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Atterraggio Alieno – Il disgelo

Written by Recensioni

Qualche abitante del globo pare essere un simpatico omino verde con gli occhi curiosi. Dall’alto della sua presuntuosa nave spaziale ogni mattina mette piede sulla nostra crosta terreste “per la prima volta” e si lascia andare ad emozioni primordiali che forse noi da schifosi abitudinari non riusciamo più a raggiungere. E allora si limita semplicemente a “vedere” e “dire” (“Ho visto cose”) molto prima di “osservare” e “parlare”. Senza attivare meccanismi matematici e cervellotici che ci portano così vicini ai boriosi e faziosi talk show televisivi sulla crisi economica o alle chiacchiere da bar che elogiano lo strapotere della superficie.

Questo cantante e il suo disco sono una vera e propria battaglia a mani nude alla banalità, una toccata e fuga nel profondo, un trapano che buca e toglie subito la punta. Si chiama Francesco Falorni ma si fa chiamare Atterraggio Alieno, aggiungerei: mai nome d’arte è stato più azzeccato. Il suo nuovo disco è “Il disgelo”, aggiungerei: mai un processo di riscaldamento è stato più lento. Si perché il dobro del ragazzo fiorentino suona freddo, la sua voce pare lontana. La sua musica è un piccolo accendino in un deserto di ghiaccio e il suo disgelo è eterno, un continuo crescendo, di grado in grado. Non c’è nessuna fretta dopotutto “c’è un fuoco che aspetta” ci dice “Al sole di giugno”, ma che ci farà aprire gli occhi oltre che toglierci un po’ di brina.
Certo a valutare la cornice ci aspettavamo più esuberanza, più foga, un bel sole ignorante di Agosto, che però manca già dalle prime note strappate con meticolosa irrazionalità. E allora che cos’è che ci sta scaldando? Cosa ci porta ad abbassare la guardia e far entrare questo simpatico capellone straniero nei nostri più intimi pensieri? La facilità nell’agire in modo così ingenuo ma spietato, parole feroci e divertenti da clown sobrio e pacato, un viaggiatore poco interessato ai nostri futili discorsi da mettersi a disegnare il panorama nudo e crudo fuori dal finestrino. Un atterraggio di fortuna, poco razionale ma impeccabile ed efficace, così morbido per il passeggero in questione ma così pesante per la terra su cui si appoggia.

Le parole di Francesco sono un macigno, vento caldo e costante sulla nostra schiena che dona un po’ di tepore e rilassa quando camminiamo in questa distesa invernale. Tra non-sense e frecciate di pura lucidità, senza mai far troppo sforzo cerebrale.

La poesia minimale di “Saremo ricchi amore” apre “Il disgelo” e dona da subito una timida speranza a tutti i precari, sottile ma più corale di un inno generazionale. “Nero petrolio” sfodera un dobro danzante che pare mettere in testa dei Perturbazione un bel cappello di paglia per farli suonare gonfi di whisky nelle immense strade di campagna americane. Poi la disarmante melodia di “Cervello Lo-Fi”, giusto per farci capire come stare in equilibrio, per far risuonare la frequenza dei battiti cardiaci e delle scariche neuronali. Pianoforte, violino e una timida chitarra acustica stracciano a pezzi il dolore, prendendolo a morsi nell’episodio più intenso del disco: “I tuo male tra i denti”, violenza, rabbia, dolcezza ed eleganza in 4 minuti. Potere della musica pop.

Il disco è immensamente arrangiato, semplicissimo, ma mai scontato, proprio come le fantastiche ritmiche ballerine che ogni tanto appaiono come fantasmi di vitalità, giusto a fomentare un pelo la fiamma e a combattere i desolanti paesaggi di “Alaska” e “Vorkuta”. Non sia mai che il ghiaccio guadagni un po’ di terreno.
A fine ascolto abbiamo capito: il calore non è l’estate a Riccione, non è la discoteca all’aperto in Costa Brava, non è l’aridità del deserto, nemmeno l’umidità delle risaie padane o il bikini in California. E’ piuttosto una profumata tisana sorseggiata seduti su un prato innevato a guardare le stelle. E disegnare con la mente; sensazioni e colori, anche lontani.
Certo, sono strani questi alieni. E’ proprio vero che lontano dal sole bastano pochi raggi e pochi gradi centigradi per sentire un brivido di calore.

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