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Milkshake 103 – What Comes Next

Written by Recensioni

“Che bravi.”
Anonimo emo
“Se loro sono punk, io sono jazz.”
Anonimo punk
“Ma che ooooooooooooooh!”
Germano Mosconi
“Vero old school punk.”
Poser
 
(cit. Nonciclopedia sui Blink 182)

 

L’unica cosa ben fatta di questo What Comes Next dei cinque di Pontevico (settemila abitanti, nei pressi di Brescia) è la scelta dell’artwork che punta sulle multicolori pinzette per i vestiti da stendere al sole. Mette allegria, non c’è dubbio. Potrei troncare qui, penso di essere stato chiaro su quanto abbia apprezzato il loro lavoro. Qualche altra frase posso dirvela però.
La storia dei Milkshake 103 incomincia nel 2001, proprio nel paesino lombardo dove, il tredici gennaio dello stesso anno, fu smascherato il primo caso di encefalopatia spongiforme bovina sull’animale numero 103. Dalla “mucca pazza” alla scelta “originale” del nome il passo è brevissimo. Oltretutto l’opzione di termine english e numero diventa anche il pretesto per prendere spudoratamente spunto da una band di coglioni che fa finta di essere punk, distruggendo ormai da anni, anche all’inferno (terreno e non), la vita di Joey Ramone, Sid Vicious e Joe Strummer. Mi fa schifo anche nominarveli, ma devo. Blink 182. Se i Green Day sono la colica renale del Punk, i Blink sono Aids. Ovviamente, facendo musica Pop e spacciandosi per alternativi, molti giovani ci cascano (spesso sono gli stessi che poi vanno al concerto di Cesare Cremonini) ed è anche il caso dei nostri Milkshake 103. Almeno dovrebbe esserlo. Perché c’è anche peggio dell’Aids.
Undici anni dopo quel fatidico giorno, Andrea Pirazzoli (voce, chitarra), Luca Gennari (voce, synth), Angelo Nava (basso) Mirco Posenato (chitarra) e Davide Gennari (batteria) scelgono di estremizzare e mettere in luce, invece che sottintendere, come nel caso dei sopracitati, l’animo Pop di band di questo tipo. Scelgono ritmi e armonie semplici, il meno possibile disturbanti, si fanno la fotina da nerd un po’ Weezer (Buddy Holly) e cercano di accaparrarsi quel pubblico di adolescenti che si rispecchiano negli sfigati alla riscossa tipici dei college movie estivi statunitensi (avete presente quei film, dove c’è il perdente intelligente innamorato della ragazza pon pon, fidanzata col quarterback, che alla fine diventa una storia d’amore?).
Già dal primo giro di basso e chitarra di “Without Your Smile” l’influenza degli innominabili è palese e si sente anche una certa vena Flower Punk, ormai ricordo di tanti anni fa. La melodia è discreta, niente di eccezionale ma almeno non è cacofonica o, al contrario, melensa e quindi disturbante. Con “Our Simple Life” entra risolutamente in scena il synth, nel tentativo di attualizzare un sound che davvero non ha più niente da dire. Il suono non ci guadagna granché e soffre anche per la scarsa vene inventiva dei componenti e per la voce, a tratti strozzata e sofferente. Il terzo brano “Epicuro Dice” è il primo della coppia cantata in italiano. Ancora una volta il synth prova a dare corpo alla musica ma la melodia è assolutamente antipatica. La lingua tricolore diventa un’arma a doppio taglio che si rivolge contro gli stessi. Oltre a suonare male nell’insieme con la parte strumentale, parla anche come un inutile testo da bimbominkia.
La situazione è critica.
“My Music” cerca di dare una sferzata Indie Pop-Rock al disco ma ogni tentativo di variazione sul tema è comunque un superfluo ripetersi, l’inutile sforzo vitale di un’animale morente. Anche nella parte introduttiva di “Maybe Will Be Yes” lo impegno è volto a distaccarsi dal finto punk di cui sopra, o quantomeno di non somigliargli troppo. Finisce invece per strimpellare come un pezzo brutto e lento dei Meganoidi (dopo i trenta secondi) ma già dieci attimi dopo, soprattutto col cambio di tonalità vocale, si torna a scimmiottare Mark Hoppus e soci. “Trattenere Il Fiato” è, ovviamente, l’altro, inutile, brano in lingua madre mentre “Goodbye”, per un attimo, ci illude che il quintetto lombardo abbia deciso di mettersi a suonare sul serio. Mera utopia. L’album si chiude con “Still Again”, traducete il titolo e pregate per un no.
È finita. Rilassatevi.
Ripeto un concetto.
Già copiare una band come i Blink UaneitiTU! significa farsi del male e volere male a un genere che io invece amo e desidererei fosse maggiormente rispettato. Riuscire anche a fare peggio di loro non era facile, specie quando si parla di giovani ovviamente vogliosi di suonare ed esprimersi.
I Milkshake 103 invece riescono non solo a copiare e imitare il loro agnello d’oro. Riescono a fare musica in maniera scialba, mettendoci ancora meno carica. Riescono a eseguire i loro pezzi come un insieme di strumenti e non come una sola anima. Riescono a essere ripetitivi anche in relazione a loro stessi, tant’è che in alcuni brani paiono auto plagiarsi. E riescono anche a non trovare alcuna melodia orecchiabile e accattivante che possa infilarsi nella mente dei ragazzini, cosa che invece ai Blink è riuscita bene, in più di una circostanza. Mi dispiace essere duro, ma questa cosa non mi piace e credo che possa deliziare veramente pochi. Già ci stanno sulle palle i Blink, ci mancavano i cloni sintetici.

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