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Disclose – Survive?

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I Disclose tornano a farsi sentire con un disco nuovo di zecca, ovvero “Survive?”. Trattasi di un concept album che mira principalmente ai problemi della nostra società, delle varie difficoltà che va incontro e sui disagi che crea. Molto probabilmente, tenendo conto delle condizioni in cui viviamo nel nostro paese, il concetto di “Sopravvivenza” è più che azzeccato, perché effettivamente per come vanno le cose è quello che stiamo facendo, tra tasse, rincari, cattiva politica e conseguente crisi.

Musicalmente i Disclose sono maturati, è vero che non c’è nulla di innovativo in questo disco ma è comunque suonato bene e con personalità. Il sound dei Disclose oscilla tra l’ Hardcore, il Nu e l’ Heavy Metal, il disco suona forte e predispone di riff possenti e aggressivi; l’ unica pecca è che a lungo andare sembra un po’ ripetitivo, però è garantito che con ascolti più approfonditi si colgono delle chicche non indifferenti. In “Survive?” c’è una buona prova della maturità dei Disclose, la loro tecnica si è affinata diventando più precisa; i Fan di band come Biohazard, Cataract e Black Flag apprezzeranno senza alcun dubbio il lavoro dei Disclose. Anche se non molte melodie sono coinvolgenti, c’è da dire che la band ha saputo giocarsi le carte in tavola. Un ultima osservazione va all’ art work dell’ album in cui rappresenta uno scarafaggio che si presuppone scappi dalla società e dalle sue eventuali trasformazioni. Insomma, “Survive?” è un buon disco di ottima fattura, non bisogna fare altro che prestargli un po’ d’ attenzione.

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LE CASE DEL FUTURO: MIRANDA E’ IL PRIMO SINGOLO

Written by Senza categoria

Gusto indie anni ’00, psichedelia e beat italiano sono le fondamenta su cui poggiano LE CASE DEL FUTURO. Testi in italiano, fortemente evocativi, in una sorta di pastiche postmodernista fatto di immagini a colori contrastanti.

“MIRANDA” – Official Video
http://www.youtube.com/watch?v=eWGxCfO7EtE

 

Nel singolo MIRANDA lo sfondo è quello della new wave. La melodia è indovinatamente catchy,  con un ritornello di quelli da canticchiare tutto il giorno. Decadenza e pop coesistono perfettamente.

 

Ne LE CASE DEL FUTURO trovate tutto questo.

Giovanissimi, ma con le idee molto chiare, si formano nel 2007 a Brescia, dove da subito si ritagliano un ruolo di primo piano nella ricca scena musicale locale. Nel 2010, sotto la direzione di Pierluigi Ballarin (The Record’s) e Stefano Moretti (Pink Holy Days), realizzano un omonimo EP presso il TUP studio.

Il loro primo album è LUCERTOLE uscito il 14 FEBBRAIO 2012 su etichetta DISASTRO RECORDS (Il Genio, Girl With The Gun, Il Lato Beat, Nicolò Carnesi).

 

Queste le prime date del tour nazionale:

4 Febbraio 2012 – Vinile 45 (Brescia)

18 Febbraio 2012 – Edonè (Bergamo)

6 Marzo – Rocket (Milano)

9 Marzo – Cafè Guapos (Domodossola – VB)

30 Marzo – Arci Tom (Mantova)

19 Aprile – Magnolia (w/Jessie Evans) (Milano)

24 Aprile – Moby Dick (RadioDue – Roma)

Giugno – MIAMI (Milano)

 

DISASTRO Records – Official Site

http://www.disastrorecords.com/

 

 

ufficio stampa
PROTOSOUND POLYPROJECTwww.protosound.net

L’ALTOPARLANTEwww.laltoparlante.it

 

 

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Violassenzio – Nel dominio

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Non è vero che tutto il rock armato di spirito psichedelico o – se vogliamo anche includere – con le visionarie attitudini della forma allucinatoria – è uguale, forse lo è nello spirito di chi lo fa, ma c’è sempre visione e visione, e quello dei ferraresi Violassenzio è straordinariamente particolare, ottima perché ha le forze e le credenziali idonee per incontrare favori e gradimenti anche da chi il genere non lo ciancica e tanto meno lo deglutisce.

Nel Dominio” è il secondo work che la formazione veneta ricompone per dialogare elettricamente con il pubblico, quattordici tracce che – a parte la bulimia esponenziale – partoriscono un appagamento  quasi cantautorale e d’udito eccellente, che non si rassegna ad essere solamente un flusso costante di rock amplificato, ma baricentra pure un’ossessione sociale, un malessere che dal profondo dentro sfocia in un’illusione massificata, la spersonalizzazione umana in cambio di un codice a barre che si appunta nello spirito imperfetto di chi da sopra gestisce e omologa pensieri ed espressioni che si vorrebbero in libertà.

Non ci sono punti di fuga, il suono indelebile dei Violassenzio è un approccio forte ad una certa metafisica amplificata che si unisce a filo rosso con il brivido delle pedaliere, struggenze ed esplosioni incandescenti si susseguono come cavalli indomiti in corsa, figlie di quell’impressionistica che trova – scorrendo i brani della copiosa tracklist – la precisione e la determinazione di un disco arrivato per restare a lungo nella scaffalistica underground di smalto; l’onirico grigio topo Kuntziano “Rinchiusi in una scatola”, “Nelle fabbriche”, il pathos agrette di una wave alla NeonAmo chi sogna”, la dolcezza di un ricordo di un lontano BenvegnùCome un risveglio” oppure lo scatto di un orgoglio anfetaminico e liquido che esplode in “E’ un paese per vecchi”.

Un bel disco che non vuole rimanere solo un bel disco, ma una performance a tempo determinato per compattare “il dentro ed il fuori” di una società malsana con l’arte del suono a traiettoria di bengala, per illuminare metamorfosi e cazzoni di potenti nei loro loffi intenti; ma poi arriva “Solo nei sogni” e quello che mancava per riflettere sul repertorio di questa band, arriva come un subbuglio di bellezza che non solo tramortisce il cuore, ma lo spalanca come fosse un sole di mezzanotte, che nelle loro visioni dei Violassenzio esiste anche se noi non lo vogliamo vedere.

Magnetico come pochi e che ci fa dare “i numeri” senza pietà.

 

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Ruben – Il lavoro più duro

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Onestamente non avendo seguito molto – per niente – da vicino le uscite discografiche precedenti del cantautore veronese Ruben, mi è più facile – senza andare a cercare a ritroso – soffermarmi e capire l’evoluzione di quest’ultimo suo lavoro discografico “Il lavoro più duro”, e l’impegno promesso ad un ascolto distaccato, si fa invece attento e interessato, propenso a venire a capo di queste bellissime quattordici tracce che ospitano in ognuna di esse un personaggio, un modo di pensare e vivere tra il trasognato ed il reale, un colorato set di ritmi e stili che mutano e scandiscono una tracklist coinvolgente.

Tutto gira intorno “al lavoro”. estasi e tormento dell’uomo di sempre, carico delle sue noie asfittiche e delle sue illusioni ad ombrello, storie e fisionomie ciondolano qua e la in un’anagrafe Calvinica che si fa teatro cantautorale e story teller di poetica sfigata e dolce che si mischia in un’estetica straordinaria dove Ruben appare e scompare come un crooner urbano che tratteggia sensazioni ed emozioni più che marcate; non una di quelle solite associazioni d’idee che restringono il cantautorato a fattore di pesantezza o, quando va bene, di paranoia, ma un nutrito pugno di canzoni che divertono, relazionano e si fanno cromatismo vivace tra l’orecchiabilità indie e l’esuberanza di un’artista che si mette anche in gioco con una buona dose di pop, e le previsioni sono più che ottime.

Bennato, De Andrè, Rino Gaetano, De Gregari, sono gli eroi che attraversano questo concept niente male, dove l’ìmportanza del “messaggio” ha un preciso colore lirico, spezzoni, frammenti di vita che si fanno riconoscere in un mediocre killer chiamato Carletto “Killer (un assassino a pagamento)”, in un prete in crisi d’identità “Prega per me (un prete)”, il tex-mex che corre dietro all’avvocato mistificatore “Vinceremo (un avvocato)”, la ballata folk di un sindacalista “confuso” tra impegno e donne in fermento “Primo Maggio (un sindacalista)” o il rock’n’roll del camionista Macho On The RoadMammolo (un camionista)” e chi più ne ha più ne metta, un disco da vivere con la sincera sfacciataggine delle imperfezioni naif, quelle piene d’ironia e acido muriatico soft.

Pierfrancesco Coppolella Ruben, qui con i musicisti Carmelo Leotta e Michele Gazich, declama il lavoro come un festeggiamento della particolarità umana, ci riesce e ne fa un quadretto sonoro entusiasmante che si consiglia a tutti, anche a chi – purtroppo – un lavoro non lo possiede o non lo cerca. 

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MARCO NOTARI & MADAM – secret tour maggio 2012

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GUARDA IL TEASER

Per prenotarsi è necessario inviare una mail a info@secretconcerts.it indicando nell’oggetto a quale secret concert si intende partecipare e nel corpo della mail il proprio nome, cognome ed e-mail + un numero di cellulare sul quale vi sveleremo l’indirizzo della location.

Dopo un tour di quasi cinquanta date per presentare l’album “Io?” (Libellula/Audioglobe) uscito a settembre 2011, ed in attesa del tour estivo, Marco Notari & Madam affrontano a maggio un mini tour di secret concerts in giro per l’Italia. I secret sono concerti che si svolgono in abitazioni, case private, luoghi insoliti. L’artista esegue il suo repertorio con un set acustico ridotto, adattato alle esigenze del luogo, e il pubblico ha l’occasione di averlo ad un passo da sé e di ascoltare la sua musica così come è nata, in una atmosfera intima e raccolta. Il luogo in cui si svolge il concerto è segreto e viene svelato solo a chi si prenota per la serata.

Nei secret Marco e la sua band proporranno in versione acustica brani estratti dai tre dischi “Oltre lo Specchio”, “Babele” ed “Io?”. Inoltre tutti i partecipanti ai secret riceveranno in omaggio tramite una seed card lo speciale album “Canzoni segrete”. La seed card è una download card completamente eco-compatibile e biodegradabile, su cui è riportato un codice unico che consentirà di accedere ad un’area riservata del sito www.marconotari.it da cui scaricare un album di 11 brani contenente b-sides, versioni live e altre rarities legati alla carriera dell’artista, resi disponibili solo per i partecipanti ai secret concerts. Ogni seed card contiene inoltre un seme che chi desidera potrà piantare e coltivare, nel pieno spirito del tour ad impatto zero di Marco Notari & Madam in collaborazione con Lifegate.

Il secret tour sarà accompagnato infine dall’uscita del nuovo videoclip “La terra senza l’uomo”, realizzato da Marcello Saurino in collaborazione con Greenpeace e LAV.

L’ingresso alle serate costerà 10 euro.

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TRACKLIST “CANZONI SEGRETE”

1. caterina (b-side di Io?, cover di Francesco De Gregori – 2012)
2. amsterdam 76 (b-side di Babele – 2008)
3. un bacio falso (cover di Garbo per la raccolta “ConGarbo” – 2007)
4. thesiger (b-side di Io? – 2011)
5. jenny è pazza (cover di Vasco Rossi per la raccolta “Deviazioni” del Mucchio – 2008)
6. hotel supramonte (b-side di Babele, cover di Fabrizio De Andrè – 2008)
7. io il mio corpo e l’inconscio (demo di Io? – 2010)
8. happiness is a warm gun (live Oltre lo Specchio tour, cover dei Beatles – 2006)
9. le stelle ci cambieranno pelle (demo di Io? – 2010)
10. dina-reprise (b-side di Io? – 2011)
11. canzone d’amore e d’anarchia – eskinzo rmx (b-side di Io? – 2011)

3 maggio ROMA
4 maggio BARI
5 maggio MACERATA
6 maggio FIRENZE
12 maggio TORINO

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DOLA J. CHAPLIN: in radio con “WHAT I CARE”

Written by Senza categoria

In rotazione su oltre 400 radio italiane.
“What I Care” è il primo singolo di DOLA J. CHAPLIN.
In uscita l’atteso esordio firmato VOLUME! Records

Il viaggio. Un tema caro a DOLA J. CHAPLIN, singer songwriter che sceglie in arte un nome ricco di immagini e di storia. Un esordio di grande qualità tecnica e artistica. In rotazione radiofonica il singolo “WHAT I CARE”.
Ricco di anteprime e riscontri positivi da parte della critica il primo video teaser “Nothing To Say” brano registrato live in una vecchia cucina, tra le rovine di un antico borgo lontano dal tempo.
Prodotto da Paolo Tocco per la Protosound Polyproject, il disco sarà pubblicato per VOLUME! Records e CRAMPS Music, distribuito dalla EDEL in uscita in tutti i negozi a Maggio 2012.

WHAT I CARE è il bisogno di semplicità, il bisogno di tornare alle origini, il bisogno di sentire radici ovunque si è…oltre ogni tipo di futile ricchezza, che ci resti intatto l’amore, sempre vivo, sempre vicino…ovunque ci porti il grande viaggio della vita.

WHAT I CARE è anche la colonna sonora del Film Documentario THE LAST CAPITALIST di Enrico Bernard…

WHAT I CARE (Reprise) è anche un semplice video diffuso su YouTube…video non ufficiale su una versione acustica del brano registrata in studio per la pre-produzione del disco, interpretazione che Dola J. Chaplin ha scelto di usare come traccia di chiusura del disco.

Aspettando il disco: “To The Tremendous Road” a maggio in tutti i negozi di dischi e negli store digitali.

WHAT I CARE (Reprise) – on YouTube

NOTHING TO SAY – Video Teaser

ufficio stampa
VOLUME! Records
PROTOSOUND POLYPROJECT – www.protosound.it
L’ALTOPARLANTE – www.laltoparlante.it

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“Le interviste improbabili” Piero Pelù

Written by Interviste

M: Piero.. ma perché?

P: Un saluto a tutti i fans da Piero PAlù

M: Ma ti sei rimbambito?

P: In che senso scusa?

M: Ti dicevo.. perché?

P: Perché cosa?

M: Dai lo sai.. perché non hai continuato a suonare con Ghigo e non ti sei accontentato di vendere poche migliaia di dischi, come Federico?

P: Ma chi, quello sfigato di Fiumani?

M: O sfigato ma di che?

P: Senti bellina, quando suoni e fai dischi mica li fai per la gloria. Io volevo il successo e me lo sono preso.

M: Sì bello ma il successo ti ha dato alla testa mi sa. A una certa hai tirato fuori canzoni che nemmeno la Mussolini le avrebbe messe in repertorio

P: Ma che ne vuoi sapere tu.. che ti piace la new wave..!

M: Piero scusa ma ti vorrei ricordare che anche tu nasci come esponente della new wave Italiana anni ’80. L’hai dimenticato che a Firenze c’eravate tu, i Diaframma e i Neon?

P: E infatti si vede che fine hanno fatto gli altri.. i Neon non pubblicano un disco dal secolo scorso e Fiumani per campare scrive le poesie

M: Cosa ci sarebbe di male nello scrivere le poesie, è un artista.. LUI

P: Come sei ingenua bambolina.. l’arte non ti fa mangiare.. io con Elettromacumba ho venduto più copie che Fiumani in una vita intera

M: Vabè ho capito è inutile discutere con te. Ammetterai però che questa reunion con Ghigo è segno evidente che senza di lui non vai da nessuna parte. Scusa se sono così schietta ma da solista hai fatto ridere i polli

P: Vabè questa te la concedo. Ghigo suona la chitarra come io mi trombo le pischelle, dite così a Roma vero? Però senza il mio carisma Ghigo sarebbe nulla. E infatti si è visto cosa non ha fatto quando suonava con la brutta copia di me

M: E già perché più fighi di te non si può..

P: No bella, non si PUO’.


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Newdress – Legami di luce

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La dissolvenza wave dei Newdress approda al secondo attesissimo album, “Legami di luce”,  forti delle buone reazioni di pubblico e delle compassate atmosfere che il trio – senza spericolarsi in strategie programmatiche o sperimentali – seguitano a mantenere costantemente al freddo/caldo di una mistura pop- elettronica tutto sommata di buon calco.

Ovviamente nulla di nuovo sotto il sole, ma un disco, un’ottima ordinarietà che si presta all’ascolto, che scorre gradevolmente in una radiofonicità retrò che frequenta territori lontani di Manic Street Preachers, Depeche Mode e stanze contemporanee indie-romantic alla Editors con retrobottega sui vicoli della Firenze on the wave 90,s, Moda e Neon su tutto;  dieci tracce che rinverdiscono stagioni mai azzittite e che hanno ancora viva quella contagiosa uggiosità ballabile di notti cotonate e con le spalline gonfie “Assorta”, poi dalle rime Prèvertiane nasce “Bisogna passare il tempo” che vede la partecipazione di Andy Fluon dei Bluvertigo in un blitz di sax magnifico e Lele Battista con la voce, “Calore di fiamma”, o di quei pomeriggi nebbiosi passati a filtrare sguardi attraverso vetrine appannate da umidità e sogni storti “Al tatto nel buio”, “Splendi”, il tutto in una risonanza malinconica e pensierosa, bella nel tratteggio amaro lucente nel trasporto elettronico che dinamicizza l’intero registrato, l’intero pathos pieno di significati in penombra.

Il trio bresciano dei Newdress registra il disco in analogico e viaggia sicuro nell’impeccabilità di suoni, ricordi ed echi spleen che non si limitano a descrivere cartoline sonore color seppia, ma esternano – pur non spostando/apportando nulla di nulla sulla scena musicale –   la loro natura sognante, onirica, interiore ed eclettica ai favori di una classe stilistica egregia ed elegante, magari un po’ in ritardo sul tempo massimo, ma fiera di esserci ancora e,  cosa di non poco conto, che ancora fa la sua porca figura se tirata con il loud  a palla.

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Esquelito – Banananas

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Nome, titolo dell’album e copertina sono fondamentali.
Il biglietto da visita dell’artista, ma soprattutto la ragnatela che attrae la preda, perché anche l’occhio vuole la sua parte, anche quando si parla di qualcosa da sentire.
Ecco.
Non me ne vogliano gli Esquelito, ma ho impiegato parecchio tempo a convincermi ad ascoltare le loro cinque tracce nonostante le premesse visive non fossero promettenti (cosa starebbe a indicare questo cactus con la faccia di scheletro in copertina che suona la chitarra con davanti la celebre banana di Warhol e dei Velvet Underground? L’accozzaglia di riferimenti non mi faceva ben sperare) e soprattutto nonostante l’insieme desse l’impressione di un genere completamente diverso da ciò che in realtà il quintetto lucano propone.

Sembrava il progetto grafico, insomma, di un demo dell’ennesima band folk rock o reggae, che punta tutto sull’autoironia, ma che proprio non mi andava di ascoltare in quel momento.
E invece, per fortuna, mi sono decisa.
Un sample veramente ben registrato dal punto di vista del missaggio e del mastering, lavoro finemente realizzato dal team del Krikka Studio, ma soprattutto finalmente un demo che riesca a presentare la gamma di possibilità esplorate dagli artisti in questione senza mancare di omogeneità e compatezza: il tutto si apre con All the kids, dalle sfumature punk alleggerite dalle chitarre pulite in levare; Banananas è la traccia più particolare del cd: contiene tutto il possibile e immaginabile, da piccoli riff chitarristi, sempre diversi, brevi, schietti, a un suadente giro di basso e un cantato quasi blues nella strofa e incredibilmente pop nel ritornello, con quel “Take me back to the country” sostenuto dalle tastiere che a me ha ricordato tanto i Blur.
Rimandi un po’ pulp e un bel dialogo a brevi frammenti melodico-ritmici di basso e batteria, sono il fondamento di Chappolines, col suo testo ridotto all’osso e cantato sia da Riccardo Puntillo (voce e batteria), sia da tutta la band. Gli Esquelito infatti si distinguono proprio per questa cura delle sonorità vocali, che vanno a ispessire liriche che sovente, per la loro semplicità e brevità, rischierebbero di annoiare e risultare superficiali.

Autoironica, divertente e danzereccia è Never get out of pop: batteria in sedicesimi e aperture dinamiche piano-forte un po’ banali ma realizzate con parecchia cura. È la traccia più orecchiabile della mini raccolta, con il suo sound un po’ indie, tanto nella melodia quanto nel ritmo (Franz Ferdinand, Arctic Monkeys e un po’ Interpol per quanto riguarda la voce).
Con l’ultima traccia, effettivamente, arriva anche il folk rock: Esquelito è un inno alla libertà, alla giovinezza, alla musica (“I wanna play all day”) con tanto di cori ironicamente solenni (cantano una sillaba non-sense).
E speriamo che questi ragazzi suonino davvero a lungo perché se i risultati sono questi, hanno intrapreso la strada giusta.

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Mud – Violence against Violence

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Già dal titolo “Violence against Violence” si capisce che siamo di fronte a un disco che è un puro distillato di violenza sonora capace di deliziare gli amanti del genere hardcore.
Il primo full lenght dei Mud è davvero un capolavoro intriso di suoni aggressivi, chitarre graffianti e un cantato davvero perfetto.
Dopo la brevissima title track della durata di neanche 30 secondi, l’atmosfera inizia a diventare sempre più dura e pesante senza deludere mai l’ascoltatore.
La matrice è quella di un hardcore new school ma qualche piccolo riferimento ai gruppi della vecchia scuola è presente ogni tanto qua e là…

La NYHC è onnipresente, con i suoi stacchi che da sempre la caratterizzano ed  i tempi moshpit stile Terror o Hatebreed.
Tante le influenze e i riferimenti insomma, ma di certo per arrivare a tali livelli questi ragazzi ne hanno dovuta fare molta di strada e consideriamo anche il fatto che il disco è totalmente autoprodotto in pieno stile do it yourself nonostante la formazione abbia subito negli anni diversi cambi di lineup.
Tante anche le esperienze live maturate dal gruppo anche in supporto di bands affermate quali Browbeat, Sawthis, Straight Opposition, Raw Power, Entombed e Concrete Block.
Sicuramente siamo di fronte a un disco che a livello sonoro suona perfetto in studio, ma di certo live il suo impatto potrà essere anche maggiore, c’è da scommetterci!
Come c’è da puntare tutto anche sul fatto che questo lavoro piacerà e non deluderà anche chi è andato avanti finora a pane e Slayer.
In “Full of hate” ospite Andrea dei Vibratacore, gruppo proveniente dalla stessa regione che si sta muovendo sullo stesso versante sonoro.
C’è anche spazio per qualche citazione cinematografica con estratti dai film “Angeli Con La Faccia Sporca” (1938) e “Il Grande Lebowski” (1998).
Insomma dopo il demo del 2006 e l’ep del 2009 i Mud hanno superato a pieni voti la prova della maturità, anche se sono sicuro che quando pubblicheranno un nuovo lavoro sapranno stupirmi ancora di più!

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Serpenti il 22 Maggio il nuovo disco “Serpenti”

Written by Senza categoria

Esce finalmente il secondo album dei Serpenti:

reduci dal successo del duetto con Enrico Ruggeri su “Tenax”,

i due giovani pugliesi tornano con una serrata selezione

di splendente elettro-pop e con il nuovo singolo “Senza Dubbio”

Lo sappiamo a cosa state pensando. Un altro duo ragazzo/ragazza? Proprio così, ma non fermatevi a questo perché sarebbe un peccato focalizzarsi solamente sulla dinamica che intercorre tra Luca Serpenti (ah sì, il nome del gruppo deriva proprio da lui) e Gianclaudia Franchini, amici fin dai tempi della scuola e, rispettivamente, bassista e cantante degli Ultraviolet, pop rock band pugliese di metà anni Duemila. Terminata quell’esperienza, i due hanno deciso di focalizzarsi su un sound differente: fuori le chitarre e l’approccio rock e dentro sintetizzatori, musica elettronica, drum machines e ritmiche dance. Cosa resta del passato, dunque? Il pop, ovvero quel talento, così difficile da maneggiare, che permette di arrivare a cuore e cervello di chi ascolta in soli tre minuti, complici un ritornello killer o una melodia indimenticabile.

Il primo passo della band è un singolo, Sinuoso vortice, pubblicato nell’estate del 2008, che porta i ragazzi alla vittoria del concorso per artisti emergenti Nokia Trends Lab e alla conseguente esibizione milanese all’interno dell’evento finale al fianco di Ladytron, Calvin Harris, Shit Disco, NYPC e Bugo. All’inizio del 2009 esce finalmente l’album d’esordio, intitolato Sottoterra e prodotto dall’etichetta indipendente Godz, di proprietà dello stesso Luca. Il singolo prescelto, questa volta, è Baciami e, grazie a quest’ultimo, i Serpenti iniziano a esibirsi in una serie di concerti che li porta nei più importanti live club d’Italia fino alla vittoria del concorso MEI Web 2009. L’anno successivo è quello buono – esibizioni di spalla a nomi blasonati (The Gossip, Asian Dub Foundation, Hurts…), un paio di date negli Stati Uniti, un brano inciso assieme ai Record’s – e culmina con la firma per Universal, per cui escono due singoli “assaggio”, Io non sono normale e Uomo donna, che ora troviamo anche all’interno di questo secondo lavoro sulla lunga distanza.

Con questo disco (pubblicato anche grazie al sostegno di Puglia Sounds) i Serpenti mostrano come l’Italia sia ancora il posto giusto quando si parla di certe sonorità, come ci ricorda il patrimonio italo-disco degli anni 80, saccheggiato da dj e produttori in tutto il mondo. Ma Serpenti è anche qualcosa di nuovo nella scena italiana: Lady Gaga affidata alle cure punkelectro dei Crystal Castles, la poesia erotica di Anaïs Nin scaraventata in un beat selvaggio e irresistibile. L’amore ai tempi del mash-up. Nove brani in totale e un’apertura che mette subito in chiaro le discendenze: Tenax, qui nella versione senza la voce di Enrico Ruggeri (il pezzo è uscito anche sull’album La parola ai testimoni, in cui il rocker milanese oltre che coi nostri, duetta con gruppi come Linea 77, Marta sui Tubi, Dente, Bugo e molti altri) è un piccolo capolavoro dance pop anni Ottanta, perfetto per il sound attuale dei Serpenti. Il resto del materiale prosegue sulla stessa falsariga, mantenendo alta la tensione e senza rallentare per un attimo i beat. Io non sono normale è un tormentone perfetto per le classifiche, Tocca la mia bocca e Io, tu e noi ricordano l’elettro-pop inglese di Human League, Soft Cell, ma mantengono un appeal tutto italiano che li rende più esotici e caldi. Non aspettatevi un disco retrò, non solo almeno, perché Come il tempo e Scendo piano suonano attualissime e luccicano in attesa di un dj che le lanci. All’interno del disco c’è spazio anche per Senza dubbio – scelta come nuovo singolo in contemporanea al lancio del disco – elettro-ballad in piena regola dopo la quale la drum machine riprende il sopravvento per riportarci definitivamente sulla pista da ballo con il finale di Sei come sei. Come ci ricorda proprio Tenax, «val la pena vivere, solo dalle 11». Di sera, però…

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“Diamonds Vintage” The Clash – Give’em enough rope

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La loro prima apparizione, in quell’ afoso 29 agosto del 1976 al Punk Rock festival insieme a Sex Pistols, Siouxsie & The Banshees, e Subaway Sect e il seguente caravanserai itinerante quale fu l’ Anarchy The U.K. Tour, confermano i The Clash di Joe Strummer – che da poco avevano lasciato il nome originario Heartdrops –   l’interprete più coerente dell’anima politica del movimento punk, più del confuso anarchismo dei Pistols e dell’apatico disinteresse dei Damned; e dopo che il settimanale inglese “Sounds” definì il loro primo disco omonimo The Clash il miglior disco emergente della storia del rock, Strummer e soci – una line up sempre in continuo fermento tra nuove entrate e vecchi addii – gonfia i polmoni e sì da alla carica per approntare il mercato e il pubblico americano.

Mentre ancora gli echi degli scontri etnici  del carnevale di Notting Hill fanno parlare di sé, la band da alle stampe “Give’m enough rope” e finalmente trova un’etichetta statunitense che lo pubblica e prepara il “tour d’abbordaggio” in terra americana. Il successo è enorme, il delirio totale, ma questo disco rimarrà sempre come una cosa a parte, di transizione, poco preso in esame dalla critica generale e dalla filosofia in cancrena dei “grandi numeri”.

L’album di per sé e stupendo, magari leggermente inferiore d’impronta in rapporto al precedente, ma scritto e rinforzato da una cura d’insieme calibrata e oliatissima; ci sono due termini adatti per focalizzare questo disco, intreccio e groove; intreccio per la varietà di stili che poi faranno la fortuna della band, rock, reggae, rockabilly, rap e dub, groove per la potente necessità “di sinistra” che infervorisce le liriche e folle, e si affianca moralmente a sistemi di lotta e movimenti politici spesso anche clandestini, primi tra tutti Baader Meinhof.

Gia la cover – che raffigura una guardia rossa cinese a cavallo che guarda degli avvoltoi pasteggiare con il cadavere di cowboy americano – la dice lunga sul contenuto “altamente rosso”  del registrato, e lo schema delle canzoni non è mai statico, ma in continua tensione pur presentando degli elementi comuni che fungono da filo conduttore verso la provocazione della “rock  revolution”.

Nervoso e deferente al rock esplosivo arriva il mood Stonesiano di Drug-stabbing time, la cattiveria dei bassifondi Last gang in town, la canagliesca facciata nascosta del beat riffato Guns of the roof, dalla quale riemergono le ombre enciclopediche degli Who e Kinks; il coraggio oltraggioso della band è una baionetta puntata contro l’imperialismo e le stilettate di chitarra alla Chuck Berry in English civil war, il rullio prepotente della batteria di Headon che fanno tremare il reggae delle corde di Jones in Safe european home o il fragore in crescendo della storia  del terrorista in Tommy Gun, creano uno stato d’agitazione ribelle che scombussola e delizia palati affamati di gioia e autodeterminazione, disseta gole assetate di giustizia e uguaglianza come nell’inno punk All the young punks.

Una perla “maledetta” da riascoltare e rivalutare, un pugno diretto in bocca che quantifica l’immensa pulsione “in avanti” che questa leggendaria band perseguirà fino alla scadenza del loro “mandato di sobillazione”; purtroppo, molto “ più in là” la malasorte ci toglierà per sempre lo sguardo strafottente di Strummer, ma non la sua straordinaria idea di vita combattente.

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