Interviste

Peter Punk

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I Peter Punk sono tornati da poco con un nuovo disco dopo una pausa di quasi dieci anni. Il Seme Della Follia è un disco di puro Punk (se volete saperne qualcosa di più trovate la recensione qui su Rockambula, talmente puro da sembrare quasi anacronistico, piacevolmente immaturo. Abbiamo dunque fatto due chiacchiere con la band per capire meglio come si legano insieme queste tre realtà: Punk-Italia-2015.

Ciao a tutti e benvenuti su Rockambula! Dopo un lungo stop, che effetto fa tornare a fare dischi, a rilasciare interviste, a macinare kilometri e fare del gran macello (ne fate ancora tanto e l’ho visto coi miei occhi)? Cosa avete fatto in questi anni? Quando vi siete mancati a vicenda e cosa vi ha spinto a riprendere?

Ciao!!!!E’ una sensazione bellissima!! Noi adoriamo suonare, quindi comporre, creare e soprattutto fare concerti! Ci fa molto piacere che hai notato che ad ogni concerto sputiamo ancora sangue e non ci risparmiamo. Per noi sarebbe impossibile star fermi e non dare il 100%. E dovresti vedere il dopo concerto, un delirio senza fine ahahahh. Abbiamo ricominciato a suonare con i Peter per non buttare nel cesso anni che sono stati tra i migliori della nostra vita, poi tieni presente che tre di noi han suonato , dopo i Peter , per anni nelle Cattive Abitudini. Alla fine abbiamo aggiunto “soltanto” il tassello mancante alla nostra follia.

So benissimo che la scena musicale odierna in Italia non è quella dei gloriosi anni 90. Quali sono i pregi e i difetti di allora e di oggi. Com’è cambiato il modo di fare live secondo voi? Quanto e come i social network influiscono sull’attività di una band come la vostra?

I pregi sono che il pubblico era maggiore e la gente più coesa in una scena. C’era più interesse e la gente sembrava divertirsi di più che oggi. C’era più iniziativa e più amore per la musica. L’unico difetto è che era tanto facile sparare sui gruppi che avevano più successo etichettandoli come dei venduti. Il nostro modo di fare live non è cambiato, come dicevamo prima diamo sempre tutto. In generale, anche ai concerti di gruppi più grossi, si tende ad osservare più che a partecipare. Noi crediamo ai social fino ad un certo punto. Servono per pubblicizzare i concerti soprattutto, però lo stare sul campo è il modo migliore per promuovere il gruppo.

Quali sono secondo voi i gruppi storici del Punk italiano che hanno scritto la nostra storia e quali quelli caduti nel dimenticatoio che avrebbero meritano maggior successo? Esiste ancora una “scena”?

La “scena” esiste sempre, è meno numerosa ma c’è sempre. Ci son davvero tanti gruppi storici che potremo citare, ma limitandoci al nostro tipo di punk è facile dire Punkreas, Derozer, Pornoriviste. Sono i gruppi emblema dei nostri anni. Tra i gruppi che meritavano un successo maggiore potremmo citare i primi Melt, i Paolino e i Senza Sicura. Grandissime band!

I ragazzi di oggi si affacciano alla musica con approcci a noi difficili da comprendere (anche io ho qualche annetto alla spalle) e un genere che indubbiamente genera entusiasmi è il Rap. Come vedere la sua esplosione nel nostro paese? E’ solo una moda o c’è qualcosa di più?

Purtroppo non siamo affatto informati sulla scena rap. Noi non seguiamo la televisione o altro. Forse nella grandi città questo fenomeno è più tangibile, ma qui di certo no. Non siamo dei vecchi dinosauri, ma riconosciamo di non seguire i trend del momento. Noi ascoltiamo sempre e solo punk rock, hard core e metal.

Arriviamo al disco Il Seme Della Follia. E’ sicuramente un disco con pochi cazzi e tanta botta, che contiene comunque pezzi diretti e molto orecchiabili. A mio avviso però non è cambiato molto nel vostro modo di fare musica. Non avete sentito il bisogno di far evolvere il vostro suono e i vostri testi?

Secondo noi invece sia musica che testi si sono evoluti. Non è un disco uguale ai precedenti anche se ovviamente segue il genere. Se per evolvere dobbiamo snaturarci allora mi sa che è dura che lo faremo mai. Il Seme della Follia suona esattamente come devono essere i Peter nel 2015.

In “Ombra Longa Day” parlate di una fiera di paese delle vostre parti, con tanto di dialettismi, quanto sono importanti le vostre origini geografiche nella vostra musica?

Più che una fiera era un proprio evento. Sempre collegandoci al titolo del nostro disco, potremmo definirla follia totale. Forse Oliviero Toscani ha pensato proprio a questa festa quando ha definito tutti i veneti degli ubriaconi ahhaha. Diciamo che il vino ci piace. Noi amiamo la nostra terra, ma come qualsiasi altra persona pensiamo. Come i ragazzi sardi ad esempio. Sono molto legati alla loro Sardegna e fanno bene. Siamo tutti italiani, ma il luogo dove si nasce e si cresce rimane sempre nel cuore. Ogni tanto mettiamo qualche parola tanto per cambiare e per rimarcare che siamo gente cresciuta campagna che rimarrà sempre semplice e schietta.

Ho notato che utilizzare la figura di Diprè nel video di “Trasher” è stata una scelta molto criticata. Come la giustificate e come è avvenuto il contatto con questo ormai popolarissimo personaggio del web?

L’idea di Diprè è nata da Stefano. Siamo tutti affascinati dai suoi personaggi e ci fanno parecchio ridere. Però non comprendiamo come gli stessi riescano a diventare cosi famosi da riempire i locali dove vanno e le band che si fanno il culo invece non riescono ad avvicinarsi al loro livello di popolarità. E’ questo il messaggio che vogliamo trasmettere con il nostro video. Sempre con la nostra solita ironia. Purtroppo molte persone non l’hanno capito, ma alla fine non possiamo farci niente a tal proposito. Lui comunque è stato subito disponibile e gentilissimo. Sa quel che vuole e ha una sua logica.

Cosa prevede il futuro di Peter Punk?

Prevediamo che faremo sempre quello che ci piace di più. Cioè suonare cercando di trasmettere qualcosa a chi ci ascolta. Quando non avremo più nulla da dire allora smetteremo

Grazie mille a tutti! Fate un bel saluto agli amici di Rockambula e in bocca al lupo!

Un saluto a tutti gli amici di Rockambula!!!!Ricordatevi di spargere sempre il seme della follia!!!

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Cristiano Romanelli (UMMO)

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Avete voglia di qualcosa di veramente insolito a livello musicale italiano? Allora dovete assolutamente atterrare sul pianeta Ummo! Gli Ummo infatti propongono una ventata di novità mescolando vari generi che passano dalle vie del Metal a quelle del Pop passando attraverso autostrade sonore elettroniche in un nanosecondo. Ne abbiamo parlato con Cristiano Romanelli, voce, synth e pianoforte degli Ummo.

Come e quando sono nati gli Ummo?
Gli Ummo nascono dalla mia mente contorta, dalla voglia di evadere mentalmente, emotivamente e fisicamente da questa realtà priva di bellezza, passione ed erotismo. C’è troppa volgarità vestita di una fitta ignoranza… E grazie a tre amici intimi… folli e arroganti come me che hanno appoggiato l’idea sono nati gli Ummo. Anche se il termine esatto sarebbe “atterrati”! Erano anni che avevo in mente di fondare un gruppo che miscelasse vari generi musicali pur rimanendo in chiave pop!

Cosa si cela dietro questo nome?
Potrei risponderti semplicemente che è il nome del nostro pianeta di origine… ma dato che la risposta viene sempre presa o per ridicola o per una metafora di chissà quale filosofia di vita… meglio rispondere con una bugia ma che bugia proprio non è… e dire che UMMO è una leggenda aliena… di alieni atterrati anni fa sul pianeta Terra ! Tanto sono millenni che sono tra gli uomini! Tu non credi?

Come definireste la vostra musica?
Nostra! Maledetta arroganza… mi affascina troppo! Seriamente parlando credo che la definizione che molti ci hanno dato calzi a pennello: Heavy pop! Un mix di classica, rock contemporaneo con delle torbide venature metal, ma sempre incentrata sulla ricerca spasmodica della melodia! Quindi in realtà non saprei dirti a quale genere appartiene la nostra musica… l’importante è che sia bella musica! Almeno proviamo a farla!

A chi vi ispirate? In Italia ci sono pochi gruppi che propongono uno stile simile al vostro…
Infatti se proprio dobbiamo parlare di musica italiana… mi affascinano molto i mitici Decibel e lo stile compositivo di Morgan. Ovviamente le trovate geniali melodiche di Battisti. Ma preferiamo ispirarci a musicisti esteri come Muse, Metallica, Radiohead e Placebo. Le melodie vincenti e ultraterrene dei Beatles e dei Queen! Anche se l’elettronica negli Ummo regna sovrana…ma sempre cavalcando il rock!

Di cosa trattano i vostri testi?
Credo di aver scritto un album molto spirituale. Ho davvero sondato la mia anima e la sua perdizione. La tentazione mi affascina così come la redenzione. I temi sono vari… dalla morte sino alla rinascita, dallo smarrimento emotivo sino alla salvezza tramite l’amore assoluto, dall’esoterismo alla cruda e cinica realtà che sprofonda sempre di più nel vile scetticismo e nella ridicola superficialità. “Destino” ha avuto ben 8000 passaggi radiofonici che per una band non sono pochi…

Ora con Malinconia a cosa puntate?
Puntiamo a farne 8.001. Bugia…Finta modestia da intervista! In realtà ne vorremmo un milione! Puntiamo a raggiungere più anime possibili lavorando, lavorando e lavorando sempre di più! Testa bassa a suonare il più possibile, comporre ogni giorno, ma soprattutto continuare a credere in ciò che facciamo contro tutti e tutto! Desideriamo il grande pubblico e, perdona ancora l’arroganza, portare aria nuova nel panorama musicale italiano.

Parlateci del vostro primo full lenght…
Un album davvero fuori dagli schemi! Grazie ai nostri produttori della Protosound ci siamo chiusi in studio due mesi! Giornate e nottate davvero folli ed estenuanti in cui ognuno di noi si è spremuto per dare il massimo! Abbiamo cercato di curare ogni minima sfumatura per esprimere ogni emozione che avevamo nel cuore e nella mente. Un’esperienza unica… davvero spirituale! Eravamo in sintonia perfetta e continuavano ad uscire idee sempre nuove! Alla fine ci siamo dovuti fermare altrimenti saremmo usciti davvero pazzi… più del solito intendo! Non so cosa accadrà con questo album (stiamo già pensando al secondo), ma una cosa è certa: siamo stati noi stessi e quindi sinceri…siamo stati incazzati e innamorati… pieni di speranza e nel disco credo vengano fuori tutte queste emozioni! Sai.. ho scritto la mia prima canzone a 12 anni… 18 anni fa… ne ho scritte più di trecento… ma questo è il mio primo album ed è una sensazione indescrivibile! Vada come vada… qualcosa siamo riusciti a creare…a suscitare… ed è già una piccola vittoria!

Progetti futuri?
Suonare tantissimo…alla ricerca del grande palco! Sicuramente continueremo a fare casino con idee folli e incursioni probabilmente anche illegali in giro per lo stivale! La nostra navicella atterra un po’ dove vuole… noi non abbiamo colpa! La composizione continua senza freni e sicuramente oseremo sempre di più! Ma la cosa più importante credo sia la voglia di riuscire ad emozionare le persone che ci vengono ad ascoltare! Credo fermamente in ciò: la droga di un artista non è la sua arte, ma le anime che ne fanno parte! E quindi daremo e faremo di tutto per farle vibrare!

Un saluto per i lettori di Rockambula!
Join us! Siamo atterrati e pronti per trasmettervi il nostro credo: ricordatevi di osare sempre! Tutti noi dovremmo ricordarci più spesso di guardare le stelle e sognare… contro tutti coloro che vorrebbero bruciarci le ali e le speranze! Yeah!

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Daniele Celona

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Daniele Celona è cantautore, compositore e produttore torinese, dalla decisa anima Rock. In occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro Amantide Atlandite, abbiamo avuto l’opportunità di farci raccontare direttamente da lui di cosa si tratta.

Ciao Daniele, grazie per essere qui con Rockambula, il 3 febbraio esce il tuo nuovo lavoro Amantide Atlantide, anticipato dall’uscita del singolo “La Colpa”. Cosa ci racconti in questo nuovo lavoro e cosa ha ispirato la realizzazione degli undici brani che lo compongono?

Grazie a voi. Che dire. E’ un disco sul presente e le sue difficoltà. Un reportage, ma anche un invito a resistere, ad alzare la voce, a trovare una propria via allo “starci dentro”. Ogni nostro comportamento, ogni scelta, ha un riflesso sociale, politico direi. Studiare come ci poniamo davanti a un bivio o ad un ostacolo, mi ha sempre affascinato. Per questo i miei personaggi sono sempre lì, in bilico, sul solco di qualche cicatrice. Sono canzoni di antieroi, canzoni per chi si è perso, ma riesce ancora a sognare ad occhi aperti.

Se vogliamo definire il territorio in cui si muove la tua musica, si potrebbe parlare di Rock cantautorale, ti ritrovi in questa definizione o preferisci darcene una tua personale?

Nulla osta su questa definizione. In realtà il gioco delle scatole con su scritto genere e somiglianze mi lascia sempre un po’ perplesso. Credo che le carte vadano scoperte attraverso l’ascolto, o ancor meglio assistendo a un live o guardandone il filmato perché no. Per usare un termine boxistico, i nostri ring sono quelli. Uno ascoltatore che voglia capire chi ha di fronte, deve salirci.

Amantide Altlantide è il risultato di una formula compositiva particolare una ricerca tra metriche, parole e tecnicismi, come il falsetto e il parlato. Ci racconti come nasce di solito una tua canzone?

La ricerca, il “mestiere”, agiscono più che altro in arrangiamento. La parte precedente è abbastanza istintiva. Non decido a tavolino se usare il falsetto o altro registro. Cerco una linea di cantato e normalmente sono tonalità e mood del pezzo a portare quasi naturalmente verso un certo colore. Le parole del testo sanciranno poi se quel vestito è adatto o meno. Sono un autodidatta sia come chitarrista che come cantante, con un sacco difetti. Pertanto né io posso permettermi dei tecnicismi, né li ho chiesti alla band in fase di preproduzione. Nelle mie intenzioni le canzoni devono suonare fluide pur nella loro struttura articolata ed esser divertenti da eseguire dal vivo.

Rispetto al precedente Fiori e Demoni c’è molto spazio a momenti strumentali di forte impatto ed energia, c’è lo zampino dei Nadàr Solo, tuoi compagni e backing band nel precedente lavoro oppure ci sono altre band o ascolti particolari che hanno influenzato le tue scelte?

Credo che già nel disco precedente i pugni allo stomaco non mancassero. In ogni caso le variazioni tra silenzi e sfuriate sono essenzialmente una mia, quasi patologica, esigenza. Chiaro, dove ho chiesto ai ragazzi di dare di più dal punto di vista della “cartella” non si sono certo tirati indietro. Ho spremuto il povero Alessio in particolare, con scelte di batterie molto muscolari, e passaggi repentini ad atmosfere quasi jazz o comunque molto delicate. E’ stata una parte bella del lavoro, diversa da quella di Fiori e Demoni che avevo intagliato in buona percentuale al computer. Ammetto che in questo fase del lavoro da sala prove ho teso a diventare quasi insopportabile, ma i Nadàr, con cui abbiamo lavorato insieme per anni sapevano ormai come prendermi e come macinare le mie idee in parti strumentali.

Tu, Levante, i Nadàr Solo, provenite tutti dalla scena torinese, è un caso oppure Torino, e il Piemonte in generale, sta recuperando terreno come fucina di talenti musicali? Che cosa ha significato per te crescere musicalmente in questo contesto?

E’ una città che ha molto da dire, su più discipline, non solo quella musicale. C’è energia e fermento. Non credo comunque si debba parlare di gara tra scene cittadine italiane, come non dovrebbe esserci rivalità per progetti simili all’interno di una stessa città. Forse noi, e aggiungo ai nomi che hai citato anche Bianco, abbiamo dato solo un esempio più costruttivo da questo punto di vista, su una sinergia non esasperata, ma vera. Credo anche, sia apprezzabile la nostra scelta di togliersi dalle scatole il più possibile dall’ambito strettamente torinese per lasciar spazio ad altre energie fresche che hanno numeri e che scalpitano.

Qual è stato il momento più bello nella realizzazione di Amantide Atlantide? Ti andrebbe di condividerlo con noi?

Sai che non so cosa risponderti? E’ stata talmente una lotta, col tempo, con la mancanza di soldi, il tutto in uno degli anni più difficili della mia vita, che il dato saliente in realtà credo sia il fatto di aver portato questo disco a compimento. Ci si è messo di mezzo anche il furto a Roma del mio Mac con l’ editing di quattro pezzi e un quinto registrato con Bianco. Ritornando alla tua domanda, il momento bello, a ben vedere, è per me sempre quello della scrittura dei brani, del mosaico da completare. Lì sta il mio giardino segreto, agli altri spetta il quadro, l’ immagine photoshoppata. E’ una rappresentazione che costa fatica e spero posso essere amata comunque.

Grazie per averci raccontato qualcosa di te e del tuo nuovo lavoro. Abbiamo detto che tra poco esce l’album, immagino partirà anche un tour?Hai qualche anticipazione per noi?

Sì, inizieremo a Febbraio tra date promo negli stores e in radio, date con il set elettrico vero e proprio, e qualche apertura a Umberto Maria Giardini.

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Aeguana Way

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Per i lettori di Rockambula l’Alternative-Rock band lucana, Aeguana Way, che oltre a vantare collaborazioni con Marta Sui Tubi, Management Del Dolore Post-Operatorio e altri artisti di rilievo italiani, è inoltre salita su palchi prestigiosi come quello del Concertone del Primo maggio a Roma. Elogi a parte, li abbiamo voluti nelle nostre pagine web per farci raccontare qualcosa sulla loro terza fatica discografica Cattivi Maestri, titolo anche del loro primo singolo estratto di cui sta girando il video su You Tube da qualche giorno.

Ciao ragazzi, benvenuti su Rockambula. Iniziamo a parlare di questo vostro ultimo lavoro, Cattivi Maestri, perchè i nostri lettori (e non solo!) dovrebbero acquistarlo?
Ciao a voi. Ovviamente quasi nessuno compra a scatola chiusa ed è per questo motivo che abbiamo deciso di caricare tutto l’album su YouTube. Una volta ascoltati i brani in rete magari deciderete di acquistare l’album ad un costo ridottissimo sui principali digital stores. A quel punto, oltre ad aver comprato un prodotto “WOW!”, starete contribuendo al progetto in maniera concreta… non è fantastico

Cosa è che vi ha reso così turbolenti verso questo mondo e la società in genere, quanto è stato incisivo questo stato d’animo in fase di scrittura del disco?
Durante il processo creativo ci ha accompagnati un forte senso di inquietudine misto a tanta voglia di capirne le cause per poi, in seguito, reagire. La maggior parte del disagio scaturiva proprio da quello che leggevamo quotidianamente sui social network generando curiosità e insofferenza al contempo. Questa turbolenza è stata determinante in fase di scrittura, in realtà succede sempre così, ogni volta che inizio a scrivere questo fattore risulta fondamentale.

Visto che il vostro Cattivi Maestri parla di consigli e per passare ad argomenti più frivoli, consigliate ai nostri lettori un pezzo da proporre alla propria metà e uno per far baldoria con gli amici?
Ok, direi per la propria metà “Call Me A Dog” dei The Temple Of The Dog mentre per fare un pò di baldoria “Easy Money” di Johnny Marr.

E’ appena uscito il vostro videoclip della title track “Cattivi Maestri”, raccontate un aneddoto particolare avvenuto durante le riprese?
Il video è stato girato in piano-sequenza, ossia senza tagli per il montaggio, quindi il tutto doveva essere fluido e perfetto dall’inizio alla fine del brano. La cosa divertente era che, ogni volta che si rifaceva una take completa, la band era costretta a correre per ritrovarsi nel posto giusto tra una scena e l’altra totalizzando chilometri lungo i corridoi del grande palazzo. Alla fine eravamo tutti sfiniti, ma ne è valsa davvero la pena.

In Italia la musica mainstream è dettata sempre più da artisti confezionati dai reality show che monopolizzano radio, tv e media in generale. Mentre chi si discosta dal solito sound trova difficoltà anche solo nel portare un po’ di pubblico ai propri concerti. Il problema secondo voi dove sta?
Il problema risiede nella mentalità di pubblico e addetti ai lavori di tutto lo stivale. E’ il solito cane che si morde la coda. La massa, compresi i grandi media, segue e “spinge” i fenomeni da reality; i gestori o i promoter dei locali e dei festival, che quelli dei reality non possono nemmeno sognare di averli a prendere un drink al proprio evento, pretendono dagli emergenti sold out e numeri da rockstar però con cachet da operaio cinese part-time in nero; gli emergenti, a loro volta, si lamentano di questa situazione e se qualche collega ce la fa diventano pure invidiosi e “distruttivisti”.

A proposito di live, vista la vostra esperienza con band importanti e su palchi importanti. Quale concerto ricordate con più piacere e perché?
In assoluto il concerto del Primo Maggio ’13 a Roma, il perchè è abbastanza scontato, quel palco è davvero magico, l’adrenalina di quel giorno non la dimenticheremo mai.

Grazie mille, lasciamo a voi le ultime righe per concludere quest’intervista.
Grazie a voi! Speriamo di vedervi presto ai prossimi concerti…
Intanto vi invitiamo ad ascoltare il nuovo album (sui principali digital stores )
guardare il nuovo video e venirci a trovare sulla nostra pagina FB: www.facebook.com/aeguanaway

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Dead Bouquet

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Far si che la tua fonte d’ispirazione non solo ammiri il tuo lavoro ma addirittura lo produca, significa che qualcosa di speciale è stata creata. Sarà con il romanticismo, seppur “tragico”, insito nel loro nome, che i Dead Bouquet con il loro album di debutto As Far As I Know sono riusciti a conquistare le orecchie di chi li ascolta. Ma lasciamo a loro la parola per raccontarci come è andata…

Ciao ragazzi, benvenuti su Rockambula. Un disco d’esordio As Far As I Know dove a metterci mano sono state persone non proprio comuni per tutti gli artisti. Svelate voi ai nostri lettori di chi stiamo parlando e quali sono state le vostre sensazioni per questa collaborazione?
Stiamo parlando di Paul Kimble e di Joe Gastwirt; il primo bassista e produttore dei Grant Lee Buffalo, grande rock band degli anni ’90, noto anche per aver lavorato con Michael Stipe, Radiohead e Andy Mackay nella colonna sonora del film Velvet Goldmine. Joe invece, rinomato mastering engineer, ha contribuito a centinaia di dischi d’oro e platino per artisti del calibro di Bob Dylan, Neil Young, Pearl Jam, Jerry Garcia e Paul McCartney. Due grandi professionisti ma soprattutto due favolosi esseri umani che hanno contribuito senza riserva al nostro album offrendo la loro sensibilità musicale.

Parlateci di come sono nati i Dead Bouquet e la scelta di questo nome.
Il nome Dead Bouquet l’abbiamo preso dal testo di Fuzzy, una canzone dei Grant Lee Buffalo ci piaceva la visione ottocentesca di un bouquet di fiori appassito. Suoniamo insieme dal 2012 e dopo i primi live e la sintonia che subito si è creata, abbiamo deciso di registrare chiamando Paul… lui ha accettato ed eccoci qua!

Quello che proponete è Rock, è psichedelia, è Folk, quali sono gli artisti da cui vi fate ispirare maggiormente, per esempio: durante la scrittura di questo album stavate ascoltando qualcosa in particolare?
I Grant Lee Buffalo sono un ascolto primario per forza di cose, altri artisti di riferimento sono Neil Young, David Bowie, The Waterboys, Thin White Rope e Gordon Lightfoot. La sera, dopo le registrazioni, capitava di trovarci al nostro pub di fiducia ad ascoltare con Paul dischi di Scott Walker, Gordon Lightfoot, The Blasters…

Avete mai pensato di aggiungere componenti al vostro trio?
Il nostro sound è già molto pieno così, ma in futuro chissà, non poniamo un limite a questo… magari un polistrumentista…

Siamo in procinto del nuovo anno, quali sono i buoni propositi e gli obiettivi per questo 2015?
Stiamo organizzando un piccolo tour europeo che toccherà Svizzera e Francia… sarebbe bello girare tutta l’Europa… nel frattempo stiamo lavorando ai nuovi brani, abbiamo molto materiale!

Vi ringrazio per la chiacchierata, lascio a voi i saluti e le ultime news da lasciare ai nostri lettori.
Potete seguirci su Facebook alla pagina www.facebook/deadbouquet.net dove vi terremo aggiornati sulle nostre news. Il 14 gennaio torneremo sul palco del Contestaccio di Roma, dopodiché saremo a Milano il 6 febbraio. Vi aspettiamo! Un saluto a Rockambula dai Dead Bouquet

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Thomas

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In occasione del loro secondo full lenght dal titolo Fin dal sound funk e groove abbiamo scambiato qualche riga con i Thomas. Band piemontese la cui caratteristica è proprio quella di uscire dalle tipiche catalogazioni musicali.

Ciao ragazzi benvenuti su Rockambula. Partiamo subito col parlare dell’ultimo lavoro uscito, Fin, come potete descriverlo a chi ancora non ha avuto modo di ascoltarlo?
Fin è un disco che da tanto, ma che richiede anche un po’ all’ascoltatore. Per viverlo appieno bisogna ascoltarlo almeno una volta sul serio, per intero, e vi assicuro che ne uscirete appagati proprio come succedeva con un bell’ LP una volta.

Rispetto all’esordio Mr Thomas’s Travelogue Fantastic come si è evoluta la band musicalmente?
Sotto diversi aspetti, in realtà. Abbiamo lievemente cambiato la line-up, curato con maggior dovizia di particolari gli arrangiamenti e siamo ancora più consapevoli di prima delle nostre potenzialità come formazione.

All’interno di questo full lenght sono presenti strumenti inusuali come quelli a fiato e il violino. Quando e perchè avete sentito l’esigenza d’inserirli per completare l’opera?
In realtà se avessimo il budget e la possibilità tutti i nostri brani sarebbero infarciti di strumenti di ogni tipo. Ampliare la tavolozza sonora a disposizione non può che essere un bene sia per chi crea che per chi fruisce, anzi sarebbe stupendo potersi permettere una sezione fiati stabile, nei Thomas!

Parliamo invece di “April Fool”, il singolo di presentazione del vostro album. A cosa è dovuta questa scelta?
E’ una canzone calda per un periodo freddo. Se tocca le stesse corde agli ascoltatori che tocca a noi, allora il periodo di Natale è perfetto per “April Fool”.

La critica ha risposto abbastanza bene al vostro lavoro; voi come band siete riusciti a raggiungere gli obiettivi prefissati?
Noi non facciamo sogni ad occhi aperti e abbiamo i piedi per terra, ma dentro sogniamo palchi e audience ben più grandi di quelli che abbiamo a disposizione ora.

Quali saranno le prossime tappe per far conoscere questo album, avete un nuovo singolo o video da lanciare?
Sicuramente ci sarà un singolo con relativo video per l’estate, ma ci occuperemo di quello e del tour dopo le feste. Programmiamo di girare in lungo e in largo, se possibile!

Passiamo ad un argomento cruciale per una band, il rapporto con il pubblico, i concerti. Nella vostra biografia si può leggere che quello a cui avete sempre puntato prima di far uscire il disco d’esordio è stata la dimensione live, live più che altro dettati dall’improvvisazione. Adesso invece che avete due album alle spalle come si preparano i Thomas per i loro concerti?
La differenza sta nell’avere uno spettacolo coerente, con un crescendo, una scaletta curata, e il solito amore per il suonare dal vivo. Non è cambiato il nostro rapporto con il pubblico, ma quello con la nostra musica, che finalmente prendiamo un po’ più sul serio.

Abbiamo concluso, lasciamo le ultime righe a voi per dire qualcosa ai nostri lettori…
Prendetevi il tempo per ascoltare il nostro nuovo disco, magari proprio nell’ordine corretto e senza pause, e se vi piace e ci trovate nella vostra zona, venite ad ascoltarci dal vivo! Un abbraccio dai Thomas!

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Hell In The Club

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Sano Rock’n’Roll con gli Hell In The Club. Con immenso piacere sulle pagine di Rockambula ospitiamo Andy, il bassista del gruppo. Tra una curiosità e l’altra saltano fuori interessanti informazioni sulla band e sul loro nuovo disco intitolato Devil On My Shoulder. Godetevi l’ intervista e fate occhio allerivelazioni.

Ciao Andy, direi di cominciare l’intervista parlandoci un po’ delle fasi di registrazioni di missaggio di Devil On My Sholuder. Dove, come e a chi vi siete affidati per questi processi?
Ciao Vincenzo! Come per il disco precedente, abbiamo eseguito le registrazioni agli Authoma Studios di Alessandria con il nostro batterista Federico Pennazzato. Invece del mix e del master se n’è occupato Simone Mularoni nei suoi Domination Studio di San Marino.

Pare che gli Hell In The Club siano diventati una vera e propria realtà nostrana. Come vi state dividendo con gli altri gruppi (Elvenking, Secret Sphere ecc…)? Riuscite a far combaciare i tempi?
In effetti a volte gli impegni sono molti e rischiano di accavallarsi ma con un po’ di organizzazione si riesce a fare tutto . Non accadrà mai che un disco degli HELL IN THE CLUB esca parallelamente ai dischi Elvenking o Secret Sphere . In questo modo riusciamo a concentrarci su un disco alla volta e possiamo lavorare al 100% su ogni progetto.

A cosa ti sei ispirato per la composizione dei testi di Devil On My Shoulder? Quali sono gli argomenti a te cari?
A differenza del primo disco ci sono due canzoni (Bare Hands e Snowman Six) ispirate a dei romanzi mentre tutti gli altri pezzi parlano di esperienze , sensazioni ,pensieri, emozioni personali come su “Let The Games Begin”. Parlando di ciò che ci accade o ci circonda spesso succede che l’ascoltare ci si ritrovi nelle nostre parole e senta la canzone un po’ anche sua . Come accade anche a noi quando ascoltiamo altri artisti.

Facciamo un passo indietro. Come mai decideste di metter su una nuova band, in questo caso gli Hell In The Club? C’è qualche motivazione in particolare tenendo conto che comunque le band di cui già fate parte sia tu che gli altri membri sono di un certo rilievo?
Il desiderio nasce dall’amore che abbiamo per il Rock n Roll. Erano già anni che cercavo di mettere in piedi una band del genere ma non trovavo le persone adatte. Con Dave Picco e Fede invece si è creato il giusto feeling e finalmente si è nato ciò che avevo in testa e ciò che volevo . Io come altri membri del gruppo ci siamo avvicinati alla musica con questo genere e anche se ascoltiamo di tutto questo e ‘ ciò che non ha mai smesso di emozionarci e divertirci.

Come vi trovate con la Scarlet Records? Che tipo di lavoro sta svolgendo l’ etichetta per la promozione del disco?
La Scarlet è fra le etichette discografiche migliori d’Italia e non solo. Abbiamo anche un bel rapporto al di là del lavoro . Io personalmente ci lavoravo già con Secret Sphere. Noi con loro e con l’agenzia Truck me Hard stiamo sviluppando un piano promozionale che possa far conoscere a più gente possibile il nome HELL IN THE CLUB e i nostri dischi. Sicuramente ci saranno molti live perché è quella la dimensione che più amiamo.

Ci sono determinate fasi o magari un processo che seguite per comporre una canzone?
La fase compositiva è molto libera e naturale. Tutti noi proponiamo agli altri idee e materiale e da li iniziamo a lavorarci . Ci lasciamo inizialmente trasportare dall’istinto. Creiamo uno scheletro musicale che verrà poi arrangiato e su cui poi Dave lavorerà alle linee melodiche vocali.

C’è un teaser di un vostro nuovo video. Collaborerete ancora con le Leather Girls? Come è nata la collaborazione con le due ragazze?
Si, presto uscirà il primo video clip estratto da questo disco. Nel video sarà presente Nisha una delle due ragazze che hai citato. Con loro sono amico da anni quindi ci è venuta l’idea di collaborare così come per il primo disco collaborammo con Chiara e Lory . Sicuramente con tutte loro collaboreremo ancora.

Invece riguardo il tour cosa ci dici, quando partirà e dove suonerete?
Il tour inizierà il 29 novembre ad Alessandria al live23 con il release party in onore del nuovo disco. Con noi ci saranno le Cellulite Star e sarà una vera e propria festa con ballerine, dj-set di ALTERIA, live show e tante sorprese. Proseguirà poi in molte città italiane nei mesi successivi e andremo sicuramente anche all’estero.

Una piccola curiosità che ho sempre voluto chiederti. Che impressione avesti 2 anni fa allo show di Bacoli a Napoli? Insomma come commenti l’organizzazione, l’ affluenza e la location?
L’organizzazione è stata impeccabile e gentilissima nei nostri confronti e noi ci siano divertiti davvero tanto. Peccato per il super freddo ma basta qualche birretta e passa tutto.

Bene Andy l’ intervista si chiude qui. Concludi come meglio ti pare…
Grazie mille a te Vincenzo per l’intervista e grazie a tutti i lettori di Rockambula per l’attenzione. Se vi piace il Rock date una chance a Devil on myShoulder e non ve ne pentirete!! Grazie ancora!
CIAO!

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Hikobusha

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Quasi dieci anni di carriera e alle prese con il terzo disco, le cui tematiche s’inseriscono bene nel vissuto quotidiano di tutti noi. Infatti gli Hikobusha ci parlano del loro Disordini e tutto quello che ruota attorno alla loro musica e non solo.

Ciao e benvenuti su Rockambula. Disordini è il titolo del vostro nuovo album e sia titolo che artwork della copertina suscitano un certo impatto. E’ presente un messaggio particolare che volete mandare a chi vi ascolta?

Dato che siamo nella (in)civiltà dell’immagine, partiamo dalla copertina: l’autore è Gianfranco Enrietto, un carissimo amico e uno stimato illustratore, famoso per aver dato volto (ammesso che si possa definire tale…) ai Gormiti, creature molto amate dai bambini. Incredibile, vero? Beh, forse non è un caso che ci siamo rivolti a un esperto di giocattoli… Disordini è innanzitutto un gioco, un rompicapo, un’invenzione partorita dall’intento di sperimentare, di sporcarsi le mani e fare qualche scoperta. Stiamo attraversando un momento storico complesso, articolato, confuso. Questo pugno di canzonette vorrebbe essere una risposta al qualunquismo e alla tentazione di abbandonarsi allo sconforto, alla rassegnazione. Ci vuole un po’ di (in)sana (in)coscienza per vedere un futuro oltre questo orizzonte. Ci vuole forse anche un po’ di coraggio… per guardarsi dentro, per lasciarsi stupire dalle possibilità. In questo senso, Disordini può essere ascoltato come un’opera intima che guarda verso l’esterno, un insieme di filastrocche semiserie, un manifesto pseudo-dadaista.

Quali sono le vostre influenze musicali e da cosa vi siete fatti ispirare per la scrittura di questo lavoro?

E’ difficile citare tutti i riferimenti che, più o meno consciamente, mescoliamo quando componiamo in gruppo. Siamo tutti e quattro musicisti non proprio “di primo pelo”… Nel tempo abbiamo imparato ad apprezzare di più quello che ci differenzia, in termini di gusto, rispetto a quello che ci accomuna. Se proprio dovessimo cercare degli artisti che hanno ispirato i suoni di Disordini, forse diremmo Captain Beefhart, i Renegade Soundwave, gli Interpol, Edoardo Bennato, David Bowie, Stevie Wonder… senza ovviamente dimenticare il grande Principe De Curtis, a.k.a. Totò.

Undici tracce rigorosamente in lingua italiana meno che una, la cover di “Baby Play Dead” del combo australiano, i The Wreckery, con lo stesso Hugo Race alla chitarra. Come è nata questa collaborazione e cosa avete tratto da quest’esperienza?

Conosciamo Hugo da tempo… E’ un grandissimo musicista e una persona realmente unica, un vero sciamano del blues elettronico, uno stregone zen, un pastore nomade della musica. Averlo potuto ospitare in Disordini è una di quelle cose che ti ripagano di anni di semi-anonimato, rintanati a suonare nei club della nostra amata/odiata Provincia. Quando è venuto a registrare, abbiamo cercato di prepare ogni piccolo dettaglio… Strumentazione, amplificazione, suono: tutto doveva essere perfetto e degno del suo nome. Al termine della prima take di registrazione, ci ha detto con il suo inconfondibile accento anglofono: “Mi sembra buona, anche se non sentivo bene il mio ritorno”. Abbiamo quindi scoperto di avergli fornito una cuffia malfunzionante! Inutile dire che era “buonissima la prima”… I grandi artisti si riconoscono per quello che riescono a tirare fuori dalle limitazioni e non certo dall’abbondanza di mezzi… L’ennesima grande lezione zen. Grazie infinite, Hugo. Ti siamo debitori come sempre, per questo e per tanto altro… lui lo sa bene. E non la fa tanto lunga per questo. Ecco un’altra perla di zen che tanti cosiddetti artisti nostrani dovrebbero mandare a memoria…

Qual’è il pezzo di Disordini che rispecchia quello che sono gli Hikobusha?

E’ difficile privilegiare un solo brano… Nel pezzo che chiude l’album, prima della bonus track, si sentono le nostre voci, tagliate e rimontate, che si accapigliano sulle scelte di copertina e di atrwork del libretto a corredo del disco. Noi siamo così: tensioni, litigi, fragili alleanze, grandi entusiasmi, spazi vuoti, pagine da riempire, sudore e saturazione. Stare in un gruppo è come una seconda famiglia… altrettanto disfunzionale e misteriosamente amorosa e protettiva. Hikobusha è proprio questo. E tanto altro.

Tre album e quasi 10 anni di attività. Come si trovano gli Hikobusha dal passare dai tempi degli esordi dove la tecnologia e internet non era così fondamentale ad adesso, dove tutto ruota attorno al digitale. Come è cambiato il vostro approccio alla musica e al pubblico?

Quando abbiamo iniziato questo progetto, nell’ormai lontano 2005, le potenzialità della Rete e della produizione digitale in Italia lasciavano intravedere orizzonti allettanti ma piuttosto fumosi, poco definiti. Oggi le cose non sono poi così diverse: il cosiddetto “panorama alternativo musicale” sembra essersi polverizzato in una miriade di micro-scene, rischiosamente autoreferenziali e inesorabilmente estranee agli ascolti di massa. Centinaia di “mi piace” su un profilo e pochi, sinceri amici nella vita reale. E va bene che sia così, in fondo. Sin dagli esordi abbiamo provato a raccogliere la sfida di proporre un suono articolato e sperimentale accanto a testi e a forme-canzoni tradizionali, rinunciando alla musica d’intrattenimento per inscenare la nostra personale visione di arte “invasiva”, che si fa spazio dal basso e prova a stimolare domande, critiche, sorprese, incontri. Come tutti, ci siamo progressivamente dedicati alla promozione multi-piattaforma: youtube, suoudcloud, twitter e altro. Ma niente di tutto questo eguaglia l’emozione di comporre insieme trovandoci nella stessa stanza, pensando a come questo sforzo, a tempo debito, incontrerà coloro che verranno al concerto, durante quell’ora e mezza che vale mesi di preparazione, attesa e incertezza. Quindi, le cose per noi non sono tante cambiate: si aggiornano le schede audio e si fa il backup delle registrazioni… poi però si sale sul furgone e lì inizia il divertimento.

A proposito dei 10 anni di attività, è un bel traguardo. State preparando qualcosa di speciale per i vostri supporter?

Stiamo raccogliendo materiale dei concerti dal vivo, sarebbe bello poter proporre un piccolo “bootleg” per i nostri fan e gli affezionati dell’ultima ora, in modo da offrire una specie di “istantanea” più istintiva e viscerale dei brani su disco, sia di quelli recenti che degli altri. In primavera realizzeremo poi un secondo video associato a Disordini; stiamo vagliando diverse ipotesi e collaborazioni. Infine, ci piacerebbe arrivare a suonare su nuovi palchi, girando il più possibile per i club dello Stivale e inserendoci nei Festival estivi.

Grazie per la chiacchierata ragazzi, lascio a voi le ultime righe.

E’ stato un piacere. Vi salutiamo ponendovi un quesito. D’altronde, la bellezza di una domanda spesso non risiede nella risposta ma piuttosto nel fatto di raccogliere una sfida, una provocazione. Come nelle interviste. Come in questa intervista. Ecco: vedere l’assurdo non è meglio che non vedere niente?

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Rumor

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Giovani e carichi, I Rumor sono un power trio del novarese, che con il loro Indie Rock energico e fresco ha sbaragliato la concorrenza al Pending Lips Festival 2014, tenutosi a Sesto San Giovanni, aggiudicandosi il titolo di vincitori. Scopriamo qualcosa in più su di loro e sula loro esperienza di giovani esordienti.

Ciao ragazzi grazie per essere qui con noi su Rockambula. Voi siete Giovanissimi, di talento e appassionati. Cos’altro dobbiamo sapere sui Rumor, volete raccontarci qualcosa su di voi e la vostra musica?
Le generalità sono più o meno queste. I Rumor sono tre e arrivano dal lato piemontese del lago Maggiore. Io (Marco) ed Elia abbiamo iniziato a suonare assieme come Rumor nel 2007, senza barba e senza patente. Anche se Elia di barba ne ha poca ancora adesso. Evita è arrivata nel 2013 a suonare la batteria, prima c’era un altro ragazzo, Andrea. Abbiamo pubblicato nel 2014 il nostro primo ep Pois, prodotto da Sergio Quagliarella che ci segue da qualche anno come produttore artistico e co-prodotto da Diego Cattaneo, che è un bravissimo ingegnere del suono della nostra zona. Pois lo si può trovare un po’ ovunque sulla rete.

A maggio avete vinto l’edizione 2014 del Pending Lips festival. Ci raccontate la vostra esperienza da partecipanti, come ci si sente a suonare davanti ad una giuria, e il rapporto con gli altri gruppi? Sono più le gioie o più i dolori?
Al Pending Lips ci siamo trovati benissimo, per davvero. Lo schieramento di giurati tutti in fila su un grosso tavolone effettivamente è stato un poco straniante all’inizio, ma alla fine siamo riusciti a non badarci troppo. Anzi, avendo i giudici davanti cercavamo di guardare le loro facce per vedere se erano presi o meno dal live. In generale per noi direi che sono state quasi tutte gioie, momenti belli, belle serate. Per quanto riguarda gli altri gruppi è stato sicuramente interessante poter conoscere ed ascoltare un sacco di band che non conoscevamo. Con qualche gruppo abbiamo anche legato, ci sentiamo ancora e si cerca di darsi una mano a vicenda.

La partecipazione al festival vi ha aiutati ad avere maggiore visibilità e nuove opportunità musicali? Consigliereste ad altre band un’esperienza di questo tipo?
Decisamente. Solo partecipando al Pending abbiamo avuto modo di suonare davanti a un sacco di persone che non ci conoscevano, e qualcuna da lì ha iniziato a seguirci. Vincendo abbiamo suonato poi al Carroponte, uno dei palchi più importanti d’Italia praticamente. Adesso inizieremo a lavorare con Costello, ed è un’altra bella e grande possibilità per noi. Insomma, è chiaro che dopo tutte questo non potremmo che consigliare a chiunque di provarci.

Voi siete sicuramente giovani e talentuosi, ma com’è secondo voi in generale la situazione musicale in Italia? C’è spazio e possibilità per i giovani indipendenti? Cosa si potrebbe/dovrebbe migliorare?
Probabilmente la cosa che più manca oggi, ma a cui siamo ormai (purtroppo) abituati, è la mancanza di curiosità della gente rispetto alle piccole band. Le situazioni live che funzionano sono quelle che prendono in considerazione band con già una certa notorietà . I locali che propongono band sconosciute o semi-sconosciute continuano a chiudere, e quei pochi che rimangono hanno serie difficoltà ad andare avanti. Trovare possibili soluzioni, capire cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione generale è complicatissimo. Quello che facciamo noi è continuare a crederci fortissimo e a lavorare sodo, giorno per giorno, cercando di raggiungere gli obiettivi che man mano ci poniamo.


Passiamo al lato divertente, raccontateci qualche aneddoto sul miglior e sul peggior live del 2014? Cosa non può assolutamente mancare ad un vostro live?

Metto assieme tutto e vi racconto di un concerto solo. Un concerto strano davvero, bello e brutto allo stesso tempo. Eravamo in Irlanda, a Dublino, e suonavamo in questo posto che si chiama Bruxelles. Famosissimo in città perché ogni mercoledì sera organizza questi concerti dove si susseguono sul palco un sacco di artisti. La parte brutta del concerto sta nella questione tecnica . Abbiamo suonato con gli ampli peggiori di sempre, la batteria era mezza nascosta dal bancone ed io ho cantato per tutto il concerto, e dico tutto il concerto, prendendo la scossa elettrica ogni volta che toccava con le labbra il microfono. Una roba bruttissima. Ce l’abbiamo messa comunque tutta per portare a casa il concerto. La gente era attenta, si vedeva che era lì per ascoltare, abbiamo lasciato perdere i problemi e ci siamo lasciti andare, cercando di dare tutto il possibile. Noi cantiamo in italiano, e il pubblico era esclusivamente irlandese, nessuno capiva una parola di quello che dicevamo. Malgrado questo durante Neve, uno dei nostri pezzi più intimi, vediamo una ragazza che si mette piangere. Forse l’aveva appena lasciata il ragazzo, questo non lo possiamo sapere, ma a noi piace pensare che si fosse emozionata per quello che stavamo suonando. È stata un gioia davvero grande. Lei non capiva niente di quello che dicevamo, ma eravamo comunque riusciti a toccarla, a farle capire lo stesso quello che volevamo dirle. È stato fantastico.

Vi ringrazio per il vostro tempo e vi lascio con la domandona finale. State lavorando a nuovi progetti? Dove vi possiamo ascoltare in questo periodo?
Grazie mille a voi! Al momento stiamo facendo un bel po’ di cose. Stiamo scrivendo molto, in vista del nuovo disco che speriamo possa esistere il prima possibile. Ma stiamo anche lavorando ad un’uscita di cui non diciamo niente ma che dovrebbe vedere la luce abbastanza a breve. Intanto non ci fermiamo per i concerti, e con l’anno nuovo riusciremo a raggiungere città in cui non abbiamo mai suonato. Per chi volesse vederci live in questo periodo chiudiamo l’anno con qualche data. A dicembre saremo il 6 a Verbania, il 7 a Verona, il 12 a Milano e il 27 a Vigevano. Sul nostro facebook (www.facebook.com/rumormusic) si possono trovare sempre tutte le nostre date aggiornate, vi aspettiamo a braccia apertissime!

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Mizarts

Written by Interviste

Nasce Mizarts, cinque domande per capire di cosa si tratta…

Nasce Mizarts, uno studio artistico polifunzionale, ci spiegate meglio cosa significa?
Mizarts è nato dal bisogno di collaborazione che nel 2012, anno in cui decidemmo di iniziare a lavorare insieme, ci sembrava il modo migliore di inserirci sulla scena del territorio abruzzese e non. Inizialmente il bisogno era quello di creare uno studio fisico che ci permettesse di arrivare in maniera più diretta ed efficace a chi non ci conosceva, ma anche quello di essere uno spazio dedicato a tutti quelli che hanno voglia di esprimersi. Noi lo definiamo appunto un laboratorio creativo, senza la pretesa di sentirsi artisti ma con la consapevolezza di essere, ognuno a modo suo, creativi. Proprio per questo la parte di “shop” nella quale abbiamo inserito i brand che, oltre ad essere vicini alla nostra professione, fossero caratterizzati dalla “creatività”; di recente abbiamo ospitato Alessandro Chiarappa, giovanissimo pittore di Torre de’ Passeri, che ha dipinto live per un pomeriggio intero.

Chi e come può usufruire dei vostri servizi?
Principalmente ci rivolgiamo a chiunque abbia un progetto che necessiti di grafica e fotografia, come aziende, privati, gruppi musicali, associazioni ecc.. Più nello specifico ci occupiamo di brand identity, progettazione del logo, siti web / blog , materiale pubblicitario, fotografia still life, fashion, eventi, collaboriamo con magazine e associazioni. Per contattarci si può scrivere alla nostra mail info@mizarts.it , visitare il nostro sito www.mizarts.it, o passare direttamente a trovarci a Pescara in via Firenze 56.

Pensate di essere una proposta interessante? Perché?
Non siamo tanto noi la proposta interessante, quanto lo è il creare uno spazio. Pescara è spesso considerata come una terra di mezzo tra casa dei genitori e università, vorremmo che invece se ne scoprissero le infinite sfaccettature, le personalità interessanti e le passioni.

L’arte in generale in Italia vive momenti felici oppure bisognerebbe cambiare qualcosa? Cosa fareste voi se possessori di bacchetta magica?
Parlare di arte in generale è come parlare del meteo sull’Italia alla risposta “che tempo fa fuori?”. Non c’è una risposta, c’è chi resiste, c’è chi si mobilita, ci sono infinite realtà. Sicuramente se avessimo la bacchetta magica porteremmo spazi creativi e artistici, autogestiti o non, anche nelle città più piccole da dove spesso gli artisti fuggono per mancanza di spazi, di promozione, di contesto.

In questo spazio potete promuovere, dire o fare tutto quello che vi passa per la testa…
Invitiamo chiunque abbia un progetto, voglia di parlare, creare e mettersi in moto a passarci a trovare! Il nostro obiettivo è creare una rete che sostituisca i “cugini smanettoni” quando bisogna fare una grafica o le “amiche con la reflex” quando si parla di fotografia, insomma rimettere al proprio posto le professioni capendo che non tutti sappiamo fare tutto e per ogni competenza c’è un professionista!

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Invers

Written by Interviste

In occasione dell’uscita del loro nuovo singolo Montagne, abbiamo scambiato qualche parola con gli Invers, band proveniente da Biella e attiva dal 2008. Il gruppo dono 60 concerti in giro per l’Italia è pronta a ritornare sulle scene con un nuovo album in uscita all’inizio del 2015. Scopriamo qualcosa di più sul loro nuovo progetto.

Ciao ragazzi e benvenuti su Rockambula. Cominciamo parlando del nuovo singolo “Montagne”, è un pezzo d’impatto, dal ritmo serrato quasi ossessivo, descritto da voi stessi come un brano che parla di senso di inadeguatezza e non appartenenza. Com’è nato il pezzo e cosa vi ha ispirato nella sua realizzazione?
I concetti di inadeguatezza e non appartenenza descritti dalle parole di “Montagne” sono stati il vero punto di partenza e spunto per la stesura del brano e della sua parte musicale. Abbiamo cercato di sostenere ed enfatizzare al meglio ciò che le parole descrivono, creando un ambiente sonoro teso, ipnotico e a tratti quasi claustrofobico, che solo in pochissimi e brevi momenti sembra rilassarsi, per poi tornare a contorcersi, proprio per evidenziare il senso di pressione, soprattutto psicologica, che prova chi si sente costretto a confrontarsi ogni giorno con una realtà che da tempo ormai non sente più sua, e che non lascia spazi per trovare uno spiraglio necessario a cambiare la propria condizione.

Sempre parlando di “Montagne” il video, uscito l’11 novembre, è stato girato da regista Stefano Poletti, vincitore come miglior videomaker al Mei del 2010 e autore di video di artisti come Tarm, Zen Circus e Baustelle. Com’è nata la collaborazione tra di voi, cosa vi portate a casa da questa esperienza?
Abbiamo cercato noi Stefano, l’abbiamo contattato e gli abbiamo passato il brano, chiedendogli di realizzarne il videoclip. Fin da subito si è mostrato entusiasta all’idea di lavorare su “Montagne”, e in breve tempo ci ha proposto diversi soggetti sui quali si sarebbe potuto lavorare. Dopo qualche confronto, giusto per capirsi meglio sulla direzione da seguire, abbiamo scelto di girare un videoclip semplice e diretto, volto ad esaltare il più possibile l’impatto sonoro di “Montagne”, attraverso quella che è l’unica componente fondamentale per una band, ovvero l’esecuzione live, e nel nostro caso specifico, così come la viviamo noi ogni volta che saliamo sul palco. Il risultato per noi è più che soddisfacente, Stefano ha compreso senza difficoltà quella che è la nostra natura, ed è riuscito egregiamente a trasmettere l’energia e la potenza non solo di “Montagne”, ma di tutti i brani che ci saranno in Dell’Amore, Della Morte, Della Vita.

Abbiamo detto che Il 2015 vedrà l’uscita del vostro nuovo album Dell’amore, Della Morte, Della Vita. A primo acchito sembrerebbe un titolo da film horror, ma invece cosa dobbiamo aspettarci rispetto al precedente Dal Peggiore dei Tuoi Figli? Volete darci qualche piccola anticipazione e curiosità sul vostro nuovo lavoro in studio?
Credo tu ti riferisca al film Dellamorte Dellamore, ma devo fermarti, e colgo l’occasione per dire che il titolo del nostro disco non ha niente a che vedere con nessuna opera precedentemente pubblicata, il cui titolo possa, per omonimia o similitudini lessicali, ricondurre al titolo che abbiamo scelto per il nostro nuovo lavoro. Dell’Amore, Della Morte, Della Vita semplicemente perché è di questo che parla il disco, ognuno di questi tre concetti è fortemente espresso in ogni brano, nei testi e nella musica; qualsiasi altro titolo non avrebbe mai potuto avere la stessa efficacia nel presentare e descrivere i contenuti di questo disco.

Siete una band che vive di live a attualmente siete in giro con una formula abbastanza inedita del live- anteprima. Com’è nata l’idea di queste anteprime musicali, c’è una particolare strategia dietro o è un modo per rodare voi e il nuovo disco con un pubblico di “fedeli”?
E’ essenzialmente una scelta legata all’esigenza di suonare dal vivo; per nostro conto, una band che non suona dal vivo, non è una band al cento per cento, e senza concerti, il lavoro che fa resta comunque fortemente incompleto e penalizzato. Senza mezzi termini, non ci andava di aspettare di avere il disco pronto e stampato per andare in giro a suonarlo. Non crediamo alla classica pausa pre-pubblicazione disco, perchè bisogna ammetterlo, serve solo a farti affossare; se ti fermi sei finito. Vero poi è che, in queste date-anteprima, abbiamo scoperto altri lati positivi, come ad esempio capire fin da subito che tipo di risposta si ha dalle persone che per la prima volta sentono i brani nuovi, quasi completamente diversi da quelli del disco precedente, senza ovviamente sottovalutare il fatto che si ha la possibilità di prendere veramente confidenza con i brani stessi, in tutte le loro parti, e con il live in sé, in ogni suo momento.

Arriva la parte divertente, vorreste condividere con noi qualche aneddoto particolare sulla lavorazione del nuovo album, come vi approcciate di solito nella composizione dei brani, siete un gruppo litigioso o trovate sempre la giusta armonia ?
Non ci sono stati colpi di scena o eventi particolari degni di nota durante la lavorazione di Dell’Amore, Della Morte, Della Vita; forse avremmo voluto metterci meno tempo, ma col senno di poi, ogni minuto che abbiamo dedicato alla lavorazione del disco è effettivamente servito a raggiungere il risultato che volevamo, e questo è ciò che conta. Non nascondiamo che ci siamo confrontati spesso, alle volte anche in modo abbastanza acceso, ma questo altro non è che la prova di quanto ognuno di noi abbia a cuore questo nuovo lavoro, e di quanto sentiamo sia importante poterlo offrire a più persone possibili.

Vi ringrazio per il vostro tempo e vi lascio con la domanda canonica. Ci sono altri progetti in cantiere oltre al nuovo album? Dove vi troviamo in questo periodo?
Abbiamo una lista di cose da fare prima ancora di pubblicare Dell’Amore, Della Morte, Della Vita: alcune più canoniche, altre un po’ meno. Stiamo pensando ad un eventuale secondo singolo con annesso videoclip, e ad altre iniziative secondarie, ma è ancora tutto in fase di pianificazione, non posso dire altro. Nel frattempo il giro di anteprime-live sta per finire, in programma abbiamo ancora una data il 13 dicembre al Magazzino sul Po, a Torino, e poi ancora il 20 dicembre all’Otto a Biella, vicino a casa. A seguire, dall’anno nuovo, nuove notizie e nuove date a supportare il nuovo disco.

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Don Boskov

Written by Interviste

Ci sono gruppi in Italia che si distinguono facilmente dalla massa per qualità e concetti; I Don Boskov sono sicuramente fra questi, portando avanti la loro musica e le loro idee con l’obiettivo raggiunto di ricamarsi una schiera di fedelissimi fans.

Come nacque il progetto Don Boskov?
La storia dei Don Boskov è molto banale: sei persone iniziano a suonare insieme senza sapere bene cosa fare e verso quali “generi” indirizzarsi. Probabilmente questa mancanza di idee chiare ci ha permesso di portare avanti un progetto musicale il più possibile privo da incasellamenti.

Da chi siete stati influenzati?
Nei nostri ascolti c’è una linea sottile che parte dalle atmosfere dilatate del Post-Rock e arriva al Postcore americano (quello di band come Norma Jean e The Chariot). Noi cerchiamo di colmare la distanza tra questi due “generi”.

Di cosa trattano i vostri testi?
Abbiamo quasi tutti 30 anni, abbiamo ormai perso la spensieratezza dei 20 e viviamo una fase piena di dubbi e instabilità come tutti i nostri coetanei. Osserviamo come le paranoie proprie della nostra generazione si esprimano in tanti modi e c’è un gran casino anche per quanto riguarda i rapporti, che sono il tema centrale dei nostri testi. In alcuni casi si tratta di storie autobiografiche, in altri il riferirsi ad una terza persona, spesso una “lei”, serve come pretesto per parlare dei dubbi e delle delusioni dei nostri tempi.

Come nasce in genere un vostro pezzo?
Cerchiamo di lavorare in maniera corale, partendo da un semplice spunto, di solito un giro di chitarra. Lavoriamo parecchio sulle parti di ciascun strumento, ci confrontiamo e ci incazziamo se serve, ma cerchiamo di produrre qualcosa che piaccia a tutti, mettendoci singolarmente sempre in discussione. Spendiamo un po’ di tempo in più in questo senso, ma scriviamo sempre pezzi di cui siamo parecchio soddisfatti. Grandi pacche sulle spalle a fine prove.

Possibile fare Emocore con il piano? (come vi è venuto in mente?)
Il realtà dagli At the Drive in ai Blood Brothers, diverse band Postcore e Screamo hanno usato occasionalmente sintetizzatori e piano. Noi ne facciamo semplicemente un uso più massiccio, con la convinzione che il piano fornisca una gamma amplissima di possibilità compositive e armoniche.

Esiste una scena italiana per questo genere secondo voi?
Ci sono moltissimi gruppi bravissimi che fanno Postcore in Italia. Per citarne alcuni: Fine Before You Came, Death of Anna Karina, Lantern, Ruggine e altri.

Avete mai l’impressione che nell’Hardcore sia già stato tutto detto?
E’ probabile, per quello noi pensiamo che può essere usato come uno degli elementi compositivi e non come genere inteso in senso classico. L’Hardcore non è il nostro genere, cerchiamo di non cadere nella trappola dell’incasellamento forzato che alla domanda: “che genere fate?” rispondi senza difficoltà: “Hardcore!”. Detto questo, pensiamo che l’Hardcore sia solo un mezzo per poter comunicare l’universo intero senza troppi fronzoli, in modo diretto e disperato. Quando abbiamo questa esigenza, nei pezzi, allora è lì che la vena “Hardcore” viene fuori.

Avete condiviso il palco con band quali Gazebo Penguins, OvO, Majakovich e Kill Your Boyfriend…Com’è stato aprire per loro?
Oltre che musicale, per noi è stata un’esperienza umana. Abbiamo avuto la possibilità di conoscere persone interessanti con il quale ci siamo confrontati. Un discorso a parte va fatto per i Majakovich, con i quali abbiamo suonato più di una volta e con i quali c’è stima ed amicizia, tale che hanno deciso di supportarci con la loro etichetta, la Metrodora Records.

Internet: rovina della musica oppure mezzo di comunicazione che vi può avvicinare a masse di fans?
La possibilità di poter ascoltare qualsiasi artista gratis, ha cambiato la musica in meglio. Sono tristi le persone che snobbano il presente e i gruppi giovani, convinti che il periodo d’oro della musica sia quello della loro infanzia. Non hanno la curiosità di sapere come si evolve nel tempo l’arte. In realtà ogni decennio ha portato con se i propri geni (se esiste un periodo d’oro del Rock comunque è quello che va dal 1965 al 1975, ma che ormai ha rotto veramente il cazzo). In questi ultimi 20 anni sicuramente sono nati una quantità enorme di artisti meravigliosi anche grazie a internet. Il mercato musicale invece si è indebolito, ma è inutile lamentarsene.

Siete orientati politicamente?
Proveniamo da una città storicamente comunista e in noi permane una coscienza di sinistra che, ci fa pensare, per esempio, che gli stranieri non siano un pericolo, e che il sistema economico in cui viviamo sia decisamente migliorabile. Ognuno di noi ha il proprio punto di vista nei confronti della società e ognuno di noi vive la cosa in maniera del tutto personale cercando di slegarsi il più possibile dalle ideologie e analizzando in maniera lucida il mondo in cui viviamo. Però non ce la sentiamo di essere portabandiera di chissà quale innovativa o scardinatrice propaganda politica e cerchiamo di fare ciò che ci viene meglio.

Progetti futuri?
Vogliamo suonare il più possibile dal vivo. Stiamo scrivendo pezzi nuovi perché vogliamo che l’Ep diventi un disco di almeno 8 – 10 tracce e intanto stiamo anche scrivendo le sceneggiature dei prossimi due video, uno dei quali accompagnerà un pezzo che è una chicca per gli amanti del pop anni 90. Un saluto per tutti i lettori di Rockambula.

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