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Il gusto dei trent’anni || Intervista a Francesco Motta

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Del promo tour de La Fine dei Vent’Anni, disco di esordio di Francesco Motta uscito per Woodworm Label a marzo scorso, quello di questa sera a L’Aquila sarà il quinto live a cui assisterò. Dopo averlo osservato calcare i palchi più disparati, posso dire con cognizione di causa che tra le qualità di questo cantautore senza dubbio c’è anche la genuinità.

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L’Introverso – Una Primavera

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Il panorama Alternative milanese mi sembra sempre tendenzialmente legato a una tradizione compositiva che rende omaggio un po’ troppo agli zietti Afterhours. Il lavoro de L’Introverso, invece, prodotto da Davide Autelitano dei Ministri, se ne discosta particolarmente, collocandosi più in uno scenario Indie-Pop, più Pop che Indie.
Una Primavera si apre con il bell’arpeggio di “Tutto il Tempo”, che subito tradisce una certa attenzione al testo letterario, sensazione confermata nella successiva “Manie di Grandezza”. La formazione orchestra in maniera molto dettagliata e curata, ma forse ben poco personale: l’impressione è di stare ascoltando un Pop scanzonato alla Velvet, con sopra dei testi alla Mambassa (magari!). I temi sono quelli cari a tutto un certo Indie nostrano: precariato (economico, sociale, affettivo, individuale) e amore come barlume fugace ed effimero di salvezza e rifugio. “Il Rifugio”, “Stomaco” e “Uguali” sviscerano queste tematiche dimostrando che la lezione di Ministri, Zen Circus e Management del Dolore Post-Operatorio è stata imparata alla grande, almeno per ciò che riguarda la stesura delle liriche.
E va bene, stiamo parlando comunque di band che hanno saputo emergere e affermarsi con prepotenza, forti delle proprie competenze e bravure, ma io mi aspetto sempre qualcosa di nuovo, anche una piccolissima personalizzazione di un prodotto diverso. Altrimenti non ne vedo il senso.
Pregevole è la frase Mi invecchia di due anni/E mi rende un immaturo presente nel brano “Prima o Poi”, così come mi piace particolarmente l’uso del riff di chitarra in “Solo Questa Notte”, più un ritornello che una mera linea orizzontale.”Ti Odierai” e “Mi Rialzo”, nel bilancio del disco, sono brani che passano praticamente inascoltati, a parte qualche drizzar d’orecchie nel ritornello e niente di più. Diversa è la questione “Estranea”, forse il brano più bello di tutto il disco: una freschezza alla “Bianca” degli Afterhours, di cui ricorda giusto il mood e poco di più con le sue melodie ariose alla Tiromancino. E il disco chiude davvero in bellezza con la title-track, “Una Primavera”, ben elaborato sotto ogni punto di vista, finalmente caratterizzato da uno slancio vero e personale, forse l’unico di tutto il disco.
E così mi ritrovo a pensare di nuovo, dopo non so più quanti anni in Rockambula, che forse alle volte bisognerebbe sacrificare qualche brano e concedersi il privilegio di fare un bell’EP piuttosto che un brutto disco.

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Fucina 28 – La Pace Dei Sensi – Il Nulla

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Come scritto nella loro biografia, il progetto Fucina 28 nasce tra le mura di una casa, tra le piacevoli emozioni che solo una cena tra amici sa donare. Era il Novembre 2011 e quasi quattro anni dopo ritroviamo il gruppo pisano reduce da tour in giro per l’Italia e un primo album E’ Arrivato Il Tempo, accolto positivamente da critica e pubblico. Le otto tracce de La Pace Dei Sensi – Il Nulla, continuano a solcare l’onda sporca e abrasiva del precedente lavoro, senza nessun tipo di ammorbidimento. Sicuramente la scelta di una registrazione in presa diretta non avrà giovato in questo senso. La voce di Pietro Giamattei, mente e anima della band, ci introduce alla malinconica “La Guerra Dei Trent’Anni”, mentre con “Nel Paese Di Pinocchio”, il quartetto raccoglie i pro e i contro del sound dei Tiromancino. Avvolgente e più dinamica la titletrack “La Pace Dei Sensi”, ma è con “Amore Blu” che si fa il salto di qualità: un inno che si oppone al qualunquismo, scalfito da melodie estemporanee. E’ un fuoco di paglia, purtroppo: calma piatta in “Verde Mare” e “Te Stesso”. Si torna su buoni livelli con i riff di “Terrore”, il pezzo più lisergico del lotto, la quale si spegne come la fiamma di una candela al vento, lasciando spazio alla conclusiva “L’Incostanza Vol.II”: drammatica, quasi teatrale. Finito l’ascolto contesto la scelta della registrazione in presa diretta, troppo confusionaria e non all’altezza, ed è un dispiacere perché nei testi si scorge quel qualcosa in più che manca alla maggior parte della musica prodotta nel nostro Paese.

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“Tutto l’Amore che ho Dentro” in Radio il nuovo singolo di Filippo Ferrante

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“Tutto l’Amore che ho Dentro”, è un brano che Filippo scrive durante la maternità della sorella, in procinto di mettere al mondo la prima figlia. Traccia l’analogia che c’è tra la nascita di un figlio e il processo di cambiamento interiore che avviene in chi lo concepisce. Dedicato in modo particolare all’amore del genitore per il proprio figlio e al prezioso dono della vita. Un brano emozionante che descrive quanto l’amore per un figlio non abbia limiti. “E’ come te, le labbra disegnano un cuore, la luce, il calore del dono che sei per me..”. Il brano racchiude, inoltre, il concetto di “unione familiare” in un periodo in cui purtroppo molti giovani sono costretti ad emigrare all’estero allontanandosi dalla propria famiglia e dalla propria terra. La produzione artistica di questa ballad pop con sonorità moderne è stata realizzata da Alberto Rapetti, nome illustre nel panorama produttivo musicale italiano. Produttore artistico, arrangiatore e audio engineer collaboratore per anni di Claudio Cecchetto, ha lavorato in diversi progetti musicali che hanno visto coinvolti: Finley, Dj Francesco, Max Pezzali e tanti altri artisti. Filippo Ferrante è un cantautore pugliese. Proviene da differenti esperienze musicali legate tutte da una grande passione per la musica, con un sogno e la ferma convinzione di poterlo raggiungere. Filippo si concentra da sempre sulla performance live e fondamentale è l’esperienza con “Radionorba”, che nel 2009 lo ha portato in giro, con il tour “Battiti Live”, per le piazze più importanti del Sud Italia assieme alla sua band: 61 Cygni. I ragazzi vincono l’MLK Project ed ottengono la programmazione radiofonica e televisiva del singolo ” DENTRO TE”, rispettivamente su Radionorba e Telenorba e la partecipazione a tutte le tappe del “Radionorba Battiti Live,” avendo, così, l’opportunità di condividere il palco con artisti come Tiromancino, Alex Britti, Sonohra, Gianluca Grignani, Le Vibrazioni, Tricarico, Luca Dirisio, Ron , Neffa, Fabri Fibra, L’Aura e molti altri. Dopo il successo del singolo “DENTRO TE”, seguono una lunga serie di concerti e Filippo decide di trasferirsi a Milano con l’inevitabile cambio della line-up del gruppo . Il Singolo “DENTRO TE” viene trasmesso per diversi mesi su MATCH MUSIC, CANALE DI SKY e da altre emittenti videomusicali nazionali ed ottiene 1500 download su ITunes. A Gennaio 2013 il progetto 61 CYGNI arriva ad una svolta con la scelta di Filippo di portare alla luce un suo progetto da solista. Lancia su Youtube una nuova versione del brano “DENTRO TE” più un nuovo singolo “VOLERO'” ottenendo circa 40000 visualizzazioni in un mese.A Maggio 2013 esce il suo primo Album da solista dal titolo “Volerò”. Ad Ottobre 2014 esce un nuovo singolo, “Nuovi Giochi”, prodotto artisticamente da Alberto Rapetti .In poco tempo il video raggiunge le 50.000 visualizzazioni su Youtube e centinaia di condivisioni in rete. Il singolo trasmesso da più di 80 radio italiane ed anche estere (Belgio, Svizzera, Australia) conquista anche un ottimo posto nella classifica italiana dei singoli indipendenti più trasmessi e graditi alle radio.

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Sagra dell’Uva di Cupra Montana: sarà grande musica.

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Si rinnova l’appuntamento con la Sagra dell’Uva di Cupra Montana, l’edizione 2014, la numero 77, si svolgerà dal 2 al 5 ottobre con pre-apertura sabato 27 settembre, ore 17:00, affidata al convegno “L’Istituto Marchigiano di Tutela Vini tra presente e futuro: risultati, obiettivi, strategie” e alle premiazioni dei vincitori del Premio Nazionale Etichetta D’Oro e della XII edizione del Medagliere Del Verdicchio. Da giovedì 2 a domenica 5 ottobre la cittadina di Cupra Montana sarà immersa nel proprio evento con spettacoli musicali, popolari e di tradizione; immancabili, come ogni anno, gli appuntamenti con i grandi nomi della musica italiana: venerdì 3, ore 23:00, Modena City Ramblers; sabato 4, ore 21:30 Marta Sui Tubi e a seguire, ore 23.00, Tiromancino; domenica 5, ore 19:15, Ron in Trio. I biglietti per assistere ai concerti sono acquistabili tramite il circuito CiaoTickets, sia online (www.ciaotickets.com) sia nei punti vendita e presentano una novità: l’acquisto in prevendita ha un prezzo inferiore rispetto all’acquisto in loco la sera del concerto. Modena City Ramblers: 10,00 in prevendita e 12,00 alla biglietteria di Cupra Montana la sera del concerto Marta Sui Tubi e Tiromancino: 10,00 in prevendita e 12,00 alla biglietteria di Cupra Montana la sera dei concerti Ron in Trio: 6,00 in prevendita e 7,00 alla biglietteria di Cupra Montana la sera del concerto. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito www.sagradelluva.com

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Il Video della Settimana: Rame – “Ambra”

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Testi in italiano, attitudine Rock e gusto Alternative. I Rame sono un giovanissimo combo torinese già al lavoro  nel 2012 con gli Gnu Quartet (Baustelle, Afterhours, Tiromancino) per la registrazione di alcuni brani nello storico Transeuropa Studio di Torino. Uno di questi inediti, “Kilometri”, viene scelto tra i 40 brani finalisti di Area Sanremo 2013. Il 13 Marzo 2014 esce il loro primo videoclip autoprodotto del brano “Ambra” ed è questa la nostra nuova, sempre spiazzante, scelta di questa settimana. Potete vedere il videoclip di seguito e in homepage fino a sabato prossimo.

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Molla – Prendi Fiato

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I beat che introducono “Barbie 83” hanno il gusto melanconico, il sapore dei bei tempi passati, un romanticismo goffo, adolescenziale che strappa un sorriso, e perché no una speranza. Il disco di Molla è intenso e frivolo allo stesso tempo, proprio come questa canzone che cattura l’ascoltatore con l’astuzia di chi i pezzi Pop li sa scrivere per davvero. E mettere come prima traccia un brano come questo è sintomo di malizia, che spinge l’ascoltatore a tendere l’orecchio per il resto dell’album con parecchia curiosità. Un po’ Tiromancino, un po’ Subsonica, un po’ Daniele Silvestri. Ma così personale che è inutile cercare le miriadi di sfumature e contaminazioni presenti in questo progetto. Il disco solista di questo artista pugliese parte in realtà da una collaborazione. In bilico tra il perfetto connubio di sonorità Elettro-Pop generato da Luca Giura (proprio colui che si fa chiamare Molla e già conosciuto nell’underground pugliese con gli Ameba4 e Il Sogno) e DJ Amber, che qui la dj non la fa per nulla, ma scrive dei testi che sembrano incisi direttamente sulla pelle, e a volte riescono pure a perforarla ed ad entrare dentro. Complice anche la voce di Luca, non di certo virtuoso o con una voce che si possa ricordare facilmente per la sua timbrica. Ma la sua espressività riesce a vincere e a rendere ogni momento del disco profondo e vero. Dieci brani in cui parole e musica si fondono, si toccano e vibrano insieme. “In Silenzio” è vera poesia elettronica: “sei arrivata dentro me come una foglia, che ad ogni mio respiro si muove”. Non ci sono voli pindarici, neanche troppe pretese. Molla parla terra terra, al cuscino sudato in una notte d’estate, al caffè tutte le mattine e al traffico nel rientro da un weekend lungo. Rende meravigliosa e ricca di sfumature la quotidianità. I brani non vanno oltre il rapporto di coppia? Non proprio, il disco è uno spaccato di indecisione, paure più o meno futili, ma anche di riflessione. Specchio di una realtà che va oltre la difficoltà delle relazioni interpersonali.


La struggente ballata “I Nostri Occhi” è un frullato di ricordi e rimpianti, del destino già scritto nella roccia. “Aldilà” sembra essere suonata in una calma prateria di fonte ad un cielo stellato, pare descrivere l’eterna ricerca, “prendiamo fiato” perché qui le atmosfere non sono mai frenetiche ma piano piano ci si sposta, la meta non esiste. La canzone parte con una semplice e scarna chitarra acustica per poi arricchire il tutto con un goccio di feedback, sintomo di un lavoro sopraffino su suoni ed arrangiamenti. Produzione eccelsa insomma, anche nei pezzi più difficili ed ostili come la sbilenca “Sottovoce”. La rotta è storta, quasi a rompere una monotonia, che personalmente non riesco proprio a trovare in questo album. La linearità del Pop ritorna a chiudere il cerchio con “Prendi Fiato”, facile, comoda e diretta. Non un singolone certo ma salvata dai versi di pura poesia recitati nel mezzo. “Ho lasciato quella brutta espressione del viso in uno specchio sempre più sfocato. Ho cancellato con una mano come si fa su di uno specchio bagnato il ricordo che nella testa girava. Solo prendendo fiato”. Sono arrivati tardi, ma posso dire che questo è uno dei dischi italiani più riusciti e più intensi dell’anno passato. Una vera sopresa.

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Sanremo 2014: grazie al cielo è finita.

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Ogni anno mi tocca il commento finale sul Festival di Sanremo, non certo senza compiacermi della quantità di veleno che posso meritatamente rigettare, in una sorta di catartica liberazione interiore. Niente pagelle quest’anno, credo sarebbe come sparare sulla Croce Rossa e preferisco lasciare perdere. Sanremo è come i Giochi Olimpici per l’antica Grecia: non si ferma mai, piuttosto sono le guerre che vengono messe in stand by perché lo spettacolo possa avere luogo. Oramai è un dato di fatto e bisognerebbe semplicemente prenderne atto. La macchina economica che si muove dietro all’organizzazione della rassegna ha respiro così ampio da essere inarrestabile. E questo vale sia per la spesa mostruosa a fronte della crisi economica e soprattutto di un’offerta qualitativamente scadente, quanto per la scelta degli artisti in gara che hanno alle spalle case discografiche compiacenti e ben immanicate. Partiamo dal principio. Il Teatro Ariston, evidentemente, non è dotato di sicurezza: i primi minuti sono stati “macchiati” dall’intervento di due lavoratori che volevano a tutti i costi far leggere una loro lettera (dal tema importantissimo, per carità, quello della condizione lavorativa), minacciando di buttarsi dalle impalcature. Già visto, già fatto e per altro con un eroico Baudo, non con un freddissimo Fazio che legge poi la lettera in questione lamentandosi anche per la calligrafia. Si poteva e doveva fare diversamente, sia da parta di chi protestava, sia da parte dello staff, che avrà preferito lasciare che lo spettacolo circense gratuito andasse avanti pensando che a casa l’italiano medio si tenesse incollato allo schermo peggio che in una puntata di The Walking Dead. Arginata la tragedia, inizia lo show: l’orchestra disposta in una scenografia a metà tra Il Gioco dei Nove e Macao, soluzione che avrebbe già dovuto farci capire che saremmo stati catapultati nel Festival delle Cariatidi. Sul palco, infatti, per cinque giorni si sono alternati corpi riesumati dal passato. Tommy Lee, le gemelle Kessler, Claudio Baglioni, Laetitia Casta, Raffaella Carrà, Ligabue, Renzo Arbore tra gli ospiti, Antonella Ruggiero (in una mise a cavallo tra Robert Smith, cosa notata da tutto il pubblico dei social network e su cui lei stessa ha poi iniziato a giocare dal suo profilo Facebook e Sean Penn in This Must Be the Place), Francesco Renga (cavolo, ma ancora?, tra l’altro cantando una canzone di Elisa e cercando pure di cantarla come avrebbe potuto e forse dovuto fare lei), Ron (santiddio!), Giuliano Palma (un artista tutt’altro che sanremese), Frankie Hi- Nrg (che ha sbagliato tutto, da look a canzone, fino al fatto di non essersi ancora dato all’ippica), tra i “big” in gara. Ma big de che? Sarcina ex Le Vibrazioni sarebbe un big? Lui e i suoi capelli da mafioso di Little Italy anni 80 e i denti gialli? E Sinigallia ex Tiromancino (ma ex da mo’ oltretutto), che si presenta pure con una canzone carina ma già suonata che gli vale la squalifica? Ma Riccardo: sono solo sessantaquattro anni che ce la menano, non avete ancora capito tu e il tuo entourage che non si possono suonare i brani in gara prima della gara? Ma che davero?  E comunque quella poteva tranquillamente essere una canzone dei Tiromancino, quindi già eseguita o meno, era sicuramente già stra-sentita.

Un Festival di disadattati sociali (e basta vedere la classifica finale dei vincitori) per disadattati sociali a cui, di nuovo, come l’anno scorso, bisogna fare i discorsini materni e affidarli alla voce della Litizzetto: gay è bello, il diverso è bello, il bambino down è bello perché se non insegniamo queste cose ai nostri figli, allora, è normale che poi brucino i Rom o i senzatetto nel parco. Sacrosanto, in un’Italia decerebrata che ci sia bisogno di pagare milioni una ex comica asservita allo showbiz per dire queste cose. E allora poi facciamo suonare Rufus Wainwright per far vedere che anche i gay sanno fare grandi cose e facciamo ricordare da Crozza che persino Michelangelo era gay. Perché se non lo dicevano loro, là fuori c’era ancora gente convinta che gli omosessuali fossero solo gli untori dell’AIDS, gente che ti aspetta per la strada di notte per violare de retro la virtù di qualche bravo uomo di famiglia. E, perché no?, invitiamo un disabile a fare la breakdance con le stampelle. Perché magari intervistare un laureato, un avvocato, un medico, un architetto, con un ADHD certificato non faceva spettacolo. Ma va bene, lasciamo stare, c’è evidentemente bisogno di affrontare queste tematiche e, rivolgendosi a un pubblico mediocre per educazione, cultura ed etica, bisogna anche servirglielo in una certa confezione. Torniamo quindi alla musica, quella almeno sarà stata bella. Certo, come no. La sagra del Reggae riciclato, da Frankie Hi-Nrg a Giuliano Palma fino al vincitore della categoria giovani, Rocco Hunt che viene dalla terra del sole e del caffè (e pizza, mandolino e mafia no? un testo pieno di cliché partenopei da far venire la pelle d’oca) e non dalla terra dei fuochi. Si, ok, ma i baffetti puberi potevano tagliarteli invece che lasciarli per intenerire qualche mamma italiota che ha appena imparato a mandare sms e ne dedica proprio uno a te per il televoto. Canzoni pallose allo stremo tra Noemi e la ex cassiera dell’Esselunga Giusy Ferreri (che fa incazzare non tanto perché, novella Cenerentola, è passata dal registratore di cassa della grande distribuzione, al palco prestigioso della rassegna musicale più nota italiana, ma perché quella aveva un lavoro da cassiera e là fuori c’è tanta gente che riempie le file dei Centri per l’Impiego), passando per il Premio della Critica intitolato a Mia Martini, andato al figlio d’arte Cristiano De André che, poveretto, ha fisionomia e voce identiche a quelle del padre ma non ne ha certo l’arte e l’estro, per quanto abbia presentato un brano anarcoide e ateo in pieno stile paterno. Ma veniamo pure ai vincitori (non certo morali, ti piace vincere facile con quella rosa di concorrenti lì): Arisa, che si era arruffianata il pubblico con il suo look pre-hipster da brutto anatroccolo sono davvero così, sguardo basso di fronte ai giornalisti e voce da topolino, torna giunonica e panterona sexy sbattendoci in faccia che erano tutte cazzate (Sincerità un elemento imprescindibile…), vi ho gabbati tutti. Avesse poi portato con sé una super canzone ci saremmo pure passati sopra ma la sua “Controvento” era un mero esercizio di stile, buono solo a qualche scuola di canto per indottrinare aspiranti quattordicenni ché se ce la fa quella posso farcela anche io. Gualazzi e Bloody Beetroots erano due tarantolati: il primo a contorcersi dal pianoforte, a sudare in una fintissima tensione orgasmica e a cannare ogni maledetta nota da intonare, il secondo tra tastiere e chitarre (due note per ciascuno strumento, oltretutto) con la sua maschera da Uomo Tigre (ndr in realtà è di Venom, lo sappiamo bene). Inguardabili e insentibili. Renzo Rubino, poi, ma chi cavolo è? L’ho già detto l’anno scorso credo: assolutamente anonimo con la sua orrenda cravatta verde mela.

I coraggiosi si contano su una mano: Perturbazione, che (a parte l’ospitata di Violante Placido) sono stati magnifici, The Niro (gran bella voce, bella canzone) e Zibba (che se l’è cavata con grande dignità e ha portato un brano pianamente conforme al suo stile, senza sputtanarsi per il palco del’Ariston ). Di questi, solo i Perturbazione sono stati premiati con il Premio della Critica intitolato a Lucio Dalla. Accontentiamoci.

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Pierpaolo Marino – Otto Brevi Racconti

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Il cantautore marsalese Pierpaolo Marino esordisce con questo bellissimo full lenght album, Otto Brevi Racconti dal titolo alquanto insolito in quanto ogni singola canzone dura almeno tre minuti risultando quindi in linea con lo standard dei suoi colleghi nazionali. Un disco dal sapore sempre intenso, che, come un buon vino di annata appassiona in ogni goccia un sommelier, riesce a conquistare l’ascoltatore in ogni singola nota. La voce dal timbro caldo di Pierpaolo Marino, che condivide solo il nome con l’omonimo dirigente di calcio (di cui se siete appassionati del settore ricorderete le gesta), non delude mai l’ascoltatore sempre ben incastonata in melodie sonore che gridano al miracolo (pur ricordando a volte quelle dei Tiromancino).

L’album è infatti un viaggio di otto tappe vissute  a osservare il mondo attorno, per poi ritrovare se stesso, rude quanto basta, mai complesso negli arrangiamenti ma sempre elegante nello stile e nella pennata chitarristica. Otto Brevi Racconti è stato interamente registrato e mixato da Fabio Gencopresso il Vicolo Recording (Nordgarden, Cloudsina Pocket, Black Eyed Dog, Bananalonga) ed è ancora più prezioso grazie alla presenza di  alcuni amici musicisti quali Carmelo Pipitonedei Marta Sui Tubi (che avete potuto ammirare sul palco dell’ultimo festival di Sanremo), Paolo Tedesco / Cloudsina Pocket e lo stesso Fabio Genco. Canzoni che esprimono libertà, senso di malinconia e felicità simultanee con versi che parlano di solitudinie amori, di drammied infanzie, di inquietudinie di dolcezza.

“Croce Del Sud” è quel piccolo capolavoro che raramente ti aspetteresti da un esordiente, curatissima in ogni singolo dettaglio ed arrangiamento, come anche l’allegra e vivace “Due Merli”  tint a inizialmente dal sapore di old wild west e poi da note di gaberiana memoria. Otto racconti sonori, tutti diversi l’uno dall’altro insomma, sia liricamente sia musicalmente, ma legati indissolubilmente da un unico filo conduttore: la bravura di un nuovo talento che se saprà ripetersi nella seconda prova farà certamente molta strada. Personalmente sarei pronto a scommettere su di lui anche l’intero conto in banca, perché benché sia difficile superare in qualità un lavoro del genere, Pierpaolo Marino ha tutti i mezzi per poterci riuscire.

Avanti così!

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Campetty – La Raccolta Dei Singoli

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Dalle ceneri incombuste degli Edwood e Intercity, rinascono a vita nuova i Campetty, l’unione di Fabio e Michele Campetti con Paolo Mellory Comini e Giannicola Maccarinelli, e La Raccolta dei Singoli è il frutto di questa apprezzabile congiunzione che in dodice tracce declina la vena creativa ad un pop-cantautorale senza disdegnare incursioni nelle estetiche melodiche indie che mettono in mostra una dimensione allargata e preziosa che è in fondo la  potenza delicata dei grandi dischi in cerca di allunaggio.

I cosidetti “sognatori” stazionano in una dimensione tutta loro, diversa dal presente e alternativa ad un ipotetico futuro, ma rimane la certezza che la parte migliore di un certo modo di fare musica sia ancora da aspettare, o forse, ce la abbiamo già intorno ma non la recepiamo in pieno, poi questo bel disco, questo bel catalogo di poetica intima e sussurrata, tra i Tiromancino e Senigallia da speranza intuitivaefavorisce la voglia di un retrogusto convincente da esibire negli ascolti genuini e senza difetto; ed è un esordio discografico con la nuova ragione sociale che si muove sottilmente con la nostalgia dei giorni andati e quelli che si approssimano, un registrato che ha passione da vendere e che promette piuttosto bene se si cerca il bello delle piccole cose e delle grandi occasioni, da ascoltare ogni volta che una visione opaca ostruisce l’apertura d’anima.

Anche disco che rimetterà in piedi un certo “indie thing”  dopo il calo d’interesse generale, tracce e arie che in un solo ascolto confezionano un feeling d’ascolto complice e confidenziale, chiavi d’intesa perfetta che fanno sgranchire le idee con la Ferrettiana “Cowboys Blues”, con il pacato onirico echeggiante “The Muffa Forest” o con la melodia etera di una voce divina, quella di Sara Mazo degli Scisma che in “Mariposa Gru” ingigantisce il pathos femminile illimitatamente; la varietà di queste piccole gemme registrate fanno luce tenue ad una fruibilità generale di livello, alzano punti di assoluto piacere e scavano un’incisività concettuale stilosa, basta accendere il filo teso di “Brasilia”, catturare l’armonia tenue di “Vittoria” o agganciare la battuta emotiva di “A Nastro”, una ballata che si colloca tra gli ingredienti base dell’eleganza incorporale, impalpabile.

I Campetty non solo convincono, ma portano la media ben sopra la media, ogni istante del disco è una seduzione che preda perdutamente qualsiasi orecchio attento. E non sono parole, ma fatti concreti.

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PISTOIA 2013 chiude in Blues!

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Continuano ad aggiungersi artisti di grande qualità alla 34° edizione del Pistoia Blues Festival che si terrà in Piazza Duomo dal 3 al 7 luglio 2013.
Si definisce anche la serata di domenica 7 luglio con nuovi nomi di rilievo: Robert Cray, grande cantante e chitarrista blues statunitense, Robben Ford, celebre chitarrista jazz/blues e Lucky Peterson, 48enne americano virtuoso della chitarra e dell’organo Hammond.
I tre artisti, con le rispettive bands, animeranno il palco di piazza duomo per una serata finale di grande Blues.

Robert Cray, con la sua Robert Cray Band attualmente composta da Jim Pugh (tastiere), Tony Braunagel (Batteria) e Richard Cousins (basso), presenterà il suo nuovo album “Nothin’ but Love”, il ventesimo della sua incredibile carriera che lo ha visto protagonista negli anni con Eric Clapton, B.B. King, Tina Turner solo per citarne alcuni.
Robben Ford è stato nominato uno dei “Migliori 100 chitarristi del ventesimo secolo” dalla storica rivista americana Musician. Con 19 album alle spalle e collaborazioni da Miles Davis a George Harrison, rappresenta una delle più rappresentative icone del jazz e del blues.

Prima di loro un artista italiano del panorama mainstream come Federico Zampaglione che proporrà il suo nuovo progetto dedicato al blues e denominato “Buzz”. La Buzz Band, nasce dall’incontro del leader dei Tiromancino e Mario Donatone, uno dei migliori interpreti e pianisti, tra blues e jazz. Con loro Danilo Bigioni e Roberto Ferrante, per grandi classici, e brani pop in chiave blues.
I biglietti per il 7 luglio costano 25€ (tribuna) e 30€ platea (+ diritti di prevendita).
Le altre serate: Ben Harper con Charlie Musselwhite (3/7), Black Crowes (4/7), Beady Eye (6/7).
Per informazioni:  0573 99 46 59

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Marazzita – Mi gioco i sogni a carte

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“Mi gioco i sogni a carte” è il secondo EP del “riccio” giovane cantautore calabrese fuori sede Marazzita.
L’EP è composto da sei brani di durata piuttosto radiofonica (a cavallo dei tre minuti e un po’ in media). I testi sono probabilmente la parte più forte del lavoro del cantautore calabrese: tante cose da dire, tante storie che parlano del tempo, della malinconia insita nell’anima evidentemente in fase di cambiamento di Peppe Marazzita, il tutto condito da toni spesso ironici, quasi sempre tristemente arresi ad una realtà che si dimostra, con il passare del tempo, sempre meno simile al sogno del giovane calabrese. La malinconica ironia dei testi è accompagnata egregiamente da arrangiamenti minimali ed efficaci, a volte quasi volutamente trascinati, a volte irriverentemente “un passo avanti”. Plauso particolare ai synth di Gianluca Di Vincenzo nella traccia numero 4, “Un balcone coi fiori”.
L’EP si apre con “Maledetto”, una ballata dedicata al tribolato cantautore livornese Piero Ciampi. Da subito si intuisce il leitmotiv del disco, la dolce apatia e disillusione nelle parole e nella musica della generazione cantautorale degli anni zero. Volendo cercare influenze nel lavoro di Marazzita possiamo citare Max Gazzè (in particolare nella seconda traccia, “Poster”), qualcosa di Bennato, alcune atmosfere di Tiromancino. In generale però Marazzita appare originale e non categorizzabile, anche se assolutamente fruibile, commercialmente parlando.
Nel terzo brano Marazzita non lesina in quanto a metafore e si interroga, cantando su una musica spensierata e dal sapore di hit estiva da juke-box sulla spiaggia, riguardo al futuro del mare, della sua Calabria e in generale del Belpaese. La quarta traccia è un invito per una cenetta romantica con tanto di Chianti e fiori (finti) sul balcone, una scusa come un’altra per raccontare qualcosa dell’insoddisfazione e del disagio di Marazzita, con il sorriso amaro sempre sulle labbra.
Nella quinta e penultima traccia “Vai via da qua” Marazzita cita il titolo dell’EP e cioè la sua volontà di giocarsi i sogni a carte, raccontando definitivamente della sua delusione per ciò che avrebbe voluto fosse ma non è, della ricerca di un rimedio per poter cambiare le cose, magari per trovare il coraggio di andarsene. Il disco si conclude con “L’artista da giovane”, brano che racconta del recente passato di Marazzita proprio come fa James Joyce ne “Il ritratto dell’artista da giovane”.

Il cantautore calabrese si conferma un’interessantissima realtà che fa della sintesi e della semplicità del linguaggio la sua arma migliore. Le melodie e le atmosfere sono tutt’altro che underground, nonostante si possa ad oggi considerare il fuori sede calabrese ancora un abitante della famigerata “nicchia”.
Consiglio vivamente l’acquisto di questo disco a chiunque abbia voglia di ascoltare un punto di vista tutto sommato comune ma raccontato in modo originale e soprattutto sincero da un giovane che continua a “cantare i propri sogni sopra e sotto un palco, in un’estate su una spiaggia senza spiaggia”.

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