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Pills Həftə yeddi (consigli per gli ascolti)

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L’unico rimedio contro il mal di testa, di denti, di stomaco, di fegato, contro l’impotenza, contro la paranoia, la depressione, l’ipertensione, l’influenza, la scabbia, lo scolo, le piattole, la cacarella e le emorroidi sono le nostre PILLS!!!

Silvio Don Pizzica
Radiohead – Radiohead: The Best Of   (Uk 2008)   Alt Rock   4/5
Una raccolta può essere un’occasione o semplicemente un insieme delle canzoni più amate di una band. Questa del 2008 rientra nel secondo caso.
AGF –Source Voice   (Ger 2013)   Experimental   2,5/5
Il nono disco di AGF non aggiunge nulla alla sua follia elettronica e sperimentale. Non è musica per gli amanti della melodia ma questo lavoro ha poco da dare anche ai più audaci.

Max Sannella
Cibo Matto – VIVA! L.A. Woman   (Usa 1995)   Acid Jazz   4/5
Il disco del duo giapponese che ha sconvolto la Big Apple invertendone i flussi sanguigni.
Clock  Dva – Thirst   (Uk 1981)   Industrial  5/5
Dalle ceneri combuste del punk,  dalla Sheffield operaia  un’esplosione di sana ossessione.
Elvis Costello – Live at El Mocambo   (Uk 1978)  Pop   5/5
Con il rock anni ’50 in cuore e il punk come massa di  neuroni testicolari, un disco ed un artista che è oro puro.

Lorenzo Cetrangolo
P.O.D. – Satellite   (USA 2001)  Crossover, Nu Metal   3,5/5
Reggae, rap, metal, il tutto condito da uno spiritualismo tra rastafarianesimo e cristianità. E poi, chi non si ricorda la batteria di Youth Of The Nation? Da provare.
Modena City Ramblers – Dopo il Lungo Inverno   (ITA 2006)   Patchanka, Combat Folk   2/5
Primo disco senza lo storico cantante Stefano “Cisco” Bellotti. Senza verve, spento, stantio. Se proprio volete rovinarvi il ricordo di una band un tempo eccezionale.
The Music – The Music   (UK 2002)   Alternative Rock   4/5
Sottovalutatissimi. Disco strambo, gonfio, energico. Da ascoltare nelle giuste occasioni, e voi sapete quali (ça va sans dire…).

Marco Lavagno
Biffy Clyro – Only Revolutions   (Sco 2009)   Rock   3,5/5
La nuova superband che mancava alla Gran Bretagna? Forse. Certo che ad un così patinato e potente non possiamo rimanere indifferenti. Aspettiamo conferme dal nuovo album in arrivo.
Backyard Babies – Stokholm Syndrome   (Svezia 2003)   Punk Rock   4.5/5
Oscurato forse da una sempliciotta ma intensa canzone sull’amicizia in cui sulla barca sale gente come Joey Ramone, Danko Jones e Nina Persson, questo album mantiene il suo sporco perché: veloce, festaiolo, facile e tanto punk-rock. Per scaldare a schiaffi il vento gelido di Stoccolma.

Marialuisa Ferraro
Elliott Smith – New Moon (USA 2007)  Rock   4/5
Acustico e meditativo. Occhio alle liriche profonde, impegnate e impegnative.
Red Stars Theory – Life in a Bubble Can Be Beautiful   (USA 1999)   Post Rock   5/5
Veramente una grande scoperta. Un rock alternativo quasi interamente strumentale che non si vezzeggia di ornamenti inutili e artifici, ma va dritto al sodo con grande delicatezza e cura degli arrangiamenti.

Ulderico Liberatore
Skiantos – Inascoltable EP   (Ita 1977)   Rock demenziale   1/5
Il trash che dilaga!!!

Riccardo Merolli
Punkreas – Paranoia e Potere   (Ita 1995)   Punk Rock   3/5
Un disco scemetto ma essenziale, un tempo ero giovane, un tempo credevo di essere punk.

Francesco Ficurilli
Motorpshyco – Trust Us   (Nor 1988)   Rock psichedelico, Alternative Rock    4/5
Coltello a doppia lama norvegese: con una ti taglia la faccia, con l’altra la ricuce. Doppio lp sconsigliato agli amanti delle stronzate.
Atari Teenage Riot – Delete yourself!   (Ger 1995)   Digital Hardcore    4,5/5
Direttamente da Berlino la cacofonia più bella dello scorso millennio. Da ascoltare con occhiali da sole alla Alec Empire.

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SIAE. Il fronte dei diritti d’autore. Chi ci guadagna?

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Era stato annunciato come lo statuto che rilanciasse la Società italiana autori ed editori, che regola i diritti d’autore nel nostro paese, approvato il 9 novembre 2012 con un commissario straordinario, promosso  dai vari Ministeri dei Beni Culturali e dell’Economia con l’incarico di dover risanare la società commissariata. Doveva essere il rilanciodel diritto d’autore e invece questo decreto finisce per spostare ancora di più l’ago della bilancia dalla parte dei “big della musica” a discapito di tutti gli autori associati. Insomma doveva essere la svolta e invece, come spesso accade in Italia, si è fatto un ulteriore passo nel nulla.
Il cuore dello statuto e nell‘Articolo 11, comma 2: «ogni associato ha diritto di esprimere nelle deliberazioni assembleari almeno un voto e poi un voto per ogni euro (eventualmente arrotondato per difetto) di diritti d’autore percepiti nella predetta qualità di Associato a seguito di erogazioni della società nel corso dell’esercizio precedente». Avete capito bene. Chi guadagna di più con i diritti ha più potere in assemblea. Ciò fa dell’arte una mera merce di scambio. Il più bravo è chi guadagna di più e decide per tutti gli altri. E gli altri associati sono demandati e obbligati per le leggi italiane a finanziare questa macchina.

La domanda sorge spontanea. Chi sono gli autori più ricchi? Quali gli editori che guadagnano di più?

Ci ha pensato il Corriere della Sera in un articolo di approfondimento. Leggendolo ne esce fuori che il più ricco di tutti è un certo Guardì, Michele Guardì. Chi?! Il regista di Uno mattina e Domenica In. Si, avete capito bene, il regista di Domenica In e qualche altro fortunato programma televisivo. Lui insieme ai più famosi Vasco e il Liga nazionale si spartiscono oltre che il potere di decidere sull’assemblea della società, ciliegina sulla torta, anche la maggior parte della ridistribuzione degli utili dell’ente (40 mln anno). Per intenderci il sig. Guardì percepisce, solo di utili, quasi 2 mln di euro, seguito dagli altri due con 1,6 mln. Attenzione, stiamo parlando solo di ridistribuzione degli utili a cui vanno aggiunti i proventi dei diritti che ovviamente, visti i nomi, saranno altissimi.Tutto ciò potevamo immaginarcelo e questa vuole essere una conferma. Conferma del fatto che degli oltre 83mila associati (di cui 80mila autori) solo una piccolissima parte vede, a fine anno, i soldi dei proventi. Tutto questo, ovviamente, va a discapito dei nostri giovani rockambuliani, determinati e indipendenti artisti che sono obbligati al bollo SIAE per stampare e vendere i propri dischi ad un pubblico più ampio della loro cerchia di amici. Si, siete obbligati. Non lo sapevate, leggete qua:
 “Ai sensi dell’art. 171 ter della legge 633/41 (ovvero la legge sul diritto d’autore), chiunque, a fini di lucro, detiene per la vendita o la distribuzione, pone in commercio, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo di radio o televisione con qualsiasi procedimento, supporti contenenti fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, per i quali è obbligatoria l’apposizione del contrassegno (comunemente detto “bollino”) da parte della SIAE e lo fa utilizzando supporti privi di tale contrassegno o dotati di contrassegno contraffatto o alterato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 2.582,00 a 15.493,00 Euro se il fatto è commesso per uso non personale.”
Visto quello che è venuto alla luce alcune associazioni come ARCI e AUDIOCOOP hanno tentato la strada del ricorso al Tar, raggruppando artisti e etichette indipendenti, ma ovviamente, notizia di qualche giorno fa, è stato respinto.Qui l’approfondimento. La sintesi è questa. Tu che hai una band da scantinato, tutti i giorni a lavoro per sopravvivere, che i tuoi soldi li investi in strumenti, il tuo tempo in musica e dopo tanti sforzi fai un EP e lo stampi, alla fine ci devi mettere il bollino SIAE su, i cui ricavi per la maggior parte vanno ai tizio di Domenica In che campa così dagli anni ’80 insieme ai grandi della musica leggera italiana.E si. Siamo in Italia, dove si guarda l’arte come ad una forma di merce da supermercato. Dove il merito passa per le tasse pagate. Dove contano le parentele e a chi sei affiliato. Dove se non sei nessuno sei costretto a pagare per finanziare altri come nel caso della SIAE.

Intanto a breve, il 1° marzo, ci saranno le elezioni del Consiglio di Sorveglianza. Come abbiamo visto sono i grandi della musica e dell’editoria Italiana a detenere un peso maggiore in sede di voto facendo strane alleanze per arrivare poi a spartirsi la fetta finale. Poi va aggiunto che i 80mila associati di basso profilo, che volendo potrebbero cercare di contrastare questo statuto criminale, non andranno a votare come ci fa notare il Fatto Quotidiano, perché chi è disposto a prendere un treno per Roma e andare a votare quando sa che a fine anno non gli andrà nulla in tasca, anzi dovrà pagare l’inscrizione,in più dovrà pagarsi il biglietto del treno?!?! Ecco, queste sono le ingiustizie, le disuguaglianze del nostro sistema di difesa del diritto d’autore. In cui quello che traspare è solo la difesa dei diritti di chi già ha una carriera affermata, in un tempo anche remoto, che continua a mangiare, anche non producendo nulla, nella stessa mangiatoia. La situazione è triste e deprimente ma per chi avesse voglia di provare strade alternative potrebbe intraprendere la strada delle Creative Commons che non sono la stessa cosa della SIAE (alcuni diritti riservati) ma permette di aggirare l’ostacolo SIAE ed essere tutelati ugualmente. Ovviamente questo tipo di licenze non sono utili per la distribuzione su supporti ottici (CD) ma offrono un alternativa per proteggere la propria musica propagata su internet che oggi è lo strumento più utilizzato per la diffusione dei brani/album musicali.

Alcuni link utili per l’utilizzo delle Creative Commons:

http://www.creativecommons.it/autori-musicisti

http://www.creativecommons.it/ccitfiles/Skillab_2011_06_30_CC_ShareYourKnowledge_Travostino.pdf

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“Diamanti Vintage” Alice Cooper – Hey Stoopid

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Non si sapeva quasi più che fine avesse fatto il suo circus en travesti e i suoi incubi in cellophane  eppure l’album Trash di appena due anni prima aveva riscosso un tremendo successo e lo aveva rimesso, ricollocato, sulle vette alte dell’Olimpo dei Grandguignol d’eccellenza, infatti, oramai a speranze zero, manco a dirlo Alice Cooper ricompare tronfio e con un bel disco, “Hey Stoopid” ennesimo capolavoro della sua arte “mostruosa” e trash che molto a dato nel rock d’ogni tempo.
Il suo è un mondo elettrico di paura, sangue, sesso e rock incandescente, hard-rock, metal e street-glam che si innestano e s’incrociano, chitarrismi impazziti e ballate da accendino acceso da sempre fanno parte della scena dell’artista di Detroit e che hanno scatenato nel tempo a venire la fantasia di tanti altri che ne hanno assimilato, se non copiato, mosse ed intenti (tra tutti Marylin Manson). Nel disco – molto più ammorbidito dei grandi successi passati – è un compendio di immediatezze, hook e giochi sonori, un venire incontro alle nuove esigenze che il pubblico rock vuole sentire, non più sussegui, stupri e violenze declamate, ma un Cooper più riflessivo, un artista che vive una seconda giovinezza e  che gode di una produzione altolocata. Con lui in questa avventura un parterre paradisiaco di chitarre, Slash, Stef  Burns, Vinnie Moore, Steve Vai, Joe Satriani e alle voci  Rob Halford, Dave Mustaine e Sebastian Bach, uno spettacolo nello spettacolo e che innalza il disco a livelli stratosferici se consideriamo che al basso troviamo anche un mitico Nikki Sixx dei Motley Crue.

Ballate, melodie amplificate, rock’n’roll schizzante e rinascita artistica per il mitico Vincent Damon Furnier, l’Alice Cooper mondiale, questo Hey Stoopid – che negli States è stato un flop clamoroso – nel resto del globo ha venduto milioni di copie, ma ogni profeta non è mai riconosciuto in terra propria cita un vecchio detto, e Cooper guarda dritto a trasmettere la sua goliardica energia, il suo show truculento e memorabile; tra i brani i più graffianti il fuoco incrociato di “Feed my Frankestein”, la dolce power ballad “Love’s  a loaded gun”, la tripletta scottante “Little by little”, “Snakebit” e “Dirty dream” e tutto un insieme di sensazioni notturne che se non ti fanno tremare, perlomeno ti fanno guardare costantemente alle spalle.
Spalancate i vostri orecchi a  questo album e a  questo “mostro”  leggenda vivente.

http://www.youtube.com/watch?v=6vBx-1r4xYY&feature=youtu.be

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Pills շաբաթ վեց (consigli per gli ascolti)

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Ecco le nostre pillole fatte di musica multicolore. ATTENZIONE! Gli effetti della musica contenuta nelle pastiglie cominciano a svilupparsi appieno dopo circa trenta minuti e possono perdurare fino a 6-10 ore (ma per qualcuno anche fino alla morte). Se la prima assunzione avviene prevalentemente per curiosità e psicologia di gruppo, il ripetersi dell’esperienza avviene con la scoperta di effetti soggettivi che vengono ricercati perché gratificanti e compensatori di disagi personali inconsci dovuti alla musica di merda che trasmettono in Tv o per radio. Le nostre Pills danno loquacità, euforia, apertura mentale, intimità con gli altri, senso di felicità, spensieratezza, calo delle inibizioni sessuali e potenziamento dell’autoanalisi.

Silvio Don Pizzica
Bathory – Blood Fire Death   (Sve 1988)   Black/Viking Metal   4,5/5
Probabilmente l’unico nella storia della musica ad ver inventato due generi musicali. Quest’album è esattamente al centro tra la nascita del Black Metal e quella del Viking
Iceage – You’re Nothing   (Dan 2013)   Post/Art Punk   3,5/5
Il disco della maturità per la band danese che urla schegge di Punk come dipingesse il firmamento in fiamme.
Jk Flesh/Prurient – Worship Is the Cleansing of the Imagination    (Uk/USA 2012)   Industrial Metal   3/5
Due tra i più visionari esponenti del genere fondono la loro arte per regalarci emozioni nere come la morte. Il risultato è un’altalena tra gli incubi del subconscio e la banale realtà.

Max Sannella
Area  –  Crac!  (Ita 1975)  Rock-prog  5/5
Il  contrattacco dell’International  POPular Group per antonomasia al rock della vuotezza.
Vinicio  Capossela – Modì  (Ita 1991)  Cantautorato  4/5
Musica, teatro e parole in un fulminante gioco di rifrazioni  stilistiche pirotecniche.
Giorgio Gaber – Snoopy contro il barone Rosso (Ita 1967) Cantautorato  5/5
Il Signor G in una delle sue opere più taglienti e salaci per un animo dai bollori nascosti.

Lorenzo Cetrangolo
Musica per bambini – Dio Contro Diavolo   (ITA 2008)   Elettronica
4,5/5

Filastrocche e delirio in un concept sui sette peccati capitali. Geniale.
The Verve – Urban Hymns   (UK 1997)  AlternativeRock   4,5/5
Anni novanta. Regno Unito. La valanga brit, qui con archi e Richard Ashcroft. Un bel momento.
Dutch Uncles – Cadenza   (UK 2011)  Indie Rock   3,5/5
Storture ritmiche, follie strumentali, falsetti come se piovesse. Da provare.

Marco Lavagno
AC/DC – Powerage   (Australia 1978)  Hard Rock   4,5/5
Forse l’album più sottovalutato dell’era Bon Scott. Meno ricco di hit per puzzolenti metallari, ma comunque sporco di quel blues ben conservato nelle botti di whiskey. Una scarica di corrente che attraversa tutta la colonna vertebrale.
Negrita – L’uomo sogna di volare   (Ita 2005)  Pop/Rock   4/5
Tra America Latina e la nostra terra, con la mente che viaggia senza confini. La voce di Pau e le chitarre di Drigo e Cesare preparano un amalgama forte di speranza, libertà e unione.

Marialuisa Ferraro
Neil Diamond – 12 Songs   (USA 2005)   Folk Rock   4,5/5
Caldo, country e chitarristico. Un viaggio tra l’individuo e l’amore, in una serie di brani trattati come veri e propri racconti.

Ida Diana Marinelli
The True Endless – A Climb To Eternity   (ITA 2004)   Black Metal   1/5
Un lavoro che potrebbe piacere forse solo ai cultori del metal o a chi considera suono anche il rumore della lavatrice in funzione. Ma Astragon è uscito dal gruppo per caso?
A Come Andromeda – Occhio Comanda Colori   (ITA 2012)  Indie/Noise Rock   4/5
Alla scoperta di un altro gruppo pugliese e del loro lavoro dal sound contemporaneo, elaborato e denso di significati.

Ulderico Liberatore
The Cramps – Songs the Lord Taught Us   (USA 1980)  Garage Punk/Psychobilly   4,5/5
Primo e imperdibile album di una band che ha fatto degli eccessi la propria bandiera. Rielaborazione punk rock del rockabilly delle origini.
Lux Interior dichiarò ad una prima intervista: “Vogliamo che i ragazzi americani tornino a ballare” il rock sottolineato!

Riccardo Merolli
Nick Drake – Bryter Layter   (Uk 1970)   Folk   5/5
Il secondo disco, uno dei dischi migliori di sempre. Entra e non esce più.

Vittorio Massa
Paletti – Ergo Sum   (ITA 2013)  Pop   4,5/5
Immediato e coinvolgente. Canzoni da cantare sotto la doccia ma allo stesso tempo raffinate negli arrangiamenti.
Diaframma – Niente di Serio   (ITA 2012)  Rock Alternativo, New Wave   3/5
Di certo non il disco meglio riuscito di Fiumani. Alcune canzoni suonano stantie. Ciononostante anche in questo disco si trovano alcune perle degne del nome della band con sonorità da vecchia scuola ma attualissime.
Morgan – Canzoni dell’appartamento   (ITA 2003)  Pop rock   4,5/5
Dalla canzone d’autore italiana al pop più attuale. Testi minimali e arrangiamenti finemente curati. Una chicca dell’autore.

Vincenzo Scillia
Ghostrider – The Return Of The Ghost   (ITA 2010)   Thrash   4/5
Una band storica dell’ Thrash italiano. Avevano tecnica, audacia, potenza, aggressività e melodia. “The Return Of The Ghost” segnava il ritorno (che poi è andato nuovamente sfumato) di un grande gruppo che purtroppo, come un fantasma, è andato a dileguarsi.
Entombed – Wolverine Blues   (SVE 1993)   Death   4/5
Erano gli Entombed che portarono una vera ventata di freschezza con “Wolverine Blues”. Riuscirono in un intento eccezionale: miscelare il Death Metal con il Blues ed il Southern.
Almamegretta – Sanacore   (ITA 1995)   Dub, Reggea   4/5
Gli Almamegretta per chi non li conoscesse non sono proprio quelli di questo anno, di questo Sanremo. Anni addietro la loro originalità ed il loro stile era ineguagliabile e i loro testi di una profondità indescrivibile. “Sanacore” insieme ad “Animamigrante” è il disco che più la rappresenta. Il vantaggio di “Sanacore” è l’ atmosfera.

Alessandro Maiani
A-Ha – Analogue    (Nor 2005)   Pop-Rock   4/5
Era dagli anni’80 che non ascoltavo un “nuovo” album di questa band scandinava. Avevo sentito che qualcosa di nuovo e di apprezzabile avevano fatto rimanendo nell’ombra, almeno in Italia. Confermo. Pregevole album che ha poco a che vedere con il loro vecchio stile.

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“Diamanti Vintage” Soundgarden Louder – Than Love

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Certamente i Soundgarden di Chris Cornell hanno risentito molto delle influenze prima claustrofobiche dei Black Sabbath e poi delle convulsioni elaborate dei Led Zeppelin, lo si avverte in ogni interstizio delle loro composizioni, tra i riff granitici e la giugulare perennemente ingrossata nell’atto dell’urlo rock, e questo “sacrificale vezzo” non passa inosservato e “Louder Than Love” è il disco-passaporto che sdogana la band di Seattle dai circoli alternativi per includerla ed annoverarla  nell’impero delle major.
E siamo solo al secondo disco per questa formazione seminale che, dall’interno di una nutrita compagine grunge, si distingue tra tutte per la sfrontatezza impenetrabile e per le sfuriate doommate che diverranno un loro indelebile marchio negli anni a venire; Chris Cornell alla voce, Kim Thayil chitarra, Hiro Yammamoto basso e Matt Cameron alla batteria sono un muro di suono dai colori neri, pieno di sensazioni notturne e maledizioni da interpretare, ma anche un feeling con una certa melodia che i nostri – nel loro passato recente – hanno sacrificato più volte sull’altare della velocità.
Il disco coniuga il disappunto del grunge con incisivi virtuosismi specie ne giri ricamati dal basso e da una chitarra formidabile, che giostra elettricità in maniera magistrale, profonda e mai vana, ottime le sparate filo-metal che infrangono “Get on the snake”, “Gun”, “Full on Kevin’s mum” inno questa allo speed-rock incontaminato e lo street-rock che fa capolino nella tramatura di “Big Dumb sex”; frammisto e sferzato questo lavoro discografico è un manifesto estremo di personalità e scoperte che “marchiano” in surplus la formazione americana, basta lasciarsi percorrere il sottopelle dai blues-doom mefistofelici di “Power trip” e “Uncovered” per essere complici di incursioni su terreni minati, dove un qualsiasi dio delle tenebre potrebbe fermarvi e chiedervi conto della  vostra incolumità.
Seguiranno ulteriori album di carato, intanto sprofondiamo nell’inferno iniziale della maledizione grunge.

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Sanremo 2013: le nostre pagelle dello show nazional-popolare più amato-odiato dagli italiani.

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Che qualcuno dica a Marco Mengoni  (ha passato tutto il festival a tirare su col naso e pulirsi con la manica della giacca… -?-) col sopracciglio spaccato da ragazzino ripulito che s’è tolto il piercing-sbaglio-di-gioventù-mo’-sono-maturato, che dedicare la sua vittoria a Luigi Tenco è circa non aver capito un cazzo di Tenco stesso. Oltre che dimostrare di avere un ego smisurato. Suicidatosi lasciando un biglietto con scritto “faccio questo come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale”, Tenco avrebbe fatto altrettanto stanotte a sentire del primo posto. Ma pure del piazzamento dei Modà al terzo posto, del premio come miglior testo a Il Cile e dell’esistenza di Maria Nazionale. Come donna prima ancora che artista.
Prima di dare le pagelle su qualsiasi cosa si sia mossa all’Ariston questa settimana, vorrei sottolineare una cosa che mi ha colpito. Si crede che il Festival sia un evento che ammazza la musica, che promuove solo gli artisti in odore di major, di grandi produttori o di recenti reality musicali. E sono d’accordo in linea generale. Ma è anche e soprattutto la fotografia socio-culturale della nostra Italia e io quest’anno mi sono spaventata. Non per la crisi bistrattata a fronte di tanta magniloquenza (il Festival è stato ripagato e il bilancio si è chiuso con un guadagno, grazie agli introiti della pubblicità e degli sponsor), quanto perché le band fanno ancora paura -stile “Ommiodio quell’uomo ha una chitarra elettrica e una cresta, mi farà del male!”- o comunque sono ancora l’eccezione e soprattutto perchè c’è bisogno che Luciana Littizzetto, il giorno di San Valentino ricordi alle donne italiane che un uomo innamorato non mena, nel tentativo di sensibilizzare il pubblico sulla violenza alle donne. E perchè due omosessuali sul palco che raccontano che andranno a sposarsi a New York fanno ancora notizia. Potete stare, come me, nelle vostre casette dorate, circondati da gente dalla mentalità aperta che ascolta rock da mo’ e i cui amici migliori sono gay, ma la normalità è altra e Sanremo ce l’ha sbattuta in faccia. Ed è triste. Non fraintendetemi, sapevo che siamo un paese di fresconi un po’ retrogradi, ma certi traguardi pensavo li avessimo acquisiti (tipo almeno non chiamare i Marta sui Tubi “complesso”, come ha fatto mia madre).

Fabio Fazio (7/10): se l’è cavata nonostante questa sua conduzione monocorde, nannimorettiana, che non lascia quasi mai trasparire emozioni se non un po’ di gigionismo e che viene messa da parte in favore di una ritrovata selfconfidence per improponibili imitazioni di Bruno Vespa o nella falsa modestia del “vi ho portato Anthony, vi ho portato Asaf Avidan, ché voi ignoranti non sapevate chi fossero”.

Luciana Littizzetto (9/10): mattatrice! Ha tenuto palco meglio di chiunque altro, mantenendo il suo stile ma in modo consono al palco sanremese. Ha cantato, ballato, sfottutto Carla Bruni ed esultato quando Bianca Balti si è inciampata, incarnando il pensiero del 99,9% del pubblico femminile a casa. Ha abbracciato Martin Castrogiovanni come fosse un baobab.

I VECCHI.

Marco Mengoni (4/10): retorico lui, retorico il brano, retorico il grazie papà grazie mammà e la dedica a Tenco. Quindi il perfetto vincitore del Festival.

Raphael Gualazzi (3/10): un buon pianista jazz che si improvvisa cantante per non rimanere nella nicchia del genere. Peccato che non sappia cantare. E qualcuno gli dica che muoversi da sociopatico non lo rende artistoide, ma solo spaventoso.

Daniele Silvestri (6/10): a me non è piaciuto. Anzitutto preferivo il secondo brano, quello che ovviamente non è stato selezionato per continuare la gara, poi ho trovato un po’ troppo didascalica la presenza del traduttore e lasciamo stare il testo mezzo con la cadenza romana che non mi sono proprio spiegata. Non che abbia nulla contro i dialetti, anzi. Ma perchè?

Simona Molinari – Pietro Cincotti (2/10): se lei non si fosse vestita da albero di Natale-prostituta-personaggio di Futurama (solo per citare i tweet che più mi hanno fatto ridere), non me li ricorderei nemmeno.

Marta sui Tubi (6.5/10): ci hanno provato. E ok. Sanremo non è pronto, l’Italia tutta non è pronta a sentire i “complessi”. E ok. Io avrei evitato lo stereotipo della linguaccia sul palco e della cresta (prossima volta corna? Banchettiamo a pipistrelli?) e avrei cercato un arrangiamento meno ruffiano alla Negramaro, in favore di qualcosa di più rischioso e personale.

Maria Nazionale (N.C.): 1) chi? 2) perchè? 3) quanti cellulari sono stati comprati dal boss tal de’ tali per farla televotare?

Chiara (6/10): ha fatto il compitino da cantantessa italiana che va a Sanremo. Brava figlia di X-Factor, per me è una categoria di musicisti che non esiste neanche. Mi fa lo stesso effetto di sentire dire “un dj che suona”. Ssssse.

Modà (4/10): loro sono così. C’è a chi piacciono ecco. “Se un abbraccio si potesse scomparire” comunque, è troppo anche come licenza poetica. Cantante in inglese che almeno non vi si capisce.

Simone Cristicchi (3/10): basta. Lo trovo intollerabile. E una volta i pazzi, una volta quello che muore e si immagina tutte le cose che avrebbe potuto fare. Simone, esci e fatte ‘na vita.

Malika Ayane (7/10): una vocalità indiscussa, indubbiamente una delle migliori sul palco dell’Ariston, con una canzone di poco impatto però, in cui l’impronta di Sangiorgi gravava parecchio sul testo.

Almamegretta (3/10): se la sarebbero pure potuta cavare. Peccato il cattivo gusto dell’ideona di andare a fare i rastafariani con tanto di light designer dell’Ariston che mette luci rosse gialle e verdi -la sagra dell’ovvio- a inneggiare all’erba libera. Ma ancora? Meno male che c’è crisi signori, se pensiamo a come fare a buttar via dei soldi nella marjiuana prêt à porter -lamentandoci poi magari dell’Iva, dell’Imu, del cachet della Littizzetto.

Max Gazzè (6/10): come al solito i suoi brani parlano di disadattati che ti chiamano di notte per dirti che non vogliono fare il solito sesso, di guardoni che ti tengono d’occhio mentre sei in spiaggia col fidanzato o, come quest’anno, di gente che ti suona a casa. Il meeting dello stalker, insomma. E a me Gazzè piace parecchio eh, che è tutto dire.

Annalisa (4/10): questa arriva da Amici di Maria de Filippi. Parlapà si dice dalle mie parti, cioè non parlare, lascia perdere, non aggiungere altro.

Elio e le storie tese (8.5/10): la canzone rompe le palle forte dopo il primo ascolto eh, però ha del genio, della competenza, del talento. Geniali ad averla pensata, talentuosi ad averla realizzata, competenti per avere le conoscenze necessarie a costruire un’impalcatura armonica del genere sotto una melodia composta di una sola nota.

I GIOVANI.

Renzo Rubino (5/10): ecco, la canzone sui gay. Ché c’è bisogno di sensibilizzare come per la violenza sulle donne.  Mi mette una certa tristezza. Comunque Rubino non mi è sembrato chissà quanto dotato vocalmente e neanche chissà quanto raffinato nell’interpretazione. Eppure si è preso il premio per critica intitolato a Mia Martini. Il testo moderno e attuale ha avuto ciò per cui era stato realmente scritto. Evvai.

Blastema (7.5/10): li ho apprezzati più dei Marta sui Tubi. Mi sono sembrati più integri e meno corrotti dal Festival, capaci di fare un rock nazionale sicuramente già sentito e anche parecchio scontato, ma di buona qualità.

Il Cile (5/10): ma è voluto che abbiano dato il premio come miglior testo a una canzone che si intitola “Le parole non servono più”? A me non è sembrato niente per cui strapparsi i capelli. Cioè, l’underground è pieno di gente che Il Cile possono prenderlo metaforicamente a calci dal mattino alla sera.

Irene Ghiotto: … forse ero in bagno. Scusate.

Ilaria Porceddu (8/10): sorvolando sul taglio di capelli, la canzone è molto delicata, eseguita con molta grazia e molta dolcezza. Non ho apprezzato la parte cantata in sardo finché non me la sono fatta tradurre da un amico che conosce quel dialetto, scoprendo che avrebbero dovuto trovare il modo di sottotitolarla o altro, perché è una frase davvero ben concepita.

Antonio Maggio (8.5/10): è radiofonica, divertente e ironica. La sentiremo così tanto in radio che romperà le palle alla grande. Per adesso, a piccole dosi, si apprezza e parecchio.

Andrea Nardinocchi (2/10): ditegli di fare altro. Un finto rapper-dj che scrive canzoni con le rime emo che manco i Dari. Sparisci. E lascia qui il Mac.

Paolo Simoni (1/10): no, no, no. Allora: l’idea del brano ricorda “Una musica può fare di Gazzè”, cioè l’elencone dei poteri benefici o meno delle parole. Ovviamente noiosa allo stremo, finto intellettuale, finto riflessiva. Lui poi ricorda Philippe Daverio con tanto di cravattino e canta credendosi Riccardo Cocciante. Altro che giovane: vecchio dentro, vecchio per ispirazione, vecchio con l’odore di giacca di velluto e antitarme. No. Già detto?

Ps. Dov’erano i fiori di Sanremo? Qualcuno era allergico e li hanno aboliti?

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Pills خمسة أسابيع (consigli per gli ascolti)

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Pastiglie per viaggiare, per dormire, per mangiare, per sognare, per il bene, per il male
… Pastiglie…Pastiglie…
Autechre, Matmos, Echo & The Bunnymen, Eels, Perturbazione, Pearl Jam, Blastema, Julia Holter, Guillemots, Impossibili, Lagwagon, Neutral Milk Hotel, Club Dogo…e tanta altra roba. Scegliete voi. Di che colore volete la vostra pillola?

Silvio Don Pizzica
Autechre – Exai   (Uk 2013)   IDM   3,5/5
Ritorno in grande stile per i padri della Intelligent Dance Music, a tre anni dall’ultimo lavoro e a venti anni dal capolavoro Incunabula. La classe non sparisce col tempo.
Matmos – The Marriage Of True Minds   (USA 2013)   Experimental IDM, Glitch   3,5/5
Leggenda narra che in un vecchio album il duo statunitense si fosse messo a registrare e rielaborare il suono di alcune lumache calpestate. Quale che sia la realtà, loro sono senza dubbio i più strani cacciatori di suoni del pianeta. Che sia il gocciolare della pioggia, o il rumore di una vecchia caldaia, tutto può diventare musica.
Violassenzio – Nel Dominio    (ITA 2012)   Alternative Pop/Rock   3,5/5
Non è un semplice insieme di canzoni. NelDominio dei Violassenzio è un disco Pop/Rock con un’anima, quel tipo di dischi che raramente ti capita di ascoltare. Quel tipo di Pop gradevole da udire ma capace di far scorrere e fluire il pensiero.

Max Sannella
Ian Dury – Do It Yourself   (UK 1979)   Punk    5/5
Il piccolo eroe della stagione punk inglese e il disco delle reinvenzioni.
Echo & The Bunnymen – Heaven Up Here – (UK 1981)   Alt/Rock  4/5
L’elettrorock screziato di psichedelia, dopo i Beatles la Liverpool gode di nuovo di una parentesi di notorietà.
Eels – Beautiful Freak   (USA 1996)   Folk-Elettrorock   5/5
La stravaganza incontenibile di Everett e soci, tra malinconia e droghe libere.

Lorenzo Cetrangolo
Perturbazione – Del Nostro Tempo Rubato   (ITA 2010)  Pop,Rrock   4,5/5
Sesto disco, dalle mille sfaccettature, per la band torinese, che si conferma come punta di diamante del pop di casa nostra.
Yawning Man – Rock formations   (USA 2005)   Desert Rock   4/5
Pilastri della scena Palm Desert, un album strumentale che difficilmente dimenticherete.
Ozric Tentacles – Eternal Wheel (the best of)   (UK 2004)   Psichedelica, Progressive   3.5/5
Una delle band più folli e coerenti del progressive inglese. Dal 1983 fanno tour e vendono dischi senza avere una major alle spalle. Colorati e new age.

Marco Lavagno
Pearl Jam – Yield   (USA 1998)   Rock   4,5/5
Musica che naviga nell’oceano e dall’oceano assimila calma, libertà e forza. Vedder e soci compiono la loro “evoluzione” in un disco perfettamente equilibrato, abbandonano a malincuore la mamma grunge per diventare con grande naturalezza la più grande rock band del presente.
Blastema – Pensieri Illuminati   (ITA 2010) Rock  3,5/5
Li abbiamo sentiti a Sanremo, ma già dal loro esordio discografico dimostrano di saper sprigionare la potenza degli anni 90 senza suonare scomodamente retrò.
Buckcherry – Buckcherry   (USA 1999)   Hard Rock   5/5
Strafottente, ignorante, alcolico, ruffiano, eccessivo e spaventosamente californiano. Il rock’n’roll del 2000 suona così, come uno sputo in faccia a tutti.

Marialuisa Ferraro
Julia Holter – Tragedy   (USA 2013)   Avanguardia   4/5
Indie, elettronica, composizione moderna e sperimentale di matrice colta per un sound etereo, impalpabile che oscilla al cupo. La voce viene usata come mero strumento e si sentono echi atonali alla Schoenberg.
Guillemots – Hello Land    (UK 2012)   Indie   4,5/5
Band multinazionale con influenze diverse, dallo ska all’elettronica, dal surf alle ballate pop rock. Grande sperimentazione fonica e strutturale che rompe la forma convenzionale della canzone. Da osservare con attenzione.

Ida Diana Marinelli
Kiko Loureiro – No Gravity   (BRA 2005)  Progressive metal    4,5/5
Tredici tracce contemporanee e mirabolanti per il debutto solistico del chitarrista brasiliano.
Donatello D’Attoma – Logos   (ITA 2010)   Contemporary Jazz   3,5/5
Un bellissimo album e dei live sofisticati per gli amanti del jazz e per coloro che vorrebbero sperimentarlo per la prima volta.

Ulderico Liberatore
Gli Impossibili – Impossimania Ep   (ITA 1998) Punk Rock   3/5
Un po’ di spazio alle vecchi glorie del panorama tardo punk italiano.
Quando i testi e la musica da garage ti danno la carica e l’adrenalina per spaccare tuttoooooo!!!!!

Riccardo Merolli
Lagwagon – Double Plaidinum   (USA 1997)   Melodic Hardcore   4/5
Ironia della sorte, escono quasi tutti i membri originali e viene fuori un grande disco. Melodico e molto malinconico. Un punk molto strano, alieno appunto.

Vittorio Massa
Neutral Milk Hotel – In the Aeroplane over the Sea   (USA 1998) Indie Rock   3,5/5
Malinconiche schitarrate acustiche, cornamuse frizzanti e linee melodiche che ricordano i R.E.M.
Di facile ascolto e ricco di spunti interessanti.
Club Dogo – Noi siamo il Club   (ITA 2012)   Hip Hop, House   1/5
Ben lontani dal flow e dalle tematiche dei primi album. Un concept su come essere zarri a Milano.
Sean Lennon – Friendly Fire   (UK 2006)  Pop rock, Alternative Rock   5/5
Un figlio d’arte di tutto punto. Atmosfere lennoniane rivisitate e per nulla scontate.

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“Diamanti Vintage” Inti Illimani – Viva Chile!

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O bene o male tra i solchi di questo disco, una parte della nostra giovinezza strapiena d’inni, eroi, miti, credo e tutto quello che poteva fare “essere di sinistra”  ci ha lasciato cuore e fegato; gli Inti Illimani facevano parte della nostra vita quotidiana, non si poteva fare una riunione militante, avere un pensiero pesante o ritrovarsi con gli amici dentro uno scantinato a bere vino, fumare canne e adulare il Sol dell’Avvenir senza che questo Viva Chile! non strombazzasse a tutto volume il suo animo focoso, ribelle, e pure romantico, con quel candore  Guevariano intriso dentro.
Esiliati in Italia dopo il golpe di Pinochet in Cile nel 73, il gruppo – cileno anch’esso – si stabilì come sede ideologica da parte di tanta sinistra organizzata su barricate, fuochi accesi e manifestazioni parada da guerriglia urbana, ma le loro canzoni erano di tutto altro tipo, erano canzoni della loro tradizione andina, popolare e contadina; ritmi bellissimi che facevano ballare al soffio di flauti di pan, bombi, chitarrone a battente, e ai mille colori che la loro stupenda terra, in quel momento insanguinata dalla dittatura, proiettava come arcobaleni verso il mondo intero.
Presi come vessillo sonante della lotta per la libertà, gli Inti Illimani di Horacio Salinas, vanno a godere di una popolarità straordinaria, si ritrovano a suonare ovunque – dalle feste dell’Unita alle balere di provincia – e alcuni dei loro pezzi, come “Alturas”, va a siglare centinaia e centinaia di programmi televisivi; canzoni che quasi tutti imparammo a memoria, come lo slogan che si urlava ad ogni corteo “El pueblo unido jamas serà vencido” o il romanticismo battagliero di “Venceremos”, che andava a riempire i cuori tremebondi di quelli che allora si definivano “compagni”.
In questo disco ci sono alcune delle più belle canzoni che il combo cileno abbia mai scritto, basta citare “Hacia la libertad”, “Cantos a los caidos”, la già citata “Alturas”, “Simon Bolivar”, “Fiesta de San Benito” e “Cancion del Poder Popular”, e tutto questo accadeva tra il 73 e il 75 dello scorso secolo, in quel frangente di tempo dove ancora credere ad un socialismo reale era possibile. Ora ascoltare questi dischi, e precisamente questo, da un senso di gioia e smarrimento, tristezza e commozione per un  tempo che non tornerà più, ma anche un coraggio che ci stringe il cuore per essere tra i fortunati ad averlo percorso e poterlo raccontare.

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Pills Katër Javë (consigli per gli ascolti)

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Siamo alla quarta settimana di pillole e sembrano cominciare a farsi avanti i primi sintomi di miglioramento. Questa volta le nostre Pills vi faranno godere e incazzare. Dall’ultimo dei My Bloody Valentine che non ha entusiasmato il nostro Silvio, al punteggio pieno per i White Stripes. Una settimana piena di grandi nomi: Twisted Sister, Robbie Williams, Fabri Fibra, Johnny Cash, Ministr, Yo La Tengo, The Raveneonettes, Pink Floyd, Velvet Underground, Afterhours, Baustelle, Elliott Smith, Ivan Graziani….

Silvio Don Pizzica
Sin Fang – Flowers   (ISL 2013)   Indietronic, Chamber Pop   3/5
Secondo lavoro per la band islandese che miscela le atmosfere tipiche della loro terra (resa famosa da Bjork, Sigu Ros e Mùm) con l’elettronica, le melodie Pop e le note da camera. Come per l’esordio splendidi brani si alternano a pezzi pallidi. Il talento c’è ma si vede a sprazzi.
Darkstar – New From Nowhere   (UK 2013)   Ambient Pop, Electro Pop   3/5
Atmosfere languide ed eteree e momenti di gioia pura. Pop che si mescola all’elettronica e in alcuni frangenti (Amplified Ease) ricorda gli Animal Collective di In the Flowers o Summertime Clothes ma con meno potenza. Una miscela colorata che pecca solo nelle melodie, non sempre originali e indovinate.
My Bloody Valentine – m b v    (IRL 2013)   Shoegaze   3,5/5
I maestri indiscussi del genere tornano ventidue anni dopo Loveless con un lavoro tanto incantevole quanto inutile. La squisitezza del superfluo.

Max Sannella
Twisted Sister – Stay Hungry   (USA 1984)   Shock Rock   4/5
La provocazione estrema della Big Apple marcia
The White Stripes – Elephant   (USA 2003)   Rock-blues   5/5
L’intelligenza sonora del nuovo millennio e le intricate roots del passato
Stevie Ray Vaughan – In Step   (USA 1989)   Rock blues   5/5
Ogni parola o commento è superfluo. Bibbia!

Lorenzo Cetrangolo
Robbie Williams – I’ve Been Expecting You    (UK 1998)   Britpop    4,5/5
L’album che fece dell’ex Take That una nuova stella del pop internazionale.
NiCE – Nuova Babele    (ITA 2012)   Math Rock, Indie Rock   4/5
Esordio del trio brianzolo. Una bomba sporca, confusa, devastante.
Fabri Fibra – Quorum   (ITA 2010)   Hip Hop   4/5
Il rapper di Senigallia confonde le acque con questo mixtape in free download che anticipò l’uscita di Controcultura. Alcuni brani rimangono in testa come pochi (vedi il feat. con Dargen D’Amico).

Marco Lavagno
Johnny Cash – Unchained   (USA 1996)   Country   4/5
Una perla di intensità rara. Accecati dalla luce sporca ma naturale ci dimentichiamo quasi che dietro Cash ci sono Tom Petty and The Heartbreakers. Siamo dentro un grande viaggio americano, seppur fermi a guardare il tempo che passa.
Ministri – Tempi Bui   (ITA 2009)   Rock   3/5
Sono passati 4 anni, ma i tempi bui non sono passati per nulla. Raffica di critiche poco costruttive e luoghi comuni ci consegnano un disco simbolo di moderna decadenza.

Marialuisa Ferraro
Yo la tengo – Fade   (USA 2013)   Alternative Rock   4/5
Più di tutto colpiscono gli arrangiamenti, vari, sempre azzeccati. Atmosfere molto delicate e un certo sapore cantautorale completano il tutto.
The Raveneonettes – Observator   (DK 2012)   Indie   3/5
Non è certo il disco della vita, non esalta, non dà pulsioni cinetiche né regala chissà che momenti di intima riflessione, ma è molto molto piacevole.

Ida Diana Marinelli
Pink Floyd – The Wall    (UK 1979)   Rock Progressivo    5/5
Rock e musica orchestrale. La storia dell’umanità e di ogni singolo su questa terra. Un’opera completa, rimasterizzata mille volte (l’ultima l’anno scorso con l’aggiunta di un terzo cd succulento) e uno spettacolo che toccherà l’Italia per due volte.
JoyCut – Ghost Trees Where To Disappear   (ITA 2012)   Indie, Dark, New-Wave    3,5/5
La grande depressione sociale, il declino, il freddo e il futuro. Narrazioni musicali che si fanno portatrici di significati importanti nel valorizzare ogni singolo gesto dell’uomo per salvare la signora Terra.

Ulderico Liberatore
Velvet Underground – The Velvet Underground & Nico    (USA 1967)   Proto-Punk    5/5
La banana sulla copertina la diceva lunga in quel periodo. Stravolgente.
Brian Eno commentò dopo qualche anno dall’uscita dell’album:<<Soltanto cento persone acquistarono il primo disco dei Velvet Underground, ma ciascuno di quei cento oggi o è un critico musicale o è un musicista rock>>

Riccardo Merolli
Afterhours – Hai Paura del buio?   (ITA 1997)   Alt Rock   4,5/5
Uno dei dischi rock di maggior spessore in Italia, nonostante l’atteggiamento schizzinoso che gli gira attorno.

Vittorio Massa
Baustelle – Fantasma   (ITA 2013)   Musica d’autore, Pop   5/5
Concept album dedicato al tema del tempo. Incentrato su arrangiamenti orchestrali e liriche raffinate.
Elliott Smith – From a Basement on the Hill    (USA 2004)   Indie Rock   4/5
Alterna lo stile dei primi lavori acustici, scarni e tormentati all’ultimo con forti influenze beatlesiane.
Ivan Graziani – Agnese dolce Agnese   (ITA 1979)  Rock   4/5
Per far ricredere chi pensa che il rock in Italia l’abbia fatto solo Vasco.

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“Diamanti Vintage” Fluxus – Vita In Un Pacifico Mondo Nuovo

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Gli anni pirotecnici dei Novanta tricolori, senza dubbio alcuno non erano di meno delle nuove avvisaglie guerrigliere che in buona parte del mondo sparavano watt e urlavano contro; la nostra scena era un pullulare di nuove formazioni e altrettante esigenze espressive che quasi non si sapeva più dove metterle o ascoltarle.
Piccole storie e nuove band scoppiavano ogni minuto, delusioni e grandi approssimazioni fluivano incessantemente,  ma ci sono state delle eccezioni ferree, come l’esordio di una band poco considerata ma di immenso pathos, parliamo dei Fluxus che, dalle chimere dei Negazione, riprendono in mano il loro mondo oscuro fatto di metal, noise e staffilate hardcore punk e “Vita in un pacifico mondo nuovo”  – nove siluri sonori – è il loro debutto, la loro opera prima che tra testi e concetti muriatrici, li porta immediatamente – nel collettivo immaginario – ad essere paragonati alla versione italiana dei RATM o addirittura dei Dead Kennedys.
Franz Goria alla voce, Adriano  Cresto e Simone Cinotto alle chitarre, Luca Pastore al basso e Roberto Rabellino alle pelli, favorivano un suono arrembante, aggressivo e credibilmente “anti”, un tornado di giugulari infiammate e riff canaglia che scossero il pensiero alternativo di casa nostra al pari di un terremoto inaspettato, diabolicamente “main”. Un album questo dei torinesi che purtroppo è rimasto per sempre incastonato – come del resto la formazione – in un limbo seminascosto per nulla rassicurante – dietro quelle facciate chiamate “nicchie” in cui non si poteva andare più in la del semplice ascolto “carbonaro”, praticamente la discografia “altra” era più rivolta a certe schizofrenie commerciali che a questi immensi patrimoni elettrici di vera cultura underground.
Suono spesso, angolare e buio, cantato rigorosamente in italiano, violenza amplificata a mille, queste le attitudini della band, virtù senza difetti che rimbalzano nella tracklist come schegge funeste e understatemen, tra le tante a caso l’heavy metal coi cambi tempo incontrollati di “Vedo”, “Sabbia”, il basso che , in mid-tempo, istiga alla corsa la stupenda “Pelle”, il noise truculento e metallurgico contro la politica padronale della Fiat “7/8” o l’inciso iniziale di “O.C.” che prevede un cantilenare di una vecchietta prima della deflagrazione hardcore  che scombussola coni, woofer e trombe di Eustachio.
Seguiranno altri due album basilare per la storia dei Fluxus, Non Esistere del 1996 e lo straordinario Pura Lana Vergine del 1998, ma siamo sempre lì, tra il lusco ed il brusco senza mai – da parte del pubblico – elevare la band come invece si sarebbe dovuta elevare.
Immensa energia alternativa buttata alle ortiche.

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Pills Week Drie (consigli per gli ascolti)

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Questa terza settimana, il nostro staff ha ascoltato senza troppo entusiasmo, il nuovo lavoro dei Bachi Da Pietra e l’album d’esordio di Mario Diaz, frontman degli Aslándticos. Ma si è rifatto le orecchie con capolavori moderni e passati. Hex, Moment Of Forever, Heroes, La macarena su Roma, Ulteriormente, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, Rock Waves, Finally We Are No One, Dirty. Pillole multicolori per ogni vostra malattia.

Silvio Don Pizzica
Bachi Da Pietra – Quintale   (ITA 2013)   Alt Rock   2,5/5
Al sesto album, i bachi sono ormai una realtà affermata e, per tanti, uno dei migliori gruppi italiani partorito dagli anni zero. Non so che problema ho, ma non era scoccato l’amore col primo lavoro, Tornare Sulla Terra, e non è scoppiato ora. Se non avete gradito quanto già fatto non gradirete neanche Quintale.
Bark Psychosis – Hex   (UK 1994)   Post Rock   4,5/5
Tutto quello che trovate dentro Hex è la definizione esatta di cosa è il Post-Rock. Tutto il resto è altro. Voce, batteria e chitarre a metà tra lo Slowcore di Low, Galaxie 500 o Codeine e Dream Pop e Shoegaze di stampo Slowdive, inserti elettronici ambient e tastiere modern classical. Il tutto impreziosito da pause, silenzi e dilatazioni delle code sonore mai ascoltate prima.
16 Horsepower   (USA 2000)   Ghotic Country   4,5/5
Una miscela perfetta di Country vecchio stile, sprazzi di carica pura, brezze elettriche, corde taglienti, ballate e mantra e parole impenetrabili e monacali. Forse non proprio l’album più semplice per la band nata tanti ma non troppi anni fa nella città degli angeli.

Vincenzo Scillia
Willie Nelson – Moment Of Forever    (USA 2008)   Country   5/5
Riascoltare Willie Nelson, guru, pilastro, caposaldo ed icona del Country è sempre un immenso piacere. Ogni volta che si sentono canzoni come “The Bob Song”, “I’m Alive” e “Gotta Serve Somebody”, l’ emozione è sempre tanta. L’ apice comunque, almeno per il sottoscritto è l’ immensa “Gravedigger”.
The Outlaws – Diablo Canyon   (USA 1994) Southern Rock, Country    4/5
E’ nel 1972 che nascono gli Outlaws, pensate a quanto sono vecchi anche loro, eppure non girano informazioni o lodi come quelle che si fanno agli Eagles, ai Deep Purple, ai Motley Crue ed ai Lynyrd Skynyrd tanto per fare qualche esempio. La pecca purtroppo sta nel loro percorso fatto di grandi alti e bassi, ma credetemi la loro musica ha dato tanto ed ha segnato momenti storici pari a quelli segnati dalle band citate prima; “Diablo Canyon” è uno dei loro ultimi dischi, ma nonostante ciò mantiene sempre un certo fascino.
Johnny Freak – Sognigrafie    (ITA 2007) Rock Alternative    4/5
Abbiamo ascoltato quel capolavoro di “Tra Il Silenzio e il Sole”, non potevamo certo perderci il debut album dei Johnny Freak, ovvero “Sognigrafie”. Anche questo è un disco d’ oro, musicalmente inferiore (di poco) al successore, ma forse i testi compensano e mettono tutto a livello. Insomma c’è poco da dire, i Johnny Freak sono una grande realtà italiana.

Max Sannella
Blur – Parklife   (UK 1994)   Brit-pop   4/5
La sostanza particellare del pop senz’angoli.
David Bowie – Heroes   (UK 1977)   Rock 5/5
Una delle trasformazioni immaginifiche del Duca Bianco
Bikini Kill – Revolution Girl Style Now   (Usa 1991)   College sound    4/5
Le ispiratrici civettuole di Kobain per la sua “Smells Like Teen Spirit”

Lorenzo Cetrangolo
Peggio Punx – Trent’anni di rumori   (ITA 2012)   Hc-punk    4,5/5
Collezione imprescindibile per dei pilastri di quel magico movimento che fu l’hc-punk italiano anni ’80. Per alcuni versi, i migliori: pungenti, incazzati, ma soprattutto con un gusto capace di sconfiggere il tempo.
Bonaparte – Too much   (GER 2008)   Punk, indie    3,5/5
Indie-punk follia. Un circo goliardico, un freak-show saltellante e minimale. Questo è il loro primo disco.
Iosonouncane – La macarena su Roma    (ITA 2010)   Cantautorato    4,5/5
Il cantautorato come dovrebbe essere, parte 1: una voce che odi o ami, arrangiamenti nudi, liriche al limite del fastidio, che toccano dove fa male.
Mario Diaz – Gloria bendita   (SPA 2010)   Latin pop, folk    3/5
Primo disco solista del frontman de Los Aslándticos, che si porta dietro tutti i cliché del caso: musica luminosa, aperta, un pop latino indipendente da portare nelle cuffie per una botta di sole aggiuntiva.

Marco Lavagno
Rainbow – Long Live Rock’N’Roll   (UK 1978)   Hard Rock   4/5
C’è qualcosa che si spera non muoia mai. Il rock’n’roll qui è incredibilmente epico e destinato alla storia.
Midnight Scraper – Coloured White   (SWE 2009)   Rock/Blues/Pop   3,5/5
Solo un’altra grande band dalla Svezia. Danzereccio e vintage, quest’album punta alla semplicità scarna della musica pop. Un (assurdo?) incrocio tra Abba e Hellacopters.
Francesco-C – Ulteriormente   (ITA 2005)   Punk/Rock   4,5/5
E’ pazzesco come questo disco sia diretto. Tutto pancia. Eppure arriva dritto al cuore.

Marialuisa Ferraro
Benjamin Gibbard – Former lives    (USA 2012)  Indie Rock   3,5/5
Non è un discone e non si avvicina neanche minimamente alla grazia dei Death Cab for cutie, ma ha comunque una sua personale piacevolezza.
The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band   (UK 1967)  Rock   4,5/5
Quasi l’album perfetto, lisergico, divertente, ironico, profondo e caricaturale. Ad ogni ascolto si scoprono cose nuove: rimandi, riferimenti, riprese in lavori più recenti…

Ida Diana Marinelli
Maurizio Colonna – Rock Waves   (Ita 2008)   Classica/Rock   5/5
Molta della storia del rock suonata dal più grande chitarrista classico italiano. Suono dolce e tecnica perfetta.
Rosacoletti – Novantagradi   (Ita 2010)  Indie-Folk-Pop   4/5
Il gruppo originario si formò nel ’89 e quasi dieci anni dopo nacquero i Rosacoletti, scoperti poi da Mario Venuti. Musicanti dell’underground milanese, respirano il sapore della musica lontano dai social network.

Ulderico Liberatore
Múm – Finally We Are No One   (ISL 2002)   Electro, Post-rock, Glitch   4/5
Non avevo mai sentito nulla di così Glitch.

Riccardo Merolli
Sonic Youth – Dirty   (USA 1992)   Noise Rock   5/5
L’ottavo disco della band di New York, le chitarre diventano più aggressive rendendo chiaro il concetto di noise rock. Un disco epocale per la storia del rock, (e come sempre) niente è mai più stato come prima.

 

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“Diamanti Vintage” Stormy Six – Un Biglietto Del Tram

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Bei tempi davvero, tempi rosso fuoco, folgorazioni, ribellione e utopie concrete di comunismo erano ovunque, e gli sguardi collettivi  sempre rivolti ai paramenti Sovietici della giustizia proletaria. I Settanta della musica nazionalpopolare italiana – mischiata tra progressive e nuove tendenze d’avanguardia –  annoveravano tra le barricate sonore –  gli Stormy Six, formazione impegnatissima culturalmente ed ideologicamente, figlia di quell’idea diamantina già ampliamente illustrata in precedenti dischi, e “Un biglietto del tram”, è il disco politico e di quadretti sociali che più di tutti li rappresenta e che inneggia e si sacrifica alla giustizia popolare, testi che indagano sulle situazioni oppressive delle fabbriche, le condizioni operaie, le lotte partigiane e tutte quelle parvenze padronali del “tutto va bene”.
Per significare e rendere visivo quello che succedeva in quegli anni dentro e di lato del cosiddetto “Movimento”, va detto che gli Stormy Six furono additati e condannati moralmente dai tanti aderenti ai vari loghi politici di sinistra estrema, di essersi venduti al padrone e alla commercializzazione per via che la band effettivamente “riusciva a vendere” i loro dischi, ma non nelle catene industriali dei negozi, ma ai concerti, nei raduni, ecc, ma la confusione imperava e il periodo di contesto era davvero funesto, e tanto sangue ancora verrà versato nei anni a venire; “Un biglietto del tram” porta nove brani di immenso valore culturale, canzoni tra il folk e prog, immagini fermate per descriverle in musica e per tramandarle come fonte di poetica “guerra” ai posteri o semplicemente ai paladini della libertà.
Il “canto” di questa indimenticabile band milanese ancora riecheggia in tanti cuori, e questo disco è stato il continuo soundtrack che ha accompagnato migliaia e migliaia di manifestazioni e cortei che in quei frangenti di piombo scorrevano come vene gonfie e impetuose e tutto è rimasto immortalato in canzoni che oramai fanno parte della storia “rivoluzionaria” tricolore; senza tempo la ballata incitante e sulla via della redenzione rossa “Stalingrado”, i partigiani uccisi “8 Settembre”, “Dante di nanni”,  la bellissima “La fabbrica” sugli scioperi di una Torino agguerrita o l’amarezza metafisica della titletrack, che chiude l’album  con un mood da avanspettacolo,  ma che in fondo è  come un pugno sulla bocchetta dello stomaco a tanti, innumerevoli cretini di regime.
Non un semplice album, ma una scheggia poetica che ha trovato il suo posto all’infinito tra cuore e lotte di classe.

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