Forse non ce ne siamo mai accorti, probabilmente la crisi economica ci ha distolto oramai anche dalle nuove onde sonore che arrivano d’oltre alpe, fatto sta che mentre da noi lo spread suona come un tormentone, dall’altra parte dell’Europa, il quintetto inglese dei Toy, con il disco di debutto omonimo, scorrazza felice e ascoltatissimo in ogni dove, radio, live e chi più ne ha più ne metta, dodici tracce che fanno furore tra i giovanissimi, di quelli ansiosamente irretiti dalle nebulose chiaroscure del post-punk ancora in odore di new vave.
Disco dai colori grigiastri, sonorità devozionali agli anni Ottanta in pieno e con una – di primo ascolto – paurosa vicinanza stilistica con The Horrors, ma mi si dica che cosa oggi nella musica ci sia più da inventare, e allora lasciamo scorrere questo fiume in piena di melodia elettrica e torbacea che poi è materia di ottima qualità interpretativa e realizzate con quell’imprinting lunatico e alternato che finisce a piacere in toto, rallegra nonostante lo shoegazer di base, intrigante e convulso che può benissimo guerreggiare con i sounds indie più eclatanti; una puntina di revival si nota tra le pieghe del disco, saranno quei larsen chitarristici di sottofondo, i riff corposi ed esplosivi centrali, il drumming frenetico e scostante, ma quello che più conta è che il disco – sebbene tutto – funziona a meraviglia e mette soggezione (o potrebbe mettere) a tanti altri prodotti last minute.
Sì, la qualità è la maggiore prerogativa del registrato, una quadratura perfetta di rimando che ritorna indietro contemporanea, sfumature recondite e piglio personalissimo che – senza dissacrare nulla – forma quella dolciastra patina retrò sulla schiena di cavalcate e circuiti darkeggianti che rimbalzano ovunque; è solo un primo disco, l’approccio è notevole da non credere, e incrociando le dita sperando di non usare mai un futuro un interrogativo sul loro percorso sonico, gustiamoci l’onda melodrammatica di “Reasons why”, i ritmi drogati di indie windy “Lose my way”, “My heart skips a beat”, e la wave scattante e fenomenale che decapotta nella tripletta “Motoring”, “Make it mine”, “Kopter”, tutto un insieme di emozioni raffinate dalle quali si possono anche riconoscere – ad un attento annuso d’orecchio – piccole ispirazioni estrapolate dai mondi vicinali di New Order con Echo And The Bunnymen incorporati.
Ripeto, è solo un primo disco, forse e speriamo ne seguiranno altri, intanto i nostri inglesi fanno capire di non scherzare affatto e queste “provocazioni d’assaggio” saziano e fanno fare anche il ruttino di goduria e buongusto.