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Le Classifiche del 2015 di Silvio “Don” Pizzica

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Streetambula Music Festival 2015

Written by Live Report

Streetambula festeggia tre anni di vita con una splendida metamorfosi. Nata nel cuore dell’Abruzzo con l’intento di promuovere progetti musicali emergenti e fornire un’alternativa alle tendenze che affliggono l’entertainment della provincia italiana a base di pub e balli latino americani, l’associazione con sede a Pratola Peligna si occupa da sempre di creare contatti tra band e gestori dei locali in zona. L’appuntamento fisso di fine agosto, un contest in cui si fronteggiavano otto formazioni provenienti da tutta Italia, diventa quest’anno una rassegna, in cui alle band emergenti si aggiunge un nome ormai tutt’altro che sconosciuto, i romani Thegiornalisti.
Cambia la foggia ma non le intenzioni. Senza lo stress della competizione e con una garanzia di visibilità data dalla presenza degli headliner, Streetambula continua ad essere una realtà pensata per poter offrire un’opportunità ai talenti nascosti tra le pieghe del mondo indipendente.
Il fatto che Rockambula Webzine sia intimamente connessa a Streetambula viaggia di pari passo con morbosità con cui la sottoscritta si impegna a presenziare alle grandi kermesse musicali internazionali. Se l’evento messo in piedi da Streetambula avanza la pretesa di chiamarsi festival, nonostante il mio coinvolgimento, pratico e sentimentale, sarà inevitabile confrontarlo con altri ben più noti e consolidati, di certo con le dovute proporzioni tra i metri di giudizio.

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Thegiornalisti | photo credits: Alessandro Baroni

Gli aspetti che distinguono una rassegna musicale da un semplice concerto dal vivo sono pochi ma essenziali: un luogo gradevole in cui intrattenersi a trascorrere l’intera giornata e poter assistere alle performance non necessariamente stipati sotto a un palco, uno o più artisti collaudati che invoglino il pubblico a prender parte, varietà nella proposta musicale collaterale che predisponga alle sorprese.
Il grande palco allestito in Piazza Garibaldi crea l’atmosfera giusta. Stand per cibo, alcolici e merchandise fronteggiano lo stage. Gli appassionati si palesano sin dalle prime ore del pomeriggio, per non perdersi neanche i sound-check. Quando il sole tramonta la piazza è già piena, tra i supporter delle band, i musicisti locali, le groupie di Tommaso Paradiso e i curiosi laici di ogni età.
Una scaletta rigorosamente studiata per ovviare ai classici problemi di orario con cui bisogna fare i conti quando la location è un centro storico viene stravolta in tempi record. Il lungo check dei Thegiornalisti sposta l’inizio delle performance, previsto per le 17.30, di quasi un paio d’ore. Gli ospiti d’onore si defilano poco dopo aver sbrigato le incombenze tecniche per ricomparire in piazza soltanto in tarda serata. Il dispiacere per l’assenza dei romani durante le performance dei sei gruppi che si esibiranno prima di loro diventerà vero e proprio disappunto quando scopriremo che anche a Streetambula avverrà ciò che spesso accade nei festival di ben altre dimensioni: nel corso di una serata all’insegna della qualità musicale la nota dolente finiranno per essere i nomi scritti in alto sul cartellone.

Rock in quantità e in molteplici declinazioni, dall’old school alla psichedelia, con un filo conduttore a base di New Wave a cui molte delle band che si succedono sul palco si dimostrano devote. Il risultato è una serata senza cali di tensione sostanziali, nonostante i minuti tagliati a ognuna di loro per ovviare al ritardo con cui viaggia il programma.

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The Last Project | photo credits: Alessandro Baroni

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Cento | photo credits: Paolo Antomarchi

Aperitivo a base di Alt Rock con The Last Project, formazione pavese che sfodera un sound decisamente internazionale con cantato in lingua inglese. In procinto di pubblicare un nuovo lavoro in studio, i quattro non sfuggono alle tentazioni del Pop, creando un piacevole impasto e buone premesse per l’intera serata. Segue la performance dei Cento che suona in perfetta linea con i colleghi. Altro quartetto, direttamente da Firenze, freschi di esordio, sfoderano percussioni decise e una propensione al Metal ma senza mai calcare troppo la mano. Giocano in casa gli A L’Aube Fluorescent, capitanati da Jacopo Santilli, voce e chitarra di una formazione incline alle trame sonore avvolgenti e raffinate. In versione live il timbro femmineo di Jacopo incide significativamente nel creare uno show energico e seducente. Concludono la scaletta ospitando sul palco Dr.Quentin, vecchia conoscenza di Streetambula Music Contest, che con la consueta disinvoltura coinvolge tutti i presenti.

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A l’aube fluorescente | photo credits: Paolo Antomarchi

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The Old School | photo credits: Paolo Antomarchi

Altri veterani a Streetambula, The Old School tornano con una line-up nuova e la consueta formula a base di Classic Rock, forse troppo cauta per una serata che è già decollata. Con i teramani I.Muri si torna al cantato in lingua madre, su un sound che deve molto all’Alternative italiana di fine anni 90 e che scivola spesso (e volentieri) in territori Psych. Menzione d’onore ai We Are Waves, torinesi con un paio di dischi all’attivo e la devozione per Robert Smith e soci, dichiarata esplicitamente con una cover di “A Forest” incastonata alla perfezione tra i brani del repertorio.

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I.Muri | photo credits: Alessandro Baroni

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We Are Waves | photo credits: Alessandro Baroni

Manca poco all’una di notte quando il Thefurgone torna in Piazza Garibaldi. I Thegiornalisti sono quel che ci vuole per chiudere l’estate, col loro Pop dal sapore demodè che ci ha scaldati a suon di tormentoni. Col tasso alcolico ormai raggiunto saltelliamo allegramente e accogliamo Tommaso Paradiso in un abbraccio collettivo quando scende dal palco per cantare “Promiscuità” in mezzo al pubblico come un novello Matt Berninger (parecchie tette sudate in circolazione, e scommetto anche più di una mano sul culo). Il repertorio fa presa anche sui più insospettabili, i profani apprezzano visibilmente, le orecchie più esigenti restano un po’ perplesse davanti a un massiccio utilizzo di basi ma partecipano ugualmente alla festa.

L’edizione si chiude con visibile soddisfazione di pubblico e organizzazione, ma con una punta di amaro in bocca davanti alla scarsa partecipazione degli special guests, sul palco, durante la serata, sul web. La loro presenza alle esibizioni che li hanno preceduti, se non scontata, era quantomeno auspicabile, in primis dai giovani colleghi ai primi passi di quello che è stato in fondo il loro stesso percorso. C’è da dire che una giovane realtà come Streetambula, che vive di passaparola e condivisione, avrebbe beneficiato notevolmente di una menzione sui social network della band romana, che nonostante l’assiduità nel pubblicare notizie in diretta dai palchi di tutta Italia ha saltato a piè pari la data di Pratola Peligna.
Nonostante tutto, il rodaggio è fatto. Aspettatevi grandi cose dalla nuova Streetambula.

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Thegiornalisti | photo credits: Alessandro Baroni

 

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La Band della Settimana: We Are Waves

Written by Novità

I We Are Waves sono un gruppo italiano, originario di Torino, di musica New Wave contaminata da elettronica moderna. Il gruppo è composto da Fabio Viassone, Cesare Corso, Fabio Menegatti e Francesco Pezzali. Esordiscono con un EP di 4 brani nel febbraio 2012. Dopo un periodo fitto di date live, il gruppo pubblica nel 2014 il primo album, Labile, diffuso dall’etichetta Memorial Records. Il disco viene ottimamente accolto da pubblico e critica, che in poco più di un anno annovera i WAW tra le “migliori band di genere in Italia” (Rockit). Nell’arco del 2014 intraprendono un lungo tour italiano. Nell’Ottobre dello stesso anno iniziano le lavorazioni ai pezzi del secondo album, “Promises“, pubblicato dall’etichetta valdostana Meatbeat Records a Maggio 2015. Tra le influenze più importanti vi sono molte band new wave attive negli anni ’80 come The Cure (cui hanno dedicato una personale rivisitazione del classico “A Forest” nel loro disco d’esordio), Joy Division, Sisters Of Mercy, Tears For Fears. Ma anche il wave-rock moderno di White Lies ed Editors, e soprattutto l’elettronica di stampo synth-rave di Nero, Vitalic, Gesaffelstein, The Toxic Avenger. Le atmosfere e i testi dei We Are Waves sono frammenti di quotidianità riverberati in una cornice introspettiva, dove malinconia e fragilità si alternano a un senso di determinazione e consapevolezza, in un continuo gioco di chiaroscuri. In quest’ottica “Promises” è il rito di iniziazione a una nuova fase della vita, là dove Labile ha rappresentato la catarsi da una serie di demoni personali.

 

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We Are Waves 20/06/2015

Written by Live Report

We Are Waves @ Blah Blah, Torino, 20/06/2015

Breve e doverosa premessa: il mio primissimo incontro con i We Are Waves non avviene durante un live con tutta la band al completo, ma durante una festa di quartiere (quartiere Vanchiglia, Torino), in un negozio di dischi (Gravity Records) dedicato alle etichette indipendenti, dove la band ha suonato in formazione di electro-set che vedeva rispettivamente il cantante Fabio Viassone e Cesare Corso, alle prese con chitarra e sintetizzatori. Da quel primo casuale incontro, intuisco che la musica che stavo ascoltando era qualcosa di speciale; lo capisco dal fatto che mi ritrovo improvvisamente a sorridere, e comincio a sentire dentro una sensazione rassicurante, del tipo “Eccoti qua finalmente, ti stavo cercando”. La questione andava comunque approfondita, mica ci si può fermare alle prime impressioni. Compro Promises, quando torno a casa me lo sparo nelle orecchie, ed è stato come averli là, tutti: The CureJoy Division e tanti, tanti altri, tutti a dare il proprio contributo a quel disco dai toni così decadenti ed attaccati alla tradizione New Wave, ma che allo stesso tempo suonava moderno, influenzato di certo dalla tradizione elettronica torinese, e non un disco-fantoccio dalle finalità esclusivamente evocative. Il mio desiderio è quello di poterli riascoltare a breve, e l’occasione si presenta in fretta per il release party di Promises al Blah Blah di Torino. Fine della premessa.

Mentre Torino si prepara alla visita del Papa a botta di maxischermi e transenne lungo tutta via Po, il Blah Blah si prepara al live della serata sfoderando i propri santi protettori; ecco comparire sull’amplificatore l’effige di un altro famoso papa, “Papa Morrisey”, giusto per rendere chiara a tutti la religione che si segue in certi luogo di culto. Dopo più di un anno i We Are Waves tornano a suonare nella propria città con un concerto questa volta che vede la band al completo, nella formazione di Fabio Viassone alla voce e chitarra, Cesare Corso ai sintetizzatori, Fabio Menegatti al basso e  Francesco Pezzali alla batteria.

Il pubblico è di certo quello bello ed affettuoso di chi gioca in casa, ricco degli amici di una vita che vengono a festeggiare un nuovo traguardo, ma non solo; sono tanti i curiosi ed amanti della musica accorsi per sentire dal vivo quello che in digitale li ha tanto entusiasmati. Il risultato? Il Blah Blah è stracolmo di gente.  E Promises è un album che merita tutto questo affetto. Lo percepiscono maggiormente le anime inquiete, per le quali questo disco è come una goccia nel mare sconfinato delle proprie solitudini, e che nella sua versione live, grazie ai suoni ed alla voce intrisi di malinconia, riesce ancora di più ad arrivare in quei luoghi carichi di ferite, ed alleviare quel dolore che solo nella musica, certa musica, può trovare ristoro. Promises viene suonato quasi per intero, mentre gli ultimi pezzi sono quelli di Labile, disco del 2014.

A concerto finito la sensazione è bellissima, e se qualcuno venisse oggi a chiedermi: “Fanno musica New Wave, un genere che ha visto i suoi anni migliori all’incirca 30 anni fa. C’era davvero bisogno di un gruppo così?”. La mia risposta sarebbe: “Si. Ce n’era un disperato bisogno”.

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We Are Waves – Promises

Written by Recensioni

Arrivato sul mercato da quasi due mesi per l’etichetta valdostana MeatBeat Records, Promises (secondo album della band dopo Labile del 2014, uscito per Memorial Records) è un disco che fa sperare parecchio pur mettendo subito in chiaro un legame col passato consistente sia sotto l’aspetto estetico e formale, sia sostanziale e che tocca tanto la parte lirica quanto quella strumentale. Un’affinità con gli anni Ottanta che si nota presto non solo dall’ascolto delle prime note dell’album ma anche con la lettura dei titoli stessi dei brani (l’orwelliana “1982” su tutte) e nella bellissima immagine di copertina che ritrae dei ragazzini con gli sguardi tesi a narrare la storia di due fratelli di cui il maggiore, cresciuto inevitabilmente troppo in fretta, si trova a dover proteggere il più piccolo dalle sue paure. Diventare adulto non è una scelta e forse non lo è neanche il mantenere un legame con le proprie radici. Questa sembra la chiave di lettura principale di Promises, album in grado di evocare gli Ottanta ormai lontanissimi nel tempo, celebrandoli nella loro avvenenza e non nelle trashate da amarcord televisivo ma nello stesso istante capace di andare oltre, avvolgersi alle contaminazioni del presente, provando a smascherare un futuro prossimo che conservi comunque intatta l’anima rock decadente dei protagonisti.

Undici tracce che smascherano e infondono tutte le emozioni incontrate in qualsiasi processo di crescita, siano esse il tormento per l’inconsapevolezza del domani, la depressione di chi sa che andare avanti significa inevitabilmente abbandonare qualcosa di sé e del mondo che ha amato, ma anche la risolutezza di chi è convinto di poter raggiungere i propri obiettivi e con essi una felicità dalla forma sconosciuta. Pur giungendo da un mondo non certo famigerato per la sua ilarità, Promises non è dunque un lavoro prettamente disilluso e non lo è tanto nei testi, quanto nelle melodie, nonostante tutto, dai suoni scelti, alla timbrica di Fabio Viassone, lascino supporre il contrario.

Le promesse di questo bellissimo disco, di questa più che promettente formazione torinese, prendono spunto dagli Ottanta di The Cure, Joy Division, Sister of Mercy, Tears for Fears tendenzialmente seguendo lo stesso solco di un’altra band molto interessante, i Christine Plays Viola, ma rilevando di queste radici, non tanto gli aspetti Dark quanto quelli Post Punk e Synth Wave e quindi finendo per mettersi sulla ruota dei capiscuola del revival, se non tanto The National e Interpol, troppo Indie Rock al confronto, piuttosto Editors, White Lies ma anche The Prids e Les Savy Fav, finendo, in più di una circostanza, per buttarci giù dalla sedia, costretti a muovere il culo sotto ritmiche da disco eighties.

Se per molti i Soviet Soviet non hanno rivali in Italia nel genere, siamo pronti a scommettere che non passerà molto tempo prima che i pesaresi dovranno avere a che fare con questi We Are Waves.

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