Arctic Plateau – The enemy inside

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Questo disco sembra una visione notturna degli Slowdive o il canto epico rassegnato dei mangiatori di loto, dimentichi della loro vita e immersi in un apatico presente, invece è il soave decadentismo plumbeo che gira in “The enemy inside”  di Artict Plateau, moniker del musicista romano Gianluca Divirgilio, la nuova atmosfera discografica che l’artista fa scivolare negli orecchi galvanizzati di chi cerca un appiglio concreto – e a suo modo buono –  per iniziare alla grande una giornata in tema invernale, appiglio che si fa più che concreto, stupendo.
Un disco che non riuscirà – data la sua sofferenza interiore dei colori del vuoto e della mestizia – a farci vedere le stelle o qualche rappresentanza di esse, ma ci regala un diabolico collasso sensoriale ed emozionale, quel “lieve svenire” Kuntziano che sembra a tratti il principio attivo dell’estasi amarognola e disturbata Ottantina, carica di melodramma dark e del liberismo dei giorni contati della purezza shoegazer; undici piste per atterrare o decollare in quell’idea di malessere che in fondo è dentro noi tutti, connaturata nella dimensione umana, il nostro “impero interiore”, luogo dove rifugiarsi senza essere disturbati.

Ballate, schegge e ferite, radenti e amori che s’impastano in nuvole grigie che si susseguono una dietro l’altra come sipari di una commedia interiore che non ha pause, ricordi, scommesse e gole amare, una lunga poetica malata che trova conforti e tumefazioni nel rispecchiarsi di bruciature incancellabili; lo specchio di MorrisseyMusic’s like”, la dolcezza di una lacrima DrakeanaIdiot adult”, lontani echi di Phil CollinsAbuse”, “Wrong”, il pathos di una foschia folle condivisa con Carmelo Orlando (Novembre) nella disperazione urlata “The enemy inside”, l’eleganza in ballata di un Brian Ferry che danza in “Loss and love” in cui partecipa con la voce anche Fursy Teyssler (Les Discrets),  sono i sintomi complessi e belli di questa rabbia muta ed urlata, di questa ossessione fragile e corposa che è buio e luce senza fine, ossessione che vi sarà trasmessa con lo skippare all’indietro per ritornare sui luoghi del delitto d’ascolto della singola traccia  e dalla quale nulla potrete fare.
Artict Plateau, la levità dei sistemi emotivi.     

Last modified: 27 Febbraio 2012

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