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Cabeki – Una Macchina Celibe

Written by Recensioni

Cabeki è compositore d’altri tempi, uno di quelli che riesce a concepire la musica anche senza il bisogno di un testo letterario che supporti il significato. I brani di questo lavoro, Una Macchina Celibe, sono tutti quadri di pura musica strumentale, che si susseguono senza soluzione di continuità in un unicum guidato solo dal programma, per usare un termine più vicino alla musica colta che a quella Pop, esplicitato nei titoli. Frasi ispirate al dadaista Alfred Jarry, con frequenti riferimenti alla tecnologia, che, a dire il vero, forniscono più suggestioni che spiegazioni. Come del resto è giusto che sia.

L’intro orchestrale e arioso di “Se Quest’Uomo Diventasse un Meccanismo”, aleatorio nella scansione temporale e impalpabile, con un rimando immediato ai Sigur Ros, lascia spazio a chitarre acustiche rese caldissime dalla percezione dello scorrimento delle dita sul manico dello strumento. “Il Necessario Ritorno” è prepotentemente cinematografico, un omaggio a Nino Rota, con uno sguardo oltralpe alle composizioni di Yann Tiersen. La terza traccia, “Verso il Ronzio Remoto”, è una delicata e didascalica composizione in cui la chitarra, ancora una volta, spadroneggia con echi della sua tradizione classica. “Di un Ingranaggio Che si Perde” arriva da lontano e sa di Medioriente, a tratti Rock, mentre sembra il Sud l’ispirazione di “Fra Elettrodi di Seta Blu” e l’estremo oriente invece pare guidare idealmente “Negazioni che si negano”, seppure i cori ariosi che seguono immediatamente l’introduzione, suggeriscano ispirazioni carioca. Cabeki ci accompagna in un viaggio che è geograficamente orientato e che lascia trapelare tutta la gamma emozionale che il cammino porta con sé, come nel caso del tono riflessivo di “Alla Banalità di un Valore” o dello smarrimento psichedelico -e molto didascalico considerato il titolo- di “La Bellezza Pura e Sterile Della Semplice Ruota”. “La Diapositiva si Ricorda” richiama i Beirut e i Mogwai, mentre “L’Ultimo Degli Uomini” allontana nuovamente la percezione ritmica per concentrarsi tutta sulla melodia, strizzando l’occhio con veemenza a Ennio Morricone. Un disco per tutti, elegante, raffinato e mai scontato, veramente da sentire.

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