere pregiudizi rispetto al mio lavoro di cantante che magari è visto come secondario o un qualcosa che faccio solo per hobby…

Che emozione provaste quando suonaste sul palco dell’ Heineken Jammin Festival?

Alteria: Tanta. A parte la cornice e la vetrina importante, era la prima volta che suonavamo dal vivo molti brani che poi sono finiti sul disco quindi ci tenevamo particolarmente. E direi che non poteva avvenire in un posto e in un momento migliore!

Un po’ di tempo fa vidi un vostro show a Napoli, al Sea Legend di Pozzuoli. Un grande show veramente ma tu ti aspettavi tutte quelle persone?  Nel vostro minitour, in quale città siete stati accolti con più “calore”?

Alteria: Diciamo che ci sono delle realtà, dei locali e dei festival che sono vivi e interessati alla musica dal vivo ed è sempre un piacere, anzi una goduria…., esserci e parteciparvi! Al Sea Legend ci siamo divertiti molto, la gente ha reagito alla grande e speriamo di tornarci presto…magari quest’inverno! In questa tranche di date ci siamo sempre divertiti e ovunque la gente ci ha accolti alla grande, che è la cosa più importante quando sei in giro, sentirti a tuo agio sopra e sotto il palco! Al sud per ora abbiamo girato poco (Latina, Napoli, Bari) ma vorremmo quest’inverno tornare e girare un po’ di più, il calore è tanto!

E invece del video “Think or Feel” cosa ci dici, chi si cela dietro questo lavoro? Infine avete intenzione di girarne un altro?

Alteria: L’idea è nata da me e Nando (bassista) l’estate scorsa in spiaggia…Lui aveva visto la location (piuttosto particolare, un albergo in disuso piuttosto vintage e rimasto come 40 anni fa) e da lì siamo partiti a scrivere il soggetto e poi la sceneggiatura. Anche la produzione, anche esecutiva, anche è opera nostra. Il lavoro è stato poi svolto in una intera giornata da ottimi professionisti e  grandi amici che si sono prestati alla causa! Ora stiamo valutando se girare un altro video (piuttosto informale e un po’ “fuori” dagli schemi sta volta….) solo per diffusione virale su web senza promuovere il brano come singolo quest’estate oppure aspettare settembre-ottobre e uscire con altro signolo e video…si vedrà!

Nei prossimi giorni dove suonerete?

Alteria: Ora siamo una attimo fermi, abbiamo qualche data sparsa ma non un vero e proprio tour. Per quello riprenderemo probabilmente a Novembre, per adesso in ballo abbiamo qualche progettino e impegno.

Bene Alteria, l’intervista si chiude qui, concludi come meglio ti pare…

Alteria: Intanto grazie mille per l’intervista e un saluto a tutti i ROCKAMBULARI….e speriamo di tornare dalle vostre parti live! Vi faremo sapere, come nei colloqui!!!! STAY ROCK

 

 

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IN FONDO A FRANCESCO-C

Written by Interviste

Tra i tanti ritorni del 2012 non poteva di certo scapparci questo.
Francesco Cieri, in arte Francesco-C, classe 1974, aostano (ma di origini marchigiane) è uno dei cantautori italiani più strampalati, più originali e indubbiamente più rock’n’roll di questo inizio di secolo. E dopo un lungo (7 anni, lunghissimo!) silenzio discografico torna con un nuovo progetto.
Il 23 gennaio 2012 esce “Il cielo oggi”, primo singolo di questo nuovo percorso, puntato verso l’amore e la sua forza. Questo incipit porterà “In fondo al cuore”, titolo dell’album che raccoglierà tutti i singoli raccolti in questa traiettoria.
Ma ora si va oltre, oltre il cielo. Pochi giorni fa è infatti uscito “Oltre al limite”, presentato all’ultimo Salone del Libro di Torino, che ci spinge ancora più in la o meglio ancora più a fondo.
E allora immergiamoci anche noi nei fondali e facciamoci quattro divertenti e spensierate chiacchiere col diretto interessato.

 

Dopo un lungo silenzio sembra che tu abbia incanalato la tensione verso
emozioni positive. Dal primo ascolto ho avvertito che questo nuovo Francesco è
meno pancia e più cuore. Ma anche più cervello. Più riflessivo insomma. E’
così?

Si,è così! Avevo bisogno di un periodo di riflessione per allineare la mia espressione creativa al percorso introspettivo che ho iniziato circa 4 anni fa.

Nel corso degli anni hai abbracciato l’elettronica violenta e il punk
rabbioso. I nuovi singoli mantengono la tua riconoscibilissima impronta e la
tua grande tensione emotiva, ma sono indubbiamente più pop. Da dove arriva
questa esigenza stilistica? C’è qualcuno con cui collabori che ti ha spinto ad
arrangiare i pezzi con questo sorprendente minimalismo?

Sono contento ti piaccia questo mio nuovo percorso.
Esatto, il minimalismo in questo periodo della mia vita è estremamente importante, essenziale. Sento la forte necessita di eliminare il superfluo e di lasciare un po’ di “aria” tra un verso e l’altro. Devo molto all’amico produttore Federico Malandrino che mi ha dato una grossa spinta per riuscire ad esprimermi al meglio.

Hai sempre pesato con gran precisione le parole. Anche quando anni fa gridavi
rabbia e inquietudine in mezzo ad una marea di frastuono. Senti che questa
nuova dimensione dia più spazio ai tuoi versi?

Certo,meno parole e più tempo per la riflessione e la metabolizzazione…questo non significa che domani io non esca con un pezzo incazzato! Ahah!

La frase che mi ha colpito di più del tuo nuovo singolo è “Ti darò un giorno
di sole, quando dentro hai un temporale”. Frase dalla disarmante semplicità. A
mio avviso molto vicina a versi della grande musica leggera italiana. Quali
sono gli autori nostrani che senti più presenti in questo tuo nuovo percorso?

Le parole che utilizzo devono toccarmi dentro, devono farmi vibrare ed avere
una certa apertura.
Devo confidarti che fatta eccezione per l’attività di dj, non ascolto granché.
In passato ho ascoltato di tutto, davvero di tutto.

Non hai mai inserito esplicitamente argomenti sociali e politici nella tua
musica. La tua “rivoluzione d’amore” potrebbe essere una risposta a questo
momento grigio?

Mi piace molto lo slogan che hai usato,”rivoluzione d’amore”,è molto giusto!
Bravo 10 e lode! Ahah
Oltre la televisione che non guardo da diversi anni,in quest’ultimo periodo ho
eliminato quasi totalmente l’informazione. Anche questo fa parte di un passaggio
naturale che ho deciso inconsciamente. Sicuramente in futuro riprenderò a
leggere i giornali, ma per ora non m’interessano, preferisco guardare il cielo o
cose del genere…troppo romantico?! Ahaha!

Parlaci un po’ del progetto “In fondo al cuore”. Come mai hai preferito
pubblicare singoli scaglionati invece di produrre direttamente un album? Pensi che l’ideologia romantica del “disco” sia defunta? Come pensi possa evolvere il mercato musicale nell’immediato futuro?

Cresciuto con la musica degli anni sessanta, mi ha da sempre affascinato il 45
giri. Da sempre avrei voluto realizzare singoli, e ora lo stiamo facendo.
Non so come si svilupperà il discorso musicale, e sinceramente m’interessa
poco. Io non sono un discografico!

Parliamo dei live. Quest’anno hai ripreso anche a suonare con la band, in
versione rock’n’roll e per fortuna ho avuto l’onore di rivederti all’opera. Da
dove arriva questa necessità di tornare “bestia da palcoscenico”? Come fai a
scinderti tra punk-rock animalesco e “il cielo oggi commuove”? Dobbiamo
preoccuparci di un disturbo bipolare? Francesco è nero e poi bianco oppure la
tavolozza dei colori si completa con le due estremità?

La mia attuale espressione artistica è quella dei nuovi brani, non per questo
non esisto più come rocker. Saltare sul palco mi diverte ancora e penso
fermamente che le mie vecchie canzoni non siano così vecchie. Con questa nuova
formazione abbiamo potuto selezionare una dozzina di singoli e riproporli.

Vieni da Aosta. Che qualche anno fa ha sfornato una band ruffianissima che ha
distrutto lo schermo televisivo: i Dari. Sappiamo che li conosci bene e
onestamente ho sentito in loro molte influenze “francescane”. Cosa ne pensi del
loro successo lampo? Che fine hanno fatto? E in generale come ti poni nei
confronti delle odiatissime “kanzoni commerciali col ritornello bbello”?

Io non ho mai avuto niente in contrario con il cosiddetto pop, anzi continuo ad
adorare e a scrivere “slogan”, me lo hanno fatto notare con “Il cielo oggi”. E’
cambiato il modo di concepirli.

Rimaniamo nella tua città. Bazzicando tra i (pochi) locali e seguendo la
scena da tanti anni. Quali sono le band e i cantautori aostani che meritano più
luce in questo momento? (Ti prego non tirare di nuovo in ballo i Dari che qui
mi radiano!)

A dire il vero non so cosa risponderti…

Ora una domanda da fan. Quando arriverà il prossimo singolo? Ci dai un
‘anticipazione?

Abbiamo già dei provini per quelli che potrebbero essere il terzo e il quarto
singolo, ma proprio perché lavoriamo sulla singola canzone non conosco la data
precisa di uscita. Probabilmente dopo l’Estate.
Intanto c’è l’idea di realizzare il video di “Oltre al limite”.

Grazie della chiacchierata Francesco, a presto e in bocca al lupo.

Grazie a te, è stato un piacere.

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Anche l’ arte vuole la sua parte! con Massimo Desiato alias Teschio Urbano

Written by Interviste

Intervista con Massimo Desiato alias Teschio Urbano, artista emergente della scena alternativa pescarese. Un lungo film noir anni ’30 nato tra ricordi di un’infanzia fatta di block notes pieni di schizzi e dark substance in continua evoluzione verso sperimentazioni plastiche sociali.

Ciao Massimo. Raccontami subito chi sei e chi è Teschio urbano.

Sono uno sperimentatore..mi piace giocare con le forme, con la materia, associarle per darle nuova vita; Teschio Urbano è uno degli alias con cui mi piace giocare.

Parlaci della tua arte. Com’è nata la tua passione? A che punto della tua vita artista, del tuo percorso, pensi di trovarti? Credi di essere già riuscito a sviluppare uno stile personale? Quali sono le tue tecniche predilette.

La mia passione nasce dai block notes che mi riportava mio padre dall’ufficio, mi diceva disegna e quando tornava, erano già tutti pieni. Il percorso è stato molto lungo e spesso dispersivo, era legato più ad un fatto di riproduzione di quello che vedevo, mentre negli ultimi anni ho scoperto la passione dell’interpretazione personale, la curiosità per i materiali più disparati, sapere come nascono e quali processi riescono a trasformarli sia nella forma che nella sostanza. Lo stile personale credo sia solo una delle tante parole per catalogare le idee, non credo sia fondamentale, credo conti più trasmettere un’emozione, riuscire ad entrare ‘dentro’ senza citofonare al cognome giusto ma semplicemente dicendo “ sono il fioraio”, lasciare e scappare. Le tecniche utilizzate sono ispirate a principi di riutilizzazione di materiali di scarto, la matericità e le straticromie sono senz’altro tra le mie preferite.

La tua vita ruota attorno alla città di Pescara. Credi che Pescara ti abbia aiutato o limitato con i tuoi progetti creativi? Qual è la situazione culturale attuale del capoluogo e come, la stessa, è cambiata negli ultimi anni?

Senz’altro mi ha insegnato a fare delle scelte anche in ambito creativo, la situazione culturale credo sia in evoluzione; si pensi per esempio all’Ex Aurum, al Museo Laboratorio a Città Sant’Angelo, all’Ex Mattatoio, allo Spazio Pep Marchegiani. Riutilizzare gli spazi è fondamentale in una città che presenta ancora tantissimi spazi da riqualificare.

C’è un qualche rapporto tra la musica e le tue creazioni?

La musica ha sicuramente un posto molto importante perché mi permette di relazionarmi con le idee di persone che hanno scelto di vivere di bellezza.

Come nascono le tue opere? Hai una musa, delle fonti d’ispirazione precise. Che importanza e che ruolo hanno contaminazione e “citazionismo” (penso agli omaggi a Slinkachu, ad esempio)?

Nascono dal bagaglio culturale e dalla voglia di sperimentare con le proprie mani, sporcandosele; ho la fortuna di essermi avvicinato agli stilemi e alle catalogazioni con la curiosità di un bambino seduto per terra a disegnare. Le mie muse sono i dettagli della vita, quelli che ti permettono di capire l’anima delle cose come ad esempio quando ti accorgi che il rumore dell’uovo con la mozzarella che cuoce produce lo stesso suono della puntina su un disco degli anni 30 o un aquilone multicolore sfracellato contro un pino un aquilone multicolore sfracellato contro un pino un aquilone multicolore sfracellato contro un pino, quando ti cade l’occhio su un aquilone sfracellato contro un pino o ti soffermi a guardare l’acromion di una persona che ti parla insistentemente di politica. La contaminazione è ovvia, mi piace pensare a quello che succedeva a Brajo Fuso, che dipingeva le sue Straticromie a metà degli anni quaranta e nella seconda metà degli anni cinquanta, essendo completamente all’oscuro dell’esistenza del dripping praticato dall’altra parte del mondo da Jackson Pollock già dal 1946 ma anche a Burri, Rotella, Fontana, Thierry Mugler, Alexander McQueen, Vivienne Westwood.

Quali sono le principali difficoltà che ti capita di affrontare nel tuo lavoro, sia a livello creativo sia espositivo?

Riuscire a trovare persone che vogliano mettersi in gioco senza pensare ai soldi.

L’arte è prostituzione, diceva Baudelaire. Si può (soprav) vivere oggi, solo della propria arte?

Non credo sia possibile, però spero sempre di dare un’emozione prima di tutto, è l’unica cosa che la gente ti può offrire spesso.

Navigando nel tuo sito www.teschiourbano.com una delle prime cose che si nota è una citazione di John Milton da “Il Paradiso Perduto”, libro I, vv 59-69. Perché questa scelta?

La citazione è straordinariamente pertinente ad un mio progetto intitolato HE’LL in cui cerco di mettere in luce gli inferni personali attraverso l’arte. Le tematiche trattate sono: la vita di una geisha, l’anoressia, la malattia mentale e quella fisica, la vita di un clochard, l’omosessualità, la violenza sulle donne, la vita di un musicista, di un alcolista, di un carcerato. Ogni tematica sarà trattata singolarmente e rappresentata sotto diversi aspetti, che vanno dall’arte pittorica, alla scultura e all’arredamento passando dalla poesia e dalla performance.

Tra i tuoi diversi progetti o percorsi artistici hai spesso trattato tematiche sociali anche molto complessi come malattia o anoressia. Pensi che l’arte figurativa possa o debba avere anche una funzione sociale? O la scelta è dovuta ad altro?

Come ti dicevo l’arte non può distaccarsi dalle emozioni perché è proprio lì che nasce e si sviluppa, trovo che dare un significato a quello che si fa con un risvolto legato ad una tematica sociale sia fondamentale, anche semplicemente per parlarne e capire quanto siamo tutti legati a stretto giro di boa.

Guardando alcune delle tue opere (“L’Inferno di Ana” su tutte) sembra emergere una predisposizione per la materia oscura, dark, gotica, il rosso sangue e il nero. Figure antropomorfe ma demoniache. Tuttavia, conoscendoti, sembri una persona estremamente solare. Come mai questo contrasto?

La personalità di ognuno di noi offre dei contrasti importanti spesso levigati da remore, cosa che non si può fare con un’opera d’arte, risulterebbe piatta e scialba utile solo all’ego dell’artista.

Ho notato che spesso leghi le arti figurative, pittura e scultura, con la letteratura (scritti, poesie, ecc…) quasi come per evitare ogni forma d’interpretazione distante dal messaggio che vuoi mandare con le immagini.  Timore di essere frainteso o cosa? Non rischia di essere limitante per l’arte, la sua spiegazione (non ovviamente sotto l’aspetto tecnico ma piuttosto sotto quello emozionale) o credi che un punto di partenza debba comunque essere fornito dall’artista per permettere a chi osserva una maggiore partecipazione?

Credo sia importante legare all’opera quando è possibile un altro punto di vista, quello della scrittura è sicuramente uno dei più efficaci. I fraintendimenti non possono esistere, penso che si tratti, per lo spettatore, più che altro di associare una sua emozione a quello che vede.

Che cos è Arte?

Una forma di linguaggio.

Quanta importanza ha il web per la diffusione dell’arte e quanta importanza dai tu ad internet?

Non se ne può fare a meno, lo considero un’arma importante.

Dove possiamo ammirare i tuoi lavori?

Per il momento, dopo aver dato spazio al mio ego in alcune manifestazioni, credo di dover iniziare a gestire in modo più accurato le mie esposizioni dandogli un significato completo. Non parlo del MOMA ma comunque di spazi dove possa esprimere al meglio l’unicità.

I tuoi prossimi progetti?

Mi sto focalizzando sulla sperimentazione della plastica nelle sue forme più diverse e sulla street art.

Tra due minuti squilla il tuo telefono. È un tizio di Telemarket. “Blablablablablablablablablablablablablablabla… Da domani inizi a lavorare per noi. Avrai un fisso di € 1300,00 al mese e dovrai consegnarci dieci opere a settimana (che diventeranno di nostra proprietà)”.  Che rispondi?

La ringrazio ma non lavoro su commissione, buona giornata.

Dimmi quello che avrei dovuto chiederti e non ti ho chiesto? Poi, se vuoi, rispondi.

Potevi chiedermi perché continuo a farlo.

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“Le interviste improbabili” Piero Pelù

Written by Interviste

M: Piero.. ma perché?

P: Un saluto a tutti i fans da Piero PAlù

M: Ma ti sei rimbambito?

P: In che senso scusa?

M: Ti dicevo.. perché?

P: Perché cosa?

M: Dai lo sai.. perché non hai continuato a suonare con Ghigo e non ti sei accontentato di vendere poche migliaia di dischi, come Federico?

P: Ma chi, quello sfigato di Fiumani?

M: O sfigato ma di che?

P: Senti bellina, quando suoni e fai dischi mica li fai per la gloria. Io volevo il successo e me lo sono preso.

M: Sì bello ma il successo ti ha dato alla testa mi sa. A una certa hai tirato fuori canzoni che nemmeno la Mussolini le avrebbe messe in repertorio

P: Ma che ne vuoi sapere tu.. che ti piace la new wave..!

M: Piero scusa ma ti vorrei ricordare che anche tu nasci come esponente della new wave Italiana anni ’80. L’hai dimenticato che a Firenze c’eravate tu, i Diaframma e i Neon?

P: E infatti si vede che fine hanno fatto gli altri.. i Neon non pubblicano un disco dal secolo scorso e Fiumani per campare scrive le poesie

M: Cosa ci sarebbe di male nello scrivere le poesie, è un artista.. LUI

P: Come sei ingenua bambolina.. l’arte non ti fa mangiare.. io con Elettromacumba ho venduto più copie che Fiumani in una vita intera

M: Vabè ho capito è inutile discutere con te. Ammetterai però che questa reunion con Ghigo è segno evidente che senza di lui non vai da nessuna parte. Scusa se sono così schietta ma da solista hai fatto ridere i polli

P: Vabè questa te la concedo. Ghigo suona la chitarra come io mi trombo le pischelle, dite così a Roma vero? Però senza il mio carisma Ghigo sarebbe nulla. E infatti si è visto cosa non ha fatto quando suonava con la brutta copia di me

M: E già perché più fighi di te non si può..

P: No bella, non si PUO’.


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