Riccardo Merolli Tag Archive

Grenouille – L’indie rock non esiste! –

Written by Interviste

I Grenouille sono una delle band più attuali del momento, tra fighetterie rock e cose del genere abbiamo scambiato qualche punto di vista con il frontman Marco Bugatti. Musica assaporata come del buon vino e il sistema indie italiano che non esiste. Ecco di cosa abbiamo parlato…

Ciao e ben trovati sulle pagine web di Rockambula, come stanno artisticamente (ma anche fisicamente) parlando i Grenouille?

Molto bene, grazie. La scelta di autogestire la realizzazione e la promozione del nostro progetto musicale si è dimostrata vincente. Abbiamo ricompattato la formazione attorno a Fabio, il nostro batterista storico e questa cosa ci ha dato una spinta dal punto di vista artistico. Fisicamente tutto ok.

Da poco tempo è uscito il vostro secondo disco Il Mondo Libero, è tempo di iniziare a tirare qualche somma oppure lasciamo passare altro tempo? Prime impressioni?

Possiamo già tirare qualche somma. Abbiamo voluto scrivere un disco vintage, vecchio stile, come i dischi degli anni 60 e penso che ce l’abbiamo fatta. Siamo soddisfatti del risultato e il disco sta piacendo moltissimo alla critica e al pubblico. Certo, non è un disco immediato, è un disco che va assaporato piano, e si impara ad apprezzare di piu’ dopo un po’ di tempo… Come il buon vino

Dalle critiche al disco emerge subito un suono molto più morbido rispetto al precedente disco, cambiamenti in corso nel sound dei Grenouille?

Sicurame in questo disco emerge anche un lato del nostro sound più morbido, più classic rock, a tratti cauntautorale. E’ una cosa stavamo cercando di fare da tempo, e siamo contenti di aver scritto pezzi come La Droga Più pesante, o come Solo per te Stesso. Tuttavia non abbiamo abbandonato il nostro lato hardcore e nel disco ci sono anche pezzi come D.S.M. o Reality Show o Sulla Linea di Confine che sono quelli che suoniamo più volentieri nei live elettrici. Questo continuo passare da un’atmosfera ad un’altra ti permette di vivere il disco come un viaggio, come la trama di un film, che si chiude con l’ultima traccia,  La Fine del Mondo, i titoli di coda.  Un film sulla nostra attuale realtà e sulle storie che stiamo vivendo. Quel sound rende il film interessante.

Il Mondo Libero possiamo considerarlo un disco della maturità? Dopo due dischi sarebbe strano sentirsi già maturi…

No, a mio parere, no. E’ stato un bellissimo esperimento, molto ben riuscito, realizzato in una situazione molto particolare. Penso che non abbiamo raggiunto ancora la sintesi del nostro suono e del nostro modo di scrivere. Ma non è importante soltanto la meta da raggiungere, ma anche la strada…

Lasciamo stare le recensioni, cosa vuole esprimere questo lavoro? Almeno cosa avete cercato di trasmettere?

Abbiamo cercato di dare uno spaccato di questi ultimi anni, dal nostro punto di vista. In questo disco ritorna molto il tema del controllo, ma anche della liberazione… Ci sono ritratti di persone con emotività al limite del patologico..c’è ironia, rabbia, emozionalità e speranza. Le cose che ci siamo visti succedere attorno ma anche dentro di noi.

Siete una delle band con maggiore potenziale attualmente, almeno secondo noi di Rockambula ma non solo, cosa dobbiamo aspettarci dai Grenouille?

Beh… attualmente stiamo lavorando a un decreto legge per cambiare il nome ai rimborsi elettorali e farli risultare come “Meritati Extra per gli Alcolici e la Marjuana”, tutto questo in previsione della nostra imminente salita in politica.

Nell’ attuale società dov’è rivolto il disgusto dei Grenouille? Musica, politica, attualità. Insomma cosa vi fa schifo?

Ci fa schifo chi, con malcelata arroganza e comportamento da setta, cerca di controllare le cose e di uccidere qualsiasi opportunità in questo paese. Dalle associazioni proto  religiose come Comunione e Liberazione, ai partiti truffa come il PDL ma anche ai nostalgici della Rivoluzione che rifiutano di accettare che il mondo è andato avanti e bisogna aggiornarsi. Vediamo tante persone addormentate e anestetizzate dalla televisione e dalla rappresentazione che i media fanno,di un mondo irreale, allo scopo di distrarre l’opinione pubblica. Vediamo a volte un calo di interesse verso le genuine forme di espressione e di rappresentazione artistiche territoriali, e questo ci dispiace molto. Noi pensiamo che “gli artisti usano le bugie per dire la verità mentre i politici per coprire la verità.”

Sistema cosiddetto indie italiano, voi come vedete questo fenomeno e da che parte state?

Stiamo fuori. Il sistema indie italiano non esiste. Non è un movimento artistico o musicale.

Il disco perfetto del passato a vostro gusto? Naturalmente roba italiana.

Questa domanda è sempre difficile… Se tu me la facesi una volta a settimana ti risponderei sempre diversamente a seconda del mio umore…

Oggi ti risponderei “Quello che non c’è” degli Afterhours.

Progetti futuri? Sorprese, novità?

In questi giorni stiamo arrangiando un pezzo nuovo che si intitola “Che lavoro fa Dyana?” e stiamo ricominciando a scrivere roba nuova…. Presto uscirà il video del La Droga Più Pesante, e naturalmente siamo in giro a suonare il nuovo disco. Cercateci su Facebook, oppure trovate i concerti su www.grenouille.it

Un saluto, questo è lo spazio per liberare quello che avete dentro.. Fatevi pubblicità…

Saremo a Monza, a Torino, Acqui Terme, Novara  Legnano e in Sardegna, e in primavera in giro per l’Italia.

Alzate il culo.

 

 

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Deathwood – Deathwood Ep

Written by Recensioni

Il punk rock è una ragione di vita alla quale ogni singolo individuo può appartenere oppure no, devi averlo dentro senza nessun preciso motivo. Una rivoluzione viscerale che investe l’intestino vomitando sopra tutto quello schifo imbarazzante che cerca di mettere ordine nelle nostre vite. I Deathwood dal centro Abruzzo e precisamente da Raiano AQ dimostrano di essere vivi nonostante la situazione socio/culturale praticamente azzerata della zona di provenienza (che conosco benissimo), praticamente una lotta continua contro il pregiudizio, soltanto la determinazione porterà ad una piccola vittoria (quasi sempre personale). Il punk rock da coraggio. Ecco che i Deathwood registrano il loro omonimo ep d’esordio mettendo subito in prima linea le loro intenzioni horrorifiche di seguaci indiscriminati di quei punkettoni americani dei Misfits, molto elastici nell’esecuzione e dottrinalmente capaci di farsi ascoltare per quello che realmente sono. Un mix ben equilibrato di (hard)rock e metal primordiale in chiave punk. Penserete, che cazzo sarebbe ciò? Avete perfettamente ragione ma la prima impressione è stata realmente quella, di un Bruce Dickinson posseduto da uno dei Ramones, roba da fattoni senza speranza, roba bella da ascoltare. Roba che trivella il pavimento ma parliamo pur sempre di un ep d’esordio e quindi sempre meglio prendere il tutto con le pinze per non rischiare delusioni future, ne abbiamo viste veramente tante in questi anni.

Il sound dei Deathwood non cerca mai di apparire corposo e carico di innovazioni ostentate, il concetto è quello di sentirsi leggeri e incondizionatamente padroni dei propri risultati, apprezzati o meno che siano. Il ritorno a quelle sonorità anni 80 (fine 70) che tanto hanno caratterizzato la scena horror punk soprattutto in America restando vicini al rockabilly più classico.
Bene, let’s go. Cinque pezzi molto tirati ma dai quali spicca notevolmente l’impatto sonoro di The Victim, pezzo simbolo dell’ep del quale (qui sotto) potete vedere anche il video, godetelo interamente nella propria semplicità e non aspettatevi fronzoli intellettuali, stiamo parlando di punk rock. Aspetta, più precisamente di Horror punk. E questa categorizzazione musicale penso non faccia una piega, i Deathwood hanno la capacità di mescolare situazioni al limite del gotico e farle esplodere in puro punk rock, un perfetto mescolare di generi che dimostrano saper fare almeno restando ai cinque pezzi presenti nel ep giunto sotto la nostra attenzione. Una concreta realtà della scena punk italiana, ancora molto piccola ma ben confezionata e dalle grandi possibilità. Bisogna lavorare e coltivare questa passione soprattutto in una terra dove di motivi per andare avanti ce ne sono ben pochi, i Deathwood sono i piccoli porta bandiera di una rivoluzione ancora da scrivere, vivere, combattere. I Deathwood portano dentro la voglia sincera di essere piccoli artisti rivoluzionari in cerca di grandi soddisfazioni.

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Grenouille – Il Mondo Libero

Written by Recensioni

Il Mondo Libero dei Grenouille è un disco senza pudore, rock acido, bastardo e spregiudicatamente commerciale. Avete capito bene, l’ultimo disco dei Grenouille è decisamente rock commerciale. Lasciamo stare la loro esplosiva verve grunge d’oltreoceano, un tempo forse erano così, adesso credono di essere maturati a tal punto da poter scalare le classifiche, i chitarroni scendono di potenza per dare spazio alla melodia. Sia chiaro che per melodia teniamo sempre presente la leggerezza di una ex band grunge, per quello che si può. Chi ricorda l’esordio discografico dei Grenouille di Saltando dentro il Fuoco (2008) farà sicuramente fatica ad ascoltare il disco per l’intera durata senza imprecare violentemente contro il trio milanese, il nervosismo andrebbe controllato e l’album gustato con la giusta attenzione. Bestemmie anche nei miei confronti. Invece Il Mondo Libero inizia a scoprire pian piano le proprie carte dimostrandosi sempre più un ottimo lavoro, la metodica d’esecuzione è molto più tagliente del precedente disco e la cura dei testi (nel 2012 non potrebbero che essere di protesta) provoca un attenzione insperata.
Ma lasciamo stare il primo disco ed evitiamo stupidi quanto improbabili paragoni (anche se inevitabili) e concentriamoci sul disco attuale. Si parte subito forte con D.S.M., le intenzioni vengono subito messe sul tavolo e il Papa fresco di profilo Twitter si becca la prima frase ad effetto del disco:”E quanto il vaticano ce l’ha messo dentro l’an(o)ima?”.

Arriva una rivisitazione di Poveri Cantautori di Jannacci rinominata e modernizzata in Poveri Suonatori. Sinceramente in questo periodo non apprezzo chi suona la roba d’altri anche se completamente rivisitata, vabbè sono soltanto capricci personali.
Binario 21 rappresenta il pezzo simbolo del cambiamento stilistico dei Grenouille, molto morbido, orecchiabile ma allo stesso tempo soddisfatto di essere parte integrante del disco, come dire che soltanto gli stupidi non cambiano mai idea. Molto cantautorato e testi curatissimi, vengo ancora una volta a ribadire l’importanza dei testi nell’intero cd, quasi del tutto fondamentali oserei dire. Ma nonostante tutto questo la musica non cade mai in disgrazia, anzi, è sempre ossatura portante, immediata. Ma adesso mi sto stufando della classica analisi delle canzoni, arriviamo dritti dritti dove dobbiamo arrivare. Arriviamo al cuore del disco, al primo singolo estratto, arriviamo a La Droga più pesante. La prima volta che ho ascoltato questo brano ero indeciso se ridere o piangere, insomma, non sapevo proprio con quale spirito affrontare questo pezzo. Il secondo ascolto in macchina è stato traumatico veramente, un forte mal d’auto s’impossessava velocemente del mio corpo. Tutto si metteva per il peggio, il testo sembrava scritto da un quindicenne con problemi di seghe, la musica non sapeva di niente e il ritornello dei peggiori Sanremo.
Il terzo ascolto risulta decisivo, questa canzone è un opera d’arte del rock pop italiano, e non è assolutamente uno scherzo. Il testo diventava geniale, la musica perfetta e il ritornello addirittura emozionale. Ecco come cambiano improvvisamente le cose. I Grenouille sanno cambiare pelle velocemente, si staccano furiosamente da tutto quello che possa etichettarli, si sentono talmente liberi da far uscire Il Mondo Libero sotto un etichetta di loro creazione, la Milano Sta Bruciando Records.

Poi il disco scivola tutto via bello come dovrebbe scivolare. Il Mondo Libero dei Grenouille spacca il confine tra nicchia e popolare, la musica è prima di tutto benessere dell’anima. Chi non cura la propria anima muore stronzo e insoddisfatto.

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Tre Allegri Ragazzi Morti – Nel Giardino dei Fantasmi

Written by Recensioni

I Tre Allegri Ragazzi Morti fanno senza ombra di dubbio parte della storia indie della musica italiana. Questo è vietato metterlo in discussione, sotto il loro ombrello non piove mai. Il percorso artistico della band lascia poco spazio alle critiche cattivelle e molto molto invidiose di qualche nerd fuori controllo, un lungo cammino fatto di punk, di dub (Primitivi del Dub), di folk, di musica leggera senza speranza, di fumetti, insomma, i TARM hanno suonato di tutto in vent’anni di carriera. Certo, la loro costanza negli anni non è sicuramente frutto di botte di culo, vent’anni sono tanti e raggiungere perlomeno la decenza in tutte le uscite discografiche non lascia dubbi al talento degli scheletri di Pordenone. Passano solo due anni dall’ultimo disco ed ecco arrivare Nel Giardino dei Fantasmi, un seguito naturale ed atteso del precedente Primitivi del Futuro. Non c’è nessuna sorpresa, nel senso che personalmente mi aspettavo questo disco proprio come l’ho trovato, soddisfacente sotto ogni punto di vista, musicalmente ben suonato e visivamente confezionato ad hoc, le polemiche che riescono a creare fanno parte della loro attitudine sfrontata. I TARM sono vecchie volpi del deserto, capiscono e anticipano quello che la gente vuole ascoltare sperimentando tanto, tantissimo. Un predisposizione al punk nelle vene (e quella non riuscirà a toglierla nessuno) con una vocazione reggae ormai sempre più invadente nei loro pezzi. Nel Giardino dei Fantasmi presenta una voglia di cambiamento artistico molto più evidente rispetto ai precedenti lavori, sembrerebbe il disco della maturità ma non è così (la voglia di giocare è ancora tanta), folk rock a profusione e tanti punti ancora da metabolizzare. L’idea è quella di un castello di sabbia costruito meticolosamente. I primi ascolti danno velocemente il senso di orecchiabilità su cui è costruito il disco, poi accenni alle vecchie pellicole western sull’onda del cinismo della chitarra morriconiana. Il passato che ormai non torna più cantato in I Cacciatori e le sonorità reggae in Alle Anime Perse, poi la bellezza della semplicità nel pezzo portavoce del disco La mia Vita senza te. Tanta rabbia contro un mondo marcio e insostenibile, la speranza nei ricordi di tanti anni fa, quando tutto sembrava più facile, almeno in apparenza con uno scudo indistruttibile che era la gioventù. Nel Giardino dei Fantasmi è il primo disco dove la band inizia a guardarsi alle spalle, vent’anni di musica sono tanti, il futuro non promette niente di buono e il ricordo allarga la ferita e allo stesso tempo consola. Toffolo disegna nel vero senso della parola un mondo diverso e parallelo dove nascondersi, una corazza indistruttibile fatta di musica e fumetti, ognuno di noi è libero di perdersi in quel mondo fantasma dove l’amore conta tanto quanto la sofferenza, dove niente viene lasciato da parte, un mondo positivo quanto negativo. Un mondo ricco di sentimento. Un mondo vero.

I TARM affrontano l’uscita di questo disco consapevoli di sfidare tutto e tutti, grandi pubblicità da una parte (anche spudoratamente di parte), grandi critiche dall’altra movimentate solo da odio e intolleranza, Nel Giardino dei Fantasmi è un disco equilibrato, non farà sussultare il mio finale d’annata ma riconosco il merito e la capacità compositiva della band. I TARM dopo tanti anni consumati sulle spalle riescono sempre a rigenerarsi e a scrivere dischi inaspettati, riconosciamo il giusto e apprezziamo questo nuovo capitolo della loro strepitosa avventura.
Nel Giardino dei Fantasmi potrebbe essere la giusta soluzione a una vita musicale scontata e senza troppe soddisfazioni.
Beccatevi anche il video…

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Indastria – I Giorni Del Pelo

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Gli Indastria sono una delle band più esplosive ascoltate in questo tremendo e nauseabondo anno, vi presento il loro disco I Giorni Del Pelo. I Giorni Del Pelo prende ispirazione almeno nel nome da una festa alcolica organizzata qualche tempo prima dal chitarrista mentore Francesco  Casagrande, avere pelo significa essere molto resistenti alle ubriacature, infatti nella cover del disco è raffigurato un orso polare come simbolo più rappresentativo dell’avere “pelo”. Una festa a base di pelo potrebbe essere intesa in maniera diversa ma ognuno è libero di portare il proprio pelo come desidera. Ok, parliamo del disco. All’inizio avevo il sospetto molto concreto di trovarmi davanti al classico lavoro demenziale e coglione al quale dovevo dedicare anche del tempo per apprezzare la stupidità, per trovare un inesistente motivo per consigliare il disco, per fare il critico alternativo dei miei coglioni. Cazzo (e qui ci sta veramente tutto intero), I Giorni Del Pelo è una bomba! Gli Indastria sono troppo potenti, un lavoro direi quasi esemplare, quello che non ti aspetti di ascoltare tutto d’un tratto ti arriva addosso come un tir impazzito. Musica matta che ti conquista subito e ti spacca il cervello, testi spaventosamente geniali, provate ad ascoltare Orso Polare Droga e poi cercate di spiegare se l’alternativa e tanto super considerata scena italiana sarebbe riuscita a tirare fuori un pezzo così. Il disco composto da dieci pezzi certamente non riesce a reggere il ritmo per l’intera durata de I Giorni Del Pelo, non sarebbe umanamente possibile e loro sicuramente non sono i Tool ma evidenziano una naturale vocazione al caos. Sono molto stoner/punk incazzati e sono talmente fighi che quelle canzoni le potrebbe cantare anche mio nonno, sullo stile delle vecchie punk rock band italiane ma molto ma molto più duri, potrebbero aver preso lezione dal primo Teatro degli Orrori.

Cercateli su facebook e scaricatevi gratuitamente il disco, vi renderete conto che non si mangia solo merda in Italia. Adesso che la foga dell’impatto iniziale è passata lasciamo scorrere qualche minuto e rivediamo il disco degli Indastria con una migliore lucidità. Sempre la stessa cosa, un tir impazzito che mi passa sopra. Certamente più che alla tecnica gli Indastria devono ringraziare la potenza che riescono a sprigionare, non è poco e soprattutto non è da tutti e per questo motivo sono rimasto colpito in maniera positiva da questa band, spero di non sbagliarmi ma la semplicità quasi sempre è alla base delle cose belle. Loro attualmente sono tra i più belli e semplici che potevamo aspettarci di incontrare.

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Novadeaf – Humoresque

Written by Recensioni

Humoresque oltre ad essere una raccolta di brani  brevi per pianoforte del compositore Antonín Dvořák è anche l’album dei pisani Novadeaf capitanati dal cantante Federico Russo. A dire il vero sono rimasto un tantino spiazzato dalla presentazione del disco scritta proprio dal Russo, nel senso, non riuscivo a capire bene quali storie si intrecciavano dietro questo lavoro. In effetti la presentazione non risulta di facile comprensione, per fortuna noi dobbiamo parlare di musica. I Novadeaf suonano un buon indie pop prevalentemente di matrice britannica, ovviamente cantato in inglese e sicuramente pensato e registrato per dare questo effetto. Il secondo pezzo It Ends Whith A Smile sembra essere una vera e propria bomba scoppiata sulla faccia, adoro le aperture della chitarra e la voce sporca di new wave, un mastering di caratura più elevata avrebbe sicuramente migliorato e di molto l’effetto potenza sprigionato dal brano. Ma non si può certo avere tutto dalla vita. Subito dopo la bomba arriva inevitabilmente il silenzio raccontato nella canzone Man of Fire, ballatona troppo stile REM dedicata apertamente alla vera storia dello scrittore omosessuale Alfredo Ormando, ma una ballata è sempre una ballata nonostante i propri difetti.

Poi improvvisamente le chitarre diventano americane e Bon Jovi s’impossessa dell’anima dei Novadeaf  in Axolotl e per l’intro e qualche parte di Fall From Grace Together che altrimenti sarebbe stata veramente un’ottima song tirata da un basso massiccio, una batteria impeccabile e una voce emozionale. Parecchie similitudini ritmiche con i primissimi Police e questo non è certo un difetto dal quale nascondersi piuttosto un punto fermo sul quale fare forza. Humoresque continua il suo percorso fino alla fine regalando bellezza e qualcosa di veramente brutto, un disco che non riesce a trovare il proprio equilibrio interiore nonostante le buone premesse ci sono tutte, tecnica e orecchiabilità sono la forza dell’intero concept. Ognuno di noi dovrebbe avere il coraggio di prendere delle decisioni convinte e determinate evitando di scendere a compromessi artistici privi di qualsiasi sostanza.

Dei Novadeaf ho saputo apprezzare la grinta che riescono a trasmettere e meno il sentimento interiore dei brani, non mi emoziono davanti a nessuna canzone di Humoresque ma sicuramente mi fanno venire voglia di far saltare il collo.

 

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S.M.S. – Da qui a domani

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Torna sulle scene portandosi dietro tantissime aspettative l’ex frontman dei Diaframma Miro Sassolini, la band che lo accompagna in questa nuova vicenda si chiama S.M.S., un collettivo musicale formato da gente come Cristiano Santini (ex Disciplinatha), e la poetessa Monica Matticoli (dalle iniziali dei loro cognomi S.M.S.) e la collaborazione di Federico Bologna (Technogood e Armoteque). Il disco uscito sotto etichetta Black Fading Records prende il nome  Da qui a domani, un lavoro troppo intenso per lasciare secca la gola, un racconto in versi meritevole di ripetuti e sofisticati ascolti. Monica Matticoli regala belle parole a Miro Sassolini al quale non resta che cantarle con la propria voce indelebile, una delle migliori voci italiane di sempre, e non solo new wave. Di sempre. Negli ultimi tempi fatta eccezione per qualche isolato caso si era persa la concezione di musica di spessore, tutto stava girando attorno alla semplicità e al beffardo stile compositivo dei moderni cantautori italiani ai quali la vena artistica sembra mancare del tutto, nei loro testi appare una sconcertante struttura poetica e le loro canzoni sembrano appartenere ad una generazione senza futuro, un pianto senza fine. Gli S.M.S. mantengono sempre una linea musicale minimale, tanta elettronica inserita da Federico Bologna, la precisione della semplicità d’esecuzione risulta essere arma vincente per la riuscita del disco. Miro Sassolini torna a grandi interpretazioni, tutte le attenzioni sono per lui, Giovanni Lindo Ferretti in stato di grazia ma senza il dannato fascino della new wave nelle corde vocali.

Nel pezzo di apertura Sul Limite Monica Matticoli ci regala un caldo e sofisticato reading  d’introduzione al disco e subito si ha la percezione di quello che realmente sarà Da qui a domani. Poi i colpi di scena sono tantissimi, l’ascolto di una traccia comporta la grande curiosità ad ascoltarne la seguente lasciandosi intrappolare in un circuito vizioso. Tanta elettro music in pezzi come In Quiete, molta atmosfera e la voce viaggia su intonazioni alla Franco Battiato. Ma ascoltando bene quel  Miro Sassolini ricorda tantissimo quello di Tre Volte Lacrime, non si discute.
Ce spazio anche per la dolcezza in Disvelo e Rimane addosso la veste lacerata del risveglio, molto emozionali e trafiggi cuore, i testi giocano un ruolo importantissimo come del resto per tutto il disco. Esageratamente bella la ballata trip-hop A Nudo, modernizzazione del sound dei CSI in Petite Mort.
Da qui a domani è un disco attuale con evidenti influenze del passato e del personale bagaglio artistico dei componenti della band, una delizia dei sensi per chi vuole lasciarsi trasportare da queste atmosfere, la voce profonda di Miro Sassolini dona la vita ai bellissimi testi di Monica Matticoli, una combinazione vincente, un risultato quasi garantito.

Ho sempre amato Miro Sassolini, sono anni e anni che apprezzo le sue interpretazioni, ero certo che il suo ritorno discografico non poteva affatto deludere. Da qui a domani diventa immediatamente una delle migliori uscite discografiche del 2012, Miro Sassolini è l’artista che non delude mai, Miro Sassolini ha cambiato il modo di cantare in maniera significativa.

 

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