Il collettivo londinese torna con un album che non ha paura di mischiare i colori; avant-folk, post-rock, ambient, hyperpop, benvenuti nel 2025.
[30.05.2025 | Rough Trade | avant-folk, post-rock]
“When I am in my painting, I’m not aware of what I’m doing. It is only after a sort of “get acquainted” period that I see what I have been about. I have no fears about making changes, destroying the image, etc., because the painting has a life of its own. I try to let it come through. It is only when I lose contact with the painting that the result is a mess. Otherwise there is pure harmony, an easy give and take, and the painting comes out well.”
Così Jackson Pollock descriveva nel 1947 il suo metodo di lavoro ad ogni nuovo dipinto. Opere apparentemente nate dal caos, le tele stese sul pavimento, i colori lasciati gocciolare, schizzati con pennelli o altri strumenti, l’acrilico che si induriva fino a creare arte stratificata, gli eventuali pezzi di tela bianca a loro volta parte del risultato finale.

Ogni pezzo al proprio posto.
Lo stesso processo creativo potrebbe essere applicato ai londinesi caroline e a questo nuovo caroline 2, secondo album all’attivo, anch’esso pubblicato su Rough Trade. Se il debutto del 2023 sembrava soprattutto improvvisare con una tela e un paio di colori, il seguito non ha paura di aggiungere e stratificare il tutto, lasciando che i toni si mischino tra loro, anche quando l’abbinamento sembra sbagliato, magari dando vita a cromìe inedite.
È il caso di Total euphoria, che apre l’album con chitarra, basso, voce e batteria ognuno per la propria strada, apparentemente fuori sincrono, prima che il brano si rimetta a posto in maniera quasi impercettibile. Inizi pensando “Okay, strano” e finisci ipnotizzato da come i pezzi del puzzle sparsi sul tavolo abbiano magicamente composto da soli l’immagine sulla scatola.
Storia simile ma differente per Coldplay cover, composta effettivamente da due brani diversi, suonati contemporaneamente dai membri della band in due stanze separate, che ad un certo punto diventano “la canzone” quando il produttore Syd Kemp si alza, prende il microfono e unisce i pezzi letteralmente cambiando stanza (lo potete sentire da 1:25 circa). Una soluzione superflua, per qualcunə potrebbe essere anche pretenziosa, ma sicuramente d’impatto e per certi versi più “performativa” di qualunque esibizione live la band possa fare.
Influenze inaspettate.
Va bene, bella lezioncina di arte contemporanea, aneddotica e puzza sotto il naso, ma la musica com’è? La bussola non si sposta di molto dall’ipnotico post-folk del debutto, ma la formula viene arricchita: della presenza di Caroline Polachek è già stato detto tutto, ma Tell me I never knew that è prima di tutto un brano pop meraviglioso, che la voce dell’ex Chairlift porta ad un livello successivo, grazie ad un range che può andare molto oltre il semplice hyper/avant pop a cui siamo abituati.
Quella parte c’è, e ci pensano i caroline stessi a (ri)portare il folk nel 2025 con voci effettate (il finale di Tell me…, U R UR ONLY ACHING, la meravigliosa Beautiful ending) e in generale un’ispirazione che attinge tanto sia da Arthur Russell che da The Microphones, da Grouper ad Alex G passano per 22 A Million di Bon Iver, prendendo un poco da ciascuno e immergendolo nel proprio suono.
Oltre alla ricerca, perfettamente amalgamata con i suoni algidi di fiati e violino, c’è anche la volontà di costruire canzoni delicate, come fatte di vetro, capaci però di resistere ad improvvisi crescendo perfettamente contestualizzati all’interno del disco. È il caso del finale di Total euphoria, di una U R UR ONLY ACHING che si srotola piano piano, ma soprattutto dell’incedere senza compromessi di Two riders down, che parte come se fosse cantata due edifici più in là (e probabilmente è così) e lievita in un trionfo quasi massimalista, dove ogni strumento viene spinto all’estremo per ottenere un climax quasi liberatorio.
Il presente è adesso.
Come per l’arte pittorica, anche con la musica non ci si riesce ad accorgere sempre quando un disco sposta l’asticella un po’ più in alto. Non dico che i caroline e Pollock giochino nello stesso campionato d’influenza, ma dico che non sarei stupito se questo caroline 2 – e questo modo di plasmare la materia sonora in maniera così libera eppure così pop, fruibile, universale – diventasse un disco in grado di fare proseliti.
L’idea che sia possibile portare il folk, il post-rock e il chamber pop in direzioni nuove, più affini alla contemporaneità, piuttosto che stagnare nella stessa guazza di sempre, pensando che basti aggiungere un po’ di rumore in più ogni tanto per passare come illuminati (vero, Black Country, New Road?).
La strada intrapresa dai caroline, così come il percorso dei Quade, mi fa pensare che il presente è finalmente qui, la pittura è ancora fresca: continuiamo a mischiarla per scoprire cosa succede?
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Last modified: 2 Giugno 2025