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Ben Harper & The Innocent Criminals – Call It What It is

Written by Recensioni

Questo ritorno di Ben Harper con gli Innocent Criminals, gruppo col quale ha scritto le migliori pagine della sua carriera, è stato per me (ed immagino di non essere il solo) come un regalo ricevuto da un gruppo di vecchi amici ed una delle uscite, nel suo ambito, che più ho atteso in questo primo terzo di 2016. L’ultimo lavoro di Ben coi Criminals, risalente ad 8 anni fa, fu indubbiamente l’episodio meno riuscito del loro sodalizio ma le meravigliose pagine precedentemente pubblicate rimangono per il sottoscritto tra le più belle che una band ci abbia regalato negli ultimi vent’anni.
Ben coi Criminals (presenti, seppur non sempre con uguale formazione, anche nei dischi pubblicati a nome del solo Harper fino appunto a Lifeline) ha coniato quello che a tutti gli effetti possiamo considerare il suo linguaggio: una miscela di generi che trovano le proprie radici nel Blues ma che affiorano nelle più svariate forme in modo naturalissimo ma con grandi contaminazioni nonché con uno splendido dialogo tra i vari strumenti e le varie anime di una band che riesce a dare colore come essenzialità alle doti chitarristiche e canore del suo leader andando così a creare un sound che è un vero e proprio marchio di fabbrica.

E dunque, dopo l’inatteso e benvenuto tour di reunion dello scorso anno, ecco arrivare questo nuovo lavoro in studio.
Diciamo subito che i tempi del magico decennio ’94-’04 non sono raggiunti ma che sicuramente questo lavoro suona meglio della loro ultima fatica insieme, cosa non così scontata, e che volendo fare un paragone col passato questo nuovo disco potrebbe essere un Both Sides of the Gun riassunto in un unico disco (il magico decennio si era da poco concluso ma qualche buona cartuccia da sparare ancora c’era), emblematica è la bella ballata “Deeper and Deeper”, che pare uscire dal disco bianco del sopracitato lavoro.
Call It What It Is pur avendo passaggi un po’ scontati (il Blues in odor di Stones di “When Sex Was Dirty”), paraculi (il rock dall’incedere moderno e appiccicoso di “Pink Ballon”) e non del tutto convincenti (la title track che punta il dito contro gli omicidi della polizia sugli uomini di colore senza grande originalità di scrittura ma in modo comunque estremamente diretto e sincero) non manca di momenti assolutamente godibili. Sotto questo punto di vista da citare il Reggae di “Finding Our Way” (bel lavoro di Jason Yates all’Hammond e Juan Nelson al basso), che pur non avendo la struggente profondità della meravigliosa “Jah Work” o il calore (ed il colore) di “With My Own Two Hands”, ci mostra un uomo ed una band che quando toccano questo genere non deludono mai, impossibile dopo un paio di ascolti non immaginarsi a ballare e cantare questo pezzo sotto un sole caraibico con una collana di fiori al collo.
Altro ottimo momento è il Soul di “Bones” (perfetto per casa Strax), brano pulito, profondo, con l’ottima voce di Beniamino accompagnata da una bella sezione ritmica e da un buon lavoro dei Criminals tutti. Oltre alla già citata “Deeper and Deeper” sono presenti altre profonde ballads, meritano una citazione l’Afro Folk ricco di pathos di “How Dark is Gone” (dedicata ad un amico morto in prigione), “All That Has Grown”, malinconico Blues per sola slide che riporta molto indietro nel tempo garantendo un risultato indiscutibile, e la toccante “Goodbye to You” con la quale, nel più classico dei modi, si chiude il disco del ritorno a casa di Ben.

Questo Call it What It Is è dunque un lavoro che tutto sommato non delude ma che sicuramente ci propone una band ancora lontana dai suoi giorni migliori, una band che osa troppo poco pur muovendosi con invidiabile disinvoltura tra i soliti svariati generi. I ragazzi, che live sono una meraviglia, affronteranno insieme un nuovo tour (da noi a Milano il 7 Ottobre) che potrà dirci se questo ritorno di fiamma sia un fuoco di paglia o qualcosa di più grande; sperando nella seconda ipotesi credo che in futuro quella voglia e quella fantasia che in questo disco vengono un po’ meno, ma che i Nostri sicuramente non hanno ancora perso, si potranno ritrovare facendoci così scartare un regalo forse meno inatteso ma più vicino a quel buon sapore dei giorni andati, come ci si confà a buoni amici di vecchia data.

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Ben Harper – Get Up!

Written by Recensioni

Dopo album da brividi, album senza piega e concretezza, il mito di Ben Harper torna a splendere nell’assoluto, torna a confabulare mistiche indiavolate e anime vendute ai tanti Balzebù che infestano da secoli (forse da sempre) le acque e le lagune del Mississippi, e lo fa con un compagno sensazionale, il sessantacinquenne armonicista Charlie Musselwhite, dio del blues bianco e dell’armonica sbavata al massimo, tanto che “Get Up!”  – questo lo strepitoso album- già scala tutte le charts possibili dentro e fuori quell’America dei folli compromessi.

Dieci tracce immacolate di traditional, blues, rock-blues e soul degli avi che si perpetuano in un giro formidabile di lussuria sonora e oasi di spettacolarità, un Harper al meglio di sé ed un Musselwhite che non si risparmia a coronare ed impreziosire ogni singola nota, bridge o quant’altro, una tracklist di gran culto, un attimo professionale che – onestamente – da un Ben Harper non si sentiva da tempo, e quanto è dato sentire lo spirito si è “rialzato a testa alta” e con lui tutto il pandemonio divino della grande musica del Delta e dintorni; la mitica Weissenborn che l’artista americano strapazza a suo piacimento, strugge, gioisce, copula ed eiacula suoni, stridori, melodie e tutto quanto possa far incantare qualsiasi ascolto, un disco fortissimo che ti strappa i capelli e ti imbarca nei suoi infiniti viatici come e quando vuole.

Licenziato per l’ancor più mitica Stax, l’album è senza dubbio il migliore della discografia Harperiana, il più vivo e crudo tra le emozioni che ci ha da sempre regalato, e questa bell’accoppiata artistica premia il sound del Southern Spirit al meglio che si possa premiare; disco a due livelli, la parte dei cardiopalma sonori “Blood Side Out”o “Don’t Believe a Word You Say”, e quella passionale da genuflessione  – tra le tante – “You Found Another Lover”, “Don’t Look Twice” o “All That Matters Now”, parti che una volta unite e strette al massimo della loro ricerca d’anima esplodono per regalarvi un delle cose più belle uscite  in questa prima tranche d’anno.

Fatevi attraversare tranquillamente l’anima, ne vale la pena davvero.

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