Casa – Ultimo Esordio

Written by Recensioni

C’è bisogno di tanta empatia per godere di questi talenti puri e genuini che l’Italia ha da offire.
[ 15.02.2020 | Dischi Obliqui | avant folk, jazz, country, blues ]

Un nome che probabilmente non dirà molto al “grande” pubblico ma anche un progetto che ho avuto il piacere di seguire da tempo e che da sempre mi ha convinto e strabiliato per la capacità di continuo rinnovamento.

Una copertina che per crudezza non volgare sembra richiamare quelle nascoste avanguardie anni Settanta, quelle band che incidevano dischi in casa, strani da non avere alcun posto apparente nel mondo della musica; dischi che circolavano solo nei sotterranei della società. Un titolo, Ultimo Esordio, che dice tantissimo; o meglio, suggerisce tantissimo perché con i Casa nulla è mai come sembra. Un nome che lascia presagire la fine di una storia, come se si trattasse del canto del cigno, ma nello stesso tempo evoca un nuovo inizio, come se da qui i Casa avessero l’intenzione di ricominciare da capo. Dove si trova la verità?

Partiamo dalla musica e dai suoi aspetti formali; a voler cercare delle peculiarità nella musica dei Casa, una è certamente la pluralità delle voci chiamate in causa, cosa che si ripresenta sia nella scelta degli artisti che si affiancano a Filippo Bordignon sia nella scelta degli strumenti che vanno dalla voce utilizzata in maniera anticonvenzionale e quindi non vicina al canto classico del pop fino ai più consoni sax, violino, contrabbasso, batteria, tromba, piano passando per stravaganze come piva, duduk, bendir e tanto altro.

Sotto l’aspetto sostanziale, siamo di fronte a un lavoro prettamente acustico in una miscela di jazz, folk, blues, country che propone brani originali composti e da pubblicare col chitarrista Florio Pozza, scomparso per un incidente nel 2018, e cover di brani cui proprio Pozza era particolarmente legato. Una sorta di omaggio che suggerisce qualcosa in più sul titolo e che rende ancor più emozionante l’ascolto dell’opening Il canto dell’addio, reinterpretazione di un brano tradizionale che probabilmente conoscerete, nonostante l’origine anglosassone, per il suo frequente utilizzo in diverse celebrazioni.

Saranno altre cinque le riletture di artisti famosi nel genere, da Stephen Forster a Jim Jackson, mentre l’ultima cover in scaletta sarà anch’essa tratta da un pezzo popolare gospel intitolato nella versione originale Kumbaya My Lord. Un disco capace di farsi emozionante da rendere imbarazzante ogni giudizio critico, che tuttavia, anche stavolta non potrà che essere positivo.

La monofonia è scelta precisa, come indicato nel packaging, poiché “forma di ascolto più democratica” e il fatto che la voce di Filippo Bordignon possa non annoverarsi tra le più fortunate per timbrica e particolarità che abbiate mai ascoltato influirà sull’ascolto solo in minima parte e sarà supportata dai testi carichi di malinconia e speranza.

Come spesso accade nelle opere firmate da Bordignon, difficile è dare una precisa indicazione su cosa vi aspetterà al momento dell’ascolto e, per questo, arduo è indicare quale preciso pubblico possa apprezzarne lo stile. La cosa certa, stavolta più che mai, è che c’è bisogno di tanta empatia e passione per la musica in ogni sua forma espressiva per godere dell’ultimo esordio di uno dei tanti talenti puri, genuini che l’Italia ha da offrire lontano dalle vetrine del mainstream.

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Last modified: 6 Maggio 2020