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Shandon

Written by Live Report

L’atmosfera a Hiroshima è indubbiamente congelata, nonostante fuori ci sia un clima tutt’altro che rigido e i primi venticelli di primavera scaldino le ossa. Dentro tutto è frizzato, a quindici anni fa, quando a Hiroshima c’erano esattamente le stesse facce. Ora con meno capelli e più barba. Meno rasta e più rughe, segni di quegli anni in cui le sigarette (e non solo quelle) il pomeriggio erano sempre troppe. Non sono mai stato un amante del genere ma la curiosità di vedere gli Shandon, dodici anni dopo e con un nuovo disco, era grande. Per vedere quanto il loro suono fosse bloccato e imbrigliato ancora nei vecchi schemi fatti di power chord distortissimi, di ritmiche in levare e di fiati infilati qua e la. Le aspettative erano relativamente alte, visto che il recente passato di Olly l’ha portato a spaziare tra moderno e vintage, tra l’Alternative Rock dei The Fire e il Rythm n’Blues dei Soul Rockets. Tra generi così distanti tra loro ma sempre uniti dall’inconfondibile voce del frontman milanese, a mio avviso ancora una delle migliori ugole in circolazione in Italia.

L’apertura con i Rimozionekoatta è quello che ci aspettiamo, Ska dritto e puro, senza scendere a nessun compromesso. Scalda la platea a dovere prima dell’arrivo delle grandi star. Gli Shandon si fanno aspettare con un cambio palco da grandi occasioni, per poi salire sul palco alle 23:30 cercando l’ovazione di un Hiroshima bello pieno. L’inizio con “Placebo Effect” non fa sperare a un gran cambiamento, anche se i suoni risultano più al passo coi tempi. La batteria di Alecs (già con Olly nei The Fire) è tanto precisa nei pezzi più punkettoni, quanto poco efficace nei ritmi Ska. Perde groove nella scatenata “A Knightly Forest” o nella nuovissima “Skate Ska”, dove  pare che Olly con questa reunion abbia solo voglia di tornare un po’ ragazzino. Anche se, a fare i pisitini, di vera e propria reunion non si può parlare dato che della vecchia formazione vediamo solo Olly e il trombonista Max Finazzi. Il concerto è minato dai vari germi che pare abbiamo intaccato la gola di Olly, che comunque si tiene solo un briciolo in partenza per poi cavarsela sempre egregiamente con la sua ugola d’acciaio. Già in “Egostasi” il cantante milanese libera i demoni che gli avvinghiano le corde vocali, per sparare fuori i suoi ruggiti ben incastrati ai sempre ben graditi fiati. I nuovi brani toccano sicuramente più il sound di “Fetish” che delle altre produzioni. Così “Vuoto” e “Tony Alva” scatenano la platea di adolescenti cresciuti un po’ troppo, mentre il discorso-dedica di “Heart Attack” al padre, dimostra come Olly sia un personaggio ancora molto genuino. Il mix di Punk, Ska e Hardcore è sempre stato e rimane il pane degli Shandon, che sparano un concerto lungo, sudato, a tratti intenso e divertente ma che pare non decollare a dovere. Anche i pezzi più popolari come “Viola”, la velocissima “My Friends” e la finale “Janet”, teatro del classico pogo “wall of death”, non schiacciano via le incertezze su una band che suona troppo radicata agli anni 90. L’ecletticità di Olly spesso salva una band che suona molto bene ma perde di carattere e cerca sempre di tenere un piede nel presente e uno nel passato, snaturando la vera anima di quelli che erano gli Shandon e senza aggiungere nulla di veramente graffiante. Sicuramente la voglia del pubblico di ragazzi cresciutelli è soddisfatta, ricordare i primi concerti e le prime trasgressioni, ma da chi si propone in un palco così dopo tanti anni, ci si aspetta una marcia in più.

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