Top 5 di Marco Lavagno

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Premetto che sono un grande fan di Nick Hornby, e di conseguenza proprio come Rob Flemmings (il protagonista del suo best seller “Alta Fedeltà”) un fanatico di classifiche.

Ma la classifica è soggettività. Il nostro cervello sforna sempre classifiche. Ditemi che non avete mai fatto una classifica sulle ragazze più gnocche del liceo, oppure sui giocatori di calcio più forti mentre appiccicavate le figurine Panini, oppure la top 5 dei Cavalieri dello Zodiaco, oppure sulle migliori boy band in circolazione (sono old school e ho sempre preferito i Take That se non addirittura i Jackson 5).

Bene io che ho fatto tutto questo posso anche permettermi il lusso e lo sfizio di stilare la classifica di quelli che per me sono i migliori album “stranieri” del 2011.

Qui non troverete chicche e neanche gruppi che in questi casi fa figo nominare (odio i Radiohead e mi irrita che ogni santo anno siano sempre nelle classifiche delle riviste più quotate), semplicemente troverete 5 dischi che un ascoltatore di musica pop (per altro principalmente mainstream) pensa di poter far girare ancora nel suo stereo negli anni a venire. Spero fortemente di essermi sbagliato e trovare in futuro qualche chicca targata 2011, che in questo anno frenetico mi è sfuggita dalla mani.

 

SOCIAL DISTORTION – HARD TIMES AND NURSERY RHYMES

 

Non si puo’ dire che Mike Ness sia un personaggio che abbia rivoluzionato il mondo del rock, non lo è mai stato e molto probabilmente lo sa benissimo. In più nessuno oserebbe dire che possiede la poetica dialettica di Bob Dylan ma neanche quella di Eddy Vedder. E nessuno avrebbe potuto mai immaginare che dopo 20 anni di carriera un macho tutto bicipiti e tatuaggi sfornasse uno dei miglior dischi punk rock sotto il marchio (ormai tutto suo) di Social Distortion.

Di distorsione ormai non c’è più molto, solo una sfumatura che orbita intorno a melodie (sia nella voce che negli assoli di chitarra) dalla disarmante semplicità.

Questo disco non ha pezzi memorabili, non ha idee innovative, non influenza generazioni (il caro Mike ha ormai 50 anni!) e il bello è che suona talmente onesto da non avere nessuna pretesa di essere tutto ciò.

 

Miglior brano: “Machine Gun Blues” – muscolosa e maschia. Ti viene da affittare una vecchia cabrio anni 50 solo per girare in centro città a fare il bullo.

 

KASABIAN – VELOCIRAPTOR!

 

L’album dell’anno era loro. Ce l’avevano in mano, si diceva fosse il loro capolavoro, super elaborato e sperimentale, il loro “Ok Computer”. Ebbene ho sperato che non fosse così fino alla data della sua pubblicazione.

Perché a me piacciono i Kasabian vecchio stile, quelli tamarri, quelli che ti fanno sentire ad un rave party quando attaccano con il riff di “Underdog”, quelli che mi sanno di Led Zeppelin con il loro appeal anni 70 e quelli arroganti e strafottenti come lo erano i fratelli Gallagher. Sinceramentene nei panni di sfiniti indie stanchi, solo perché fa figo esserlo, non me li vedevo proprio. E per fortuna dal primo ascolto del nuovo disco ho capito che i Kasabian non sono e non vogliono essere i nuovi Radiohead, per nulla.

La tendenza alle ritmiche rilassate si sente in alcuni episodi di “Velociraptor!” ma anche negli episodi più “stanchi” si sente il grido della band. L’energia sprigionata da un carnivoro assetato di rock‘n’roll, quello puro che se ne fotte di fare la hit del momento e il punto esclamativo del disco sottolinea questa presa di posizione.

Forse la stampa e la stessa band hanno pompato troppo un disco fin troppo perfettino, curato e arrangiato con maestria da Sergio Pizzorno e compagni. Un carnivoro violento e bastardo ma tenuto un poco al guinzaglio.

 

Miglior brano: “Goodbye Kiss” – mielosa e disperata, sradicata via da un crooner americano del dopo guerra e strapazzata nel frenetico sound puzzolente delle factories inglesi

 

ADELE – 21

 

Mi sapeva di fenomeno da baraccone questa giovanissima ragazzina cicciottella. Il solito prodotto sfornato da una major: voce spaziale come entrée, faccino simpatico come main course e canzonette usa e getta di contorno.

Ma quanto mi piace sbagliarmi in questi casi: quando il pop da classifica è di qualità, e questo disco è incredibilmente magnifico!

La voce oltre ad avere la tecnica richiesta ha personalità, potenza e grande espressione e per non parlare delle canzoni: forse poche volte nella storia della musica si sono mescolati così bene pop e la vera soul music, quella del periodo d’oro dell’Atlantic per intenderci. Ci sono il ruffianismo delle melodie da alta classifica e c’è l’aggressività che sposa la classe, attributi che appartinevano solo a certe pantere del passato come Aretha e Tina Turner.

L’ombra della povera Amy Whinehouse (soprattutto nell’anno della sua morte) è sempre in agguato, pronto ad aggredire, ma Adele lo dribbla alla grande e ha il carisma e l’intelligenza per piazzare tantissime altre hit negli anni.

 

Miglior brano: “Rumor Has It” – così soffice la sua voce e così indiavolato il drumming che prepotente la accompagna, la ragazza è più cattiva di quanto possa sembrare il suo paffuto faccino.

 

FOO FIGHTERS – WASTING LIGHTS

 

Grandissima rock band che non è mai riuscita a tirar fuori un disco degno del suo nome. Quest’anno hanno sfatato il mito!

Dave Grohl, caso unico nel music business (come si è riciclato lui nessuno mai), prende per mano una band sull’orlo della crisi e rispolvera muscoli tonici come il marmo di un rock durissimo, offensivo e altamente ispirato.

Meno “power-pop” e più chitarra, meno video per MTV e più urla forsennate. La formula è vincente!

La band suona alla perfezione, senza perdere quel suo storico equilibrio tra humor e violenza. Propone tre chitarre e una ritmica a dir poco cafona, tanto che pare aver registrato questo album davanti a 50.000 persone festanti.

Questo è un disco “all’antica”, sa di live e di sudore. Di quelli da sentire ad alto volume. E gli antichi dei del rock, imprigionati in fitte ragnatele ringraziano e si danno una bella spolverata.

 

Miglior brano: “I Should Have Known” – finalmente Grohl guarda indietro, in faccia ai fantasmi. Ospita Kris Novoselic che impone un basso distortissimo in questo grido al cielo, verso l’amico Kurt.

 

NOEL GALLAGHER’S HIGH FLYIN BIRDS

 

Il 2011 è stato anche l’anno del braccio di ferro tra Liam e Noel. Prima Liam coi Beady Eye e tante maligne parole, poi Noel con questo disco solista nascosto da criptici uccelli che ambiscono ad alte quote. E le quote Noel, a differenza dell’arruffato e sconclusionato collage proposto fratello, le alte quote le raggiunge in pieno.

Con calma e meditando, in sella a un airone che aleggia leggero e rilassato: pochi colpi di ali ben assestati e si arriva in vetta.

Prende pezzi vecchi, scarti degli Oasis e qualche nuova canzonetta. Frulla tutto insieme ai migliori dischi di Beatles, Stone Roses e Primal Scream e il beverone suona fresco e piacione.

Lo sappiamo: Noel non è un genio, ma è ancora sua la cattedra del corso “come scrivere la canzone pop perfetta” e dimostra di avere ancora molto da insegnare. Anche a suo fratello.

 

Miglior brano: “AKA…What A Life” – ritmiche insistenti su cui la voce di Noel si scaglia, come onde morbide su duri scogli.

Last modified: 27 Dicembre 2011

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