Sotto un velo di decadente romanticismo, l’album di esordio della band di stanza a New York rivela un mondo colmo di pathos, tensione e dissonanza.
[17.10.2025 | Good English | post-hardcore, slowcore, noise rock]
Cosa potranno mai avere in comune bloodsports e Danilo Gallinari? Apparentemente meno di nulla, eppure non è così, perché sia il giovane quartetto protagonista di questo articolo che l’ormai ex cestista della Nazionale italiana hanno avuto Denver e New York come tappe principali lungo i rispettivi cammini (anche se a percorsi invertiti, ma questo conta relativamente).
Fatta questa premessa utile solo a riaffermare che il basket è lo sport di squadra migliore al mondo, arriviamo al dunque: dopo lo stuzzicante EP di debutto del 2023 (di cui avevo avuto modo di scrivere qui), i Nostri hanno pensato bene di lasciare il Colorado alla volta della Grande Mela, in cerca della ribalta che evidentemente sentivano di meritare tutta (spoiler: avevano ragione da vendere).
E, se l’eponimo EP aveva messo in mostra un potenziale intrigante ma altrettanto acerbo, Anything Can Be a Hammer proietta i bloodsports immediatamente nel novero delle band emergenti da sciorinare in maniera tronfia e convinta quando ci si ritrova in una conversazione sullo stato attuale della musica internazionale e l’interlocutore pensa che oggigiorno non ci sia pressoché nulla da salvare (beato lui, o lei, o chicchessia).

Dissonanze taglienti e nobili sentimenti.
L’urgenza degli esordi a metà tra post-hardcore e slowcore viene qui incanalata in un suono più corale e maturo. La band ha evidentemente sfruttato questi due anni per ampliare il proprio ventaglio sonoro, divenendo un’entità compiuta a tutti gli effetti: il risultato è un disco che fa della coesione e della solidità i propri punti di forza, il che è sorprendente se si pensa che si è comunque al cospetto di un debutto assoluto su lunga distanza.
Il pezzo più indicato per intercettare la maturazione di cui sopra è probabilmente Rot, che nei suoi cinque minuti abbondanti riesce a condensare mirabilmente tutte le velleità sonore del quartetto ora di stanza a Brooklyn. Un brano umbratile e cangiante, in cui strofe dall’incedere elefantiaco lasciano il passo a un ritornello decisamente orecchiabile – oltre che piuttosto poetico, “I am not the ocean you seek” è una frase che al suo interno racchiude un mondo intero e che mi tatuerei oggi stesso – per poi detonare in una coda sonora che destruttura noise e post-rock come i migliori Sprain.
In questo mare magnum di dissonanza, c’è però spazio anche per i nobili sentimenti. Rosary – l’unica canzone d’amore presente nel disco, per ammissione dello stesso cantante/chitarrista Sam Murphy – fa saltare più di un battito con delle strofe drammaticamente sospese e pensieri ad alta voce che graffiano come spine (“I thought about that thing that made you laugh one time”). Del resto, chi l’ha detto che l’amore non può essere anche distorto, dissonante e decadente?
L’eterno ritorno del noise.
L’intermezzo ovattato di A River Runs Through It ha il preciso scopo di calmare le acque in vista della piena finale. La title track conclusiva è infatti una debordante tirata post-hardcore dal pathos insostenibile, un pezzo ossessivo e opprimente che nei suoi momenti più urgenti sfocia in un harsh noise degno di un incubo sonoro ad occhi aperti.
Alla fine restano solo le macerie del suono solido e coeso decantato in apertura, ma, se è vero che “time is a flat circle” (sapevo che prima o poi in un mio pezzo avrei avrei finito per citare Rust Cohle da True Detective, chiedo venia), è proprio qui che il noise compie la propria perfetta rivoluzione astronomica. Dal tutto al nulla e viceversa.
Può una mezz’ora scarsa essere sufficiente a nobilitare una vita intera? Probabilmente no, ma è in questo breve lasso di tempo che i bloodsports hanno gettato le basi per far sì che da qui in avanti si parli di loro in maniera sempre più capillare. E, se anche questo non dovesse accadere, teniamoci comunque stretto un album che riesce ad esprimere una tale tensione sonora ed emotiva senza mai risultare pesante o ridondante: già di per sé è merce rara, figuriamoci per una band all’esordio.
Anything Can Be a Hammer. Anything, va bene, ma questo disco molto più e molto meglio di tante altre cose.
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Last modified: 26 Ottobre 2025




