Giulia Di Simone Author

Waiting For Better Days – To Those Who Believe to be Left Alone

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Veloce e tagliente ma all’occorrenza melodico, ecco come si presenta il primo full lenght degli italianissimi Waiting For Better Days. Un disco oserei direi bipolare (nel senso buono del termine) in quanto sa di internazionale ma è completamente barese, è cantato quasi interamente in inglese ma non del tutto, ed infine suona Metalcore quanto Punk Hardcore. Incazzato e compatto fin dalla prima nota, non è solo suonato egregiamente ma anche confezionato come dio comanda. Un vero piacere per gli impianti stereo di alta qualità!

Un disco che parte tirato e deciso con “Dew on my Wings” e “Able to Understand”, due pezzi massicci dove growl e clean si alternano e ti fanno capire sin da subito che i WFBD sanno quello che fanno e lo fanno per bene. Poi però arriva la voce di Berlusconi ad introdurre “Purity”, e così finisci per ricordarti di stare ascoltando un disco di una band italiana che ha voluto dirti: “sei un italiano come me, un italiano che viene deriso e preso per il culo”. Subito dopo infatti parte la prima delle due tracce cantate in italiano “Mille Riflessi”, caratterizzata da un testo introspettivo e riflessivo in pure stile Linea77, come anche“Giorno Per Giorno”, brano però più incazzato e dal finale gridato e potente. Al confine tra Deathcore/Death metal è l’irriconoscibile cover dei Beatles  “Revolution”, in cui viene ribadita in modo subdolo la rabbia per la situazione incostituzionale italiana. Concludono l’album “Being Controlled” e “Land of Sunshine”, forse i pezzi più HC e californiani dell’album. Brani che pargono una versione più tecnica e maggiormente metallizzata di ciò che gli Anti-Flag hanno prodotto in For Blood And Empire, oppure i Lagwagon in Resolve.

Insomma i WFBD mi hanno convinto ed invogliato ad ascoltare i loro prossimi lavori. Forse lascerei a casa i pezzi in italiano e le cover, ma auguro comunque a questa band di sfondare e continuare con la convinzione che fino ad ora hanno dimostrato. Cercateli dunque su Spotify ed ascoltatevi l’album, poi se vi va di supportare la buona musica, comprate l’album e uccidete le vostre orecchie!

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Garaliya – Garaliya

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Due galli affascinati dalle immagini psichedeliche che finiscono per comporre musica dietro a delle drum machine, ecco chi sono i Garaliya. Il vinile è il loro cibo, il campionamento è la tecnica di degustazione, e i campionatori l’apparato digerente. Non producono musica di scarto, ma scatti di musica. Per capirci meglio il loro mondo assomiglia molto a quello di Aphex Twin, sia per le affinità noise che per la scelta di utilizzare delle visual importanti all’interno delle loro esibizioni, che trasformano i live in una vera e propria performance art. Lin MoRkObOt e Mizkey si sono messi insieme ed hanno creato i Garaliya, due galli cibernetici che al posto di cantare al mattino, preferiscono ruggire di notte atmosfere tekno-noise, jazz ed a tratti trip pop (trip come Hoffmann più che come i Massive Attack). Un progetto musicalmente diverso per l’Italia, o perlomeno per l’ascoltatore medio di musica elettronica. Un progetto per orecchie argute ed addomesticate al rumore, che mi auguro vivamente non diventi un live set pulito e senz’anima.

Sicuramente da assaporare live, perché é quella la formula in cui i Garaliya prendono interamente forma, e sicuramente da tenere d’occhio per tutti gli amanti dell’ IDM (Intelligent Dance Music). Se pensate ad un duo di musica elettronica convenzionale vi sbagliate, se pensate a due nerd forse ci azzeccate, sicuramente non sono due sprovveduti che aprono per la prima volta Ableton Live e pretendono di fare musica (come purtroppo succede spesso ultimamente).

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Miranda – Asylum: Brain Check After Dinner

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Il trio fiorentino ritorna prepotente e lo fa a quattro anni di distanza dal precedente Growing Heads Above The Roof, con Asylum: Brain Check After Dinner, un concept album per folli, reclusi, e per tutti quelli che sentono il bisogno di trovare una via d’uscita non convenzionale alla monotonia della quotidianità.
Il disco si apre con Suicide Watch e Being Ed Bunker in cui il ritmo scandito dalla voce e dalla batteria sembrano ricordare marce e grida di rivolta, mentre contemporaneamente i suoni sintetizzati, ripetitivi e stridenti cerchino invece di avvertire l’ascoltatore che potrebbe impazzire.
Loop allarmanti, suoni glitch e caos organizzato prendono il sopravvento nel finale di Mohamed Bouazizi ed in Nothing Better Than a Morning Fuck dove pare trovarsi di fronte ad una catena di montaggio che improvvisamente va in tilt. Arabs On The Run Psycomelette si caratterizza per un inizio dolce come i campanelli che strimpellano ninna nanne per bambini, per poi svelare tutta la rabbia punk nel finale. Di cattive abitudini si parla invece in Bring Drug And Food ed in Holy Ravioli In A Drug Free Zone, quest’ultima caratterizzata da una voce hip-hop ed un contorno distorto e caotico. Un mix insolito e ben riuscito. Conclude il disco Tecnocratic Chinese Flue, più quieta rispetto alle altre tracce, ma comunque sia alienante.
Diciamo che il passato carcerario dei componenti in questi 11 brani si è fatto sentire, come anche la loro insanità mentale, in quanto dopo l’ascolto dell’intero album ci si chiede se durante le registrazioni non fossero stati in preda ad un delirio psicotico. I Miranda sono spregiudicati, sporchi ed irriverenti, pronti a regalare allucinazioni distorte ed emicrania patologiche a tutte le persone sane di mente.

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Un-Reason – S/t

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Ok, ancora non ho ascoltato il disco degli Un-reason e già mi piacciono. Spulciando tra le bio dei quattro componenti la mia testa vola indietro a un po’ di tempo fa, quando il mio mondo sembrava voler gridare il disagio del tossico da strada di Fuorivena, la fiera rabbia punk dei Klasse Kriminale, i giochi di parole dei Prozac+ e la ricerca di un marcio più elettronico negli Skinny Puppy. Gli Un-Reason si portano dietro un bagaglio musicale degno di tutto rispetto e dunque mi aspetto un disco curato nei minimi dettagli e non convenzionale.
Bene ora accendo le mie amate casse e mi lascio trasportare in un’altra dimensione in cui le contaminazioni sonore già dalla prima traccia – “A Place Of Truth”-appaiono infintite, ma è con Blink che finalmente il disco si apre e i N.I.N. prevalgono su tutto: chitarre che scoppiano, voci distorte ed effettate. Le atmosfere si fanno più pacate in “Our Special Way”, dove i suoni lenti e disturbanti mi hanno ricordato i primi Placebo, che riuscivano ad impastare una accozzaglia di influenze a tratti quasi folk con il dark più melodico e oscuro di ognuno di noi, regalando brani fottutamente pop (nel senso buono del termine).
Per tutta la durata del disco la voce di Elio Isaiasi sdoppia, passando da distorta a melodica, risultando però maggiormente interessante quando distorsori, delay, filtri ed altri effetti si fanno prepotenti, come in “Kids Hurting Kids”, favolosa traccia dove basso, elementi elettronici e un finale esplosivo la rendono unica. Il disco si conclude con “Waves”, una traccia che invita ad ascoltare la forma d’onda sonora in tutte le sue componenti: spazio, tempo, voce e musica. L’unica pecca? Il non aver incluso delle tracce puramente strumentali, io personalmente le avrei apprezzate, perché se c’è una cosa che non si può non riconoscere a questi ragazzi è sicuramente un’ottima cura negli arrangiamenti.
Insomma, mi piacciono perché suonano noise e sporchi, ma sono maledettamente curati e puliti, grazie anche ad una minuziosa cura dei dettagli, tanto che non sembra proprio di ascoltare una band nostrana.

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