Mina Tag Archive

Edda – Illusion

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L’irriverenza e la libertà di Edda si ammantano di atmosfere più intime e introspettive.
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“Se Cadono i tuoi Pezzi” è il nuovo video dei NaGa

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Se Mina fosse nata nel 1983, sarebbe la cantante dei NaGa? Voi che dite? il nuovo video dei NaGa, intitolato “Se Cadono i tuoi Pezzi”. Anche in questo brano Lela, la cantante del gruppo, dimostra di essere una delle voci italiane più interessanti degli ultimi anni. grazie alla capacità di abbracciare innumerevoli sfumature. Una voce che sa essere sia dolce che energica, sia suadente che perentoria.

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Sanremo 2015 | Più giù di così c’è solo da scavare

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La Carosello Records torna al vinile!

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La Carosello Records, uno dei pilastri della discografia italiana che ha da poco compiuto 55 anni, torna alla pubblicazione in vinile. La storica etichetta decide di affiancare alla distribuzione digitale (download e streaming) e fisica dei cd, anche la distribuzione di tutti i progetti in vinile. Nelle prossime settimane tutti i nuovi dischi targati Carosello, saranno disponibili anche in vinile: da John De Leo (in uscita a ottobre con il nuovo album Il Grande Abarasse) ai Santa Margaret (la Rock band vincitrice del Coca Cola Summer Festival che pubblicherà il primo EP solo in vinile). Ma non solo. Saranno disponibili anche tutti gli album di successo di questi ultimi anni: da Emis Killa a Coez, da Nesli agli Skunk Anansie. In più di mezzo secolo di storia la casa discografica indipendente vanta un ricchissimo catalogo con i nomi più importanti della canzone italiana e non solo. Sono previste infatti anche le uscite invinile di Vasco, Mina, Morricone, il tango di Astor Piazzolla, dei nomi più prestigiosi del Jazz italiano, Toto Cutugno, Giorgio Gaber e molti altri.

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Voglia di X-Factor? Fattela passare. Rock the Monkey!

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Rockthemonkey

Rock the Monkey! Manuale di sopravvivenza per non perdersi nel mondo della Musica.

Oggi più che mai, causa l’avvento e l’affermazione dei più disparati reality di carattere musicale, sempre più paiono i giovani cantanti decisi a intraprendere la “carriera” del musicista ma, allo stesso modo, tantissimi, forse la maggior parte, finiscono per perdersi nelle delusioni, nelle illusorie speranze, nella fama che dura un attimo, nella scarsa preparazione. Pochissimi sono i veri talenti tirati fuori da questi pseudo talent show e probabilmente saranno più i veri talenti che per colpa di questi talent show hanno rinunciato per sempre a scavare nel proprio Io alla ricerca del meglio di se e a intraprendere le strade migliori per far sì che questo talento potesse realmente venire fuori. Per cercare di indirizzare i ragazzi più capaci verso la via ripida e faticosa che rende veri artisti, David A. R. Spezia e Massimo Luca hanno realizzato un manuale che consigliamo vivamente a tutti questi ragazzi, pieni d’idee e con la passione che poi è la stessa che muove anche noi. Per capire meglio di cosa si tratti, abbiamo intervistato i due autori di questo Rock the Monkey!.

Ognuno di noi ha sognato, almeno una volta, di diventare una rockstar. Ma la musica non è solo un sogno, per tanti è una “scimmia” in grado di creare dipendenza e di trasformare chiunque in un perenne cercatore d’oro. Quanti hanno messo in piedi una band con gli amici e hanno iniziato a muoversi nell’universo musicale italiano: i pezzi scritti in saletta, la ricerca di locali dove suonare e di un’etichetta discografica, con l’obiettivo di far conoscere il proprio talento e diventare famosi.

Ciao David A. R. Spezia (scrittore) e Massimo Luca (musicista al fianco, tra gli altri, di Battisti, De André, Mina, Bennato, Dalla, Vecchioni, oltre che compositore e produttore di talenti come Grignani e Antonacci). Come state? Andiamo subito al dunque. Rock The Monkey, un manuale per diventare una Rockstar. A chi è venuta questa idea e perché soprattutto?
David: la scintilla l’ho avuta una mattina. Erano vent’anni che non sentivo Massimo. Ho recuperato il suo numero di telefono da un amico comune e l’ho chiamato. Lui si è ricordato subito.  Io sono stato molto diretto, devo dire, col senno di poi. Gli ho chiesto: “Massimo. Vuoi scrivere un libro?”. Dopo aver spiegato a grandi linee il progetto, ha subito accettato. Qualche giorno dopo ci siamo visti e abbiamo cominciato. Il libro ha preso immediatamente la sua impronta e l’idea è stata sviluppata e portata avanti grazie alla sua grande esperienza nella musica. Come scriviamo nel capitolo intitolato ”Intro”, siamo diventati una chimera. La fusione di due entità: lo scrittore e il musicista. Da qui è nato il nostro libro.

Massimo: Sì, oggi tutti vogliono apparire e lasciare una traccia di se stessi sulla Terra. Questa è una vera e propria sindrome! La causa va attribuita ad una televisione populistica che lancia in modo più o meno evidente messaggi che esasperano troppo il senso dell’edonismo! Il libro/manuale cerca di riportare il lettore in una dimensione normale raccontando quello che sino a qualche anno fa è stato il mestiere più bello del mondo. Il messaggio è evitare di fare i fenomeni da baraccone e migliorare la propria personalità artistica attraverso lo studio e la conoscenza fino al raggiungimento di uno stato di eccellenza. La scimmia? È la passione che non ci fa sentire la fatica. È una donna che ami senza essere riamato!

Ho letto il libro e, vista la presenza di David A. R. Spezia, mi aspettavo una narrazione meno schematica, quasi più un racconto dentro il quale s’inserissero le vostre idee. Invece si tratta proprio di un manuale, nel senso più classico del termine. Come mai questa scelta narrativa?
David: io direi che la scelta della prima persona nella narrazione, abbia portato il libro a essere meno “saggio” e più “manuale esperienziale”. È vero che si trovano pagine dedicate ai trucchi del mestiere, magari con elenchi di cose da fare e da non fare, però in tutto questo si inseriscono aneddoti della vita di Massimo: le sue esperienze dirette con Lucio Battisti per esempio, o di come abbia portato Gianluca Grignani al successo del primo album. Il libro vuole dare consigli, senza essere però pretenzioso. È come se qualcuno mi raccontasse la sua vita: ciò che una volta accadeva nelle botteghe degli artigiani nei confronti del garzone. Oggi questo non esiste più: ognuno fa musica e pretende di farla senza aver voglia di imparare l’arte e il mestiere.

Personalmente non sono mai stato un grande amante dei “manuali”, quei libri che pretendono di dare risposte, preferendo i testi che favoriscono il dubbio. Tuttavia in Rock The Monkey c’è qualcosa di diverso. Cosa lo distingue sostanzialmente da un manuale per smettere di fumare, uno per perdere peso, e cosi via?
Massimo: in effetti, non è un vero e proprio manuale; il titolo è ammiccante, quasi umoristico! In realtà, a parte alcuni consigli dovuti dall’esperienza, è un passaggio di testimone tra due generazioni che sono abbastanza distanti! Qui nessuno insegna niente a nessuno! Ho voluto “restituire” il dono che ho ricevuto quando ero poco più che un ragazzo. Il “dono” è tutti gli insegnamenti che i “vecchi” mi avevano regalato e che hanno contribuito non poco a far divenire la mia carriera quasi leggendaria. Dopo cinquant’anni ho voluto restituire ai più giovani questo “dono”.

Nella scrittura ho notato alcune cose caratteristiche. Esempio, frasi brevissime, tanta punteggiatura e “a capo”. Una fluidità anche eccessiva talvolta. Inoltre, molte note talvolta elementari e ripetizione dei concetti (cosa che nei manuali si nota spesso). A cosa è dovuta questa scelta espressiva?
David: il motivo è che quando si chiede a qualcuno di insegnarci qualcosa, questa persona deve cercare di esprimersi in maniera diretta e semplice. Ogni concetto deve essere fissato con pochi e facili termini. Ripetuto più volte per essere metabolizzato. Visto che la narrazione è sempre in prima persona, bisogna immaginare che è come se ci fosse Massimo a parlarmi in quel momento. Quando c’è dialogo, difficilmente si hanno frasi lunghe, tortuose, “teatralmente compite”. Non sarei alla scuola di un artigiano, al contrario, sarei alla lezione di un professore che non farebbe altro che conciliare il sonno. Per quanto riguarda le note, invece, il motivo deriva dal fatto che il libro è davvero pensato per tutti, anche per chi non sa niente della musica. Cose che per i quarantenni sono normali, per i ventenni non lo sono per niente.Chiedi a un ragazzo chi era De Andrè.

A chi si rivolge il volume? Avete pensato a qualcuno in particolare o a una categoria precisa quando avete deciso di scriverlo?
David: Rock The Monkey! è per tutti. È per i musicisti che vivono di musica. Per chi ha tentato la strada della musica e oggi fa altro. Per chi vuole iniziare questo percorso e non ha la minima idea di quello che lo aspetta. Soprattutto, è un manuale di vita che raccoglie aneddoti e pensieri di anni di palco e retropalco in un periodo in cui la musica era spumeggiante, viva, prepotentemente alla ricerca di se stessa. Mi ha fatto piacere leggere il commento di una lettrice, non musicista, che ha scritto che il libro è una “scusa che ti fa capire come affrontare la vita”.

Nel libro si afferma giustamente l’idea che, chi ama la musica, non dovrebbe inseguire il successo. Ma in fondo chi ama fare musica desidera anche condividere le sue emozioni e il successo è l’estremo della condivisione. Dunque, sono veramente cosi antitetici la passione vera per la musica e la voglia di inseguire il successo, inteso non in termini economici ma di pubblico?
Massimo: dico sempre che il successo è “dentro” di noi. Ricordo che negli anni 60 il successo lo decretava il pubblico quando ascoltava un complesso o un cantante. La balera “piena” di gente era il successo. Significava continuità, e la continuità significava sopravvivenza! Nessuno di noi ambiva a fare dischi! Noi volevamo solo “lavorare”, cioè suonare sopra un palco sapendo che domani ci sarebbe stato un altro palco e così via. Il disco era la fase terminale del progetto artistico. Quando centinaia di migliaia di persone conoscevano quel tal cantante o gruppo, mettere un disco sul mercato voleva dire averlo già quasi venduto! Oggi la televisione parte da quella fase terminale, e cioè al contrario. Si parte dal “successo” per finire a casa propria senza che nessuno noti che siamo scomparsi. E questo perché il “gioco” prevede un nuovo vincitore. Se questa è una carriera!

Altra cosa, parlate giustamente di live e indicate questa come una delle strade migliori per fare la necessaria gavetta. Eppure (anche noi con Streetambula organizziamo eventi) non tutti riescono a trovare spazi e date, vuoi per la concorrenza spietata di Tribute Band e Dj improvvisati, vuoi perché al pubblico della musica interessa meno che mai, vuoi perché pochi sono i locali attrezzati, vuoi perché pochi sono i gestori appassionati (molti i localari, come li chiamate nel manuale). Come si può indicare un problema, come la soluzione?
Massimo: localari a parte (c’erano anche cinquant’anni fa!) il problema vero, a mio parere, è la qualità del repertorio! Oggi quasi nessuno è più in grado di scrivere una canzone di quelle che si canteranno tra trenta o quarant’anni. E quindi si capisce il successo della “Tribute Band” che replica a papera un successo già conclamato dall’originale! La gente ha bisogno di cantare le canzoni e quelle di oggi sono solo note che si inseguono spesso senza nessun talento o logica artistica. Un giorno qualcuno disse che TUTTI potevano scrivere una canzone e il risultato è purtroppo visibile! E visto che sognare non costa nulla,immaginiamo un ragazzo in una balera qualunque di periferia che canta una nuova canzone tipo “La canzone di Marinella” o “Fiori rosa, Fiori di pesco”. La gente sgranerebbe gli occhi dalla sorpresa, esattamente come avevo fatto io quando ho sentito i Beatles dal vivo nel 65.

Personalmente ho notato un certo addolcimento del Rock moderno, meno propenso a esprimersi con aggressività, sia musicale sia testuale, specie in provincia. Quanto questa tendenza può essere data dal fatto che è più difficile suonare per chi sceglie strade di questo tipo? Stesso discorso per la sperimentazione. Chi osa e cerca veramente di essere originale ha meno chance e porte cui bussare?
Massimo: il Rock moderno non esiste! Non c’è più Rock, tantomeno in Italia! Dico sempre che il Rock non è una chitarra “distorta”. Il Rock è una filosofia di vita. Il Rock, quello vero, aveva testi dissacranti, quasi pornografici. Simulavano l’orgasmo! Quello di oggi è vile Pop mascherato con chitarre “power” che simulano il SUONO del Rock ma che Rock non è. La responsabilità dei nuovi “mostri” sacri attuali è grave! Loro (forse) sanno la verità ma se ne guardano bene dal divulgarla. C’era molto Rock nelle canzoni di Bob Dylan, anche se non c’era “rumore”. Oggi c’è molto rumore per nulla! A mio parere Vasco è più rock di quello che scrive.

Nel testo, a un certo punto, fate una lunga carrellata di artisti italiani, da Vasco a Grignani. Mancano però nomi nuovi. Chi sono gli artisti che, seguendo la strada indicata nel manuale, oggi possono dirsi delle Rockstar? Intendo artisti giovanissimi.
David: dipende sempre dal concetto di “Rockstar”. Se con questo termine intendi il successo e il conto in banca, direi che ce ne sono parecchi di esempi, oggi. Come diciamo nel libro però, il successo non si misura in una stagione. Bisogna ragionare in anni. Abbiamo inserito una lunga carrellata di vincitori dei due talent televisivi più seguiti: è curioso leggere i nomi delle prime edizioni e vedere, in chi ti sta di fronte, l’espressione tipica del “non l’ho mai sentito”. C’è poi qualche altro vincitore che è finito a fare spot per operatori di telefonia mobile. Nomi nuovi non sono citati nel manuale semplicemente perché riteniamo sbagliato prendere ad esempio una carriera magari di due, tre o quattro anni. Se ragioniamo in questi termini, la vera sfida sarebbe decidere chi lasciare fuori. Il concetto di “Artista” è molto più ampio: “è uno stato genetico immodificabile” che prescinde dal look e dal successo.

Massimo: ho letto qualche giorno fa su un quotidiano che presto uscirà un film sulla vita e il successo di Marco Mengoni! Come Jim Morrison dei Doors! (ride ndr)

Perché la musica di qualità, che si tratti di Rock, Musica Leggera o Avanguardia, fa cosi fatica a emergere e attecchire?  Di chi è la colpa della mancanza d’interesse del pubblico per la qualità ma anche per la novità, sia nella musica sia nei nomi?
David: dipende dal grado di attenzione. Oggi solo una minoranza silenziosa ha l’interesse di approfondire un concetto per arricchirsi. La maggioranza è tracotante, rumorosa. Viaggia in terza corsia con gli abbaglianti accesi e suonando il clacson per sorpassare.Siamo tutti costantemente disorientati da mille stimoli. In un contesto di questo tipo, chiunque voglia affermarsi deve urlare più degli altri e utilizzare l’unico mezzo che consente di farsi notare in poco tempo: la televisione. E siccome l’interesse è poco, l’approfondimento nullo, l’affezione inesistente, il pubblico non potrà far altro che spostarsi sulla prossima novità.

Massimo: David ha espresso bene il concetto. Aggiungo solo che ogni anno nel nostro paese ci sono quindici milioni di download di suonerie stupide e banali. È la cultura, il massimo comun denominatore della qualità della vita di un popolo. È un problema anche politico.Vivere senza cultura è come affrontare il polo nord con le infradito!

Supponiamo che 1000 cantanti leggano il vostro libro. Quanti di questi pensate onestamente che possano seguirne i dettami? E quanti riusciranno veramente a suonare senza dover fare altro nella vita?
David: su mille che lo leggeranno, mille lo faranno proprio. Di questo sono convinto.Non è facile avere il tempo di leggere oggi. E quindi, chi si prende l’onore di acquistare un libro, significa che è già mentalmente predisposto a investire del tempo su se stesso. Basta solo un concetto, uno solo, che sia rimasto e per me sarà già un enorme successo.

Massimo: David è molto ottimista e voglio esserlo anch’io! Però resta il fatto che statisticamente i giovani non leggono giornali né libri tranne quelli di Fabio Volo! Speriamo almeno nei musicisti e nei cantanti “contaminati” dalla “Scimmia”!

Nell’ultima parte del libro, parlate della figura dell’artista, in musica, ma sembrate tenere fuori tutta una serie di tipologie come gli sperimentatori (quest’anno non posso che citare i Nichelodeon, i Deadburger, gli InSonar as esempio) che, raramente riempiono stadi o scrivono “canzoni”. Ci vorrebbe un altro manuale per chi vede la musica sperimentale come la propria strada?
David: il libro va proprio in questa direzione. Non esiste un prototipo di artista o musicista. Nel libro citiamo l’”olimpo degli dei”, volutamente scritto in minuscolo, per indicare quel luogo cui tutti aspirano. L’olimpo non è un QUANDO – quando sarò famoso -, ma un DOVE, proprio per indicare che il successo nasce da noi stessi e non da fattori esterni, come la riconoscenza del pubblico. Grazie all’esperienza di Massimo, abbiamo descritto situazioni di vita vissuta. Di com’era la musica quando esisteva ancora un percorso artistico. Di com’è diventata oggi. Chiunque faccia “ricerca”, sia essa sperimentale o tradizionale, sposa la filosofia di “Rock The Monkey!”, perché è alla Scimmia della Musica che noi guardiamo, non al linguaggio utilizzato. Per questa ragione, stiamo organizzando seminari nelle scuole (non solo di musica): a febbraio saremo in due eventi in una delle più importanti scuole milanesi, davanti a ragazzi di medie e liceo. E in futuro vedo benissimo una collaborazione con chiunque sperimenti percorsi alternativi di musica, anche in queste occasioni di “testimonianza” per i giovani.

Massimo: concordo con David e ribadisco che il successo è dentro di noi. Cioè tutte le volte che riusciamo a “catturare” nel buio cosmico un gruppetto di note che insieme formano una grande melodia. Anche Battisti era uno sperimentatore, ma è stato anche un artista molto popolare. Sperimentare non vuol dire “ora faccio qualcosa che capiamo in pochi”. Questo è bieco provincialismo!

Grazie mille della disponibilità.
Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto. Poi, se volete, rispondetemi.
David: cito due frasi di Rock The Monkey! a me particolarmente care: “Se sarai tu a cullare la scimmia, avremo vinto” e “tutto il resto è da raccolta differenziata”.

Massimo: ma chi è ‘sto Massimo Luca?

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Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Sessanta

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Anni  60, quanti ricordi. Ad essere sinceri nessuno, perché in quel decennio anche mio padre era, al massimo, solo un adolescente. Eppure ogni cosa che ha riguardato la nostra vita, un disco, un film, un vestito, un pensiero, ha a che vedere con i Sixties. Erano gli anni della guerra fredda di Usa e Urss e di Cuba, del terremoto in Cile, di Martin Luther King e  Jurij Gagarin, del muro di Berlino, dell’avvento dei Beatles, dei Rolling Stones e del Papa buono. Gli ultimi anni di Marylin, Malcom X e John Fitzgerald Kennedy. Gli anni di Chruščёv e della minigonna, del Vietnam e della Olivetti, di Mao e del Che, della primavera di Praga e dei Patti di Varsavia, di Reagan e degli hippy, del pacifismo e dell’anarchia felice. Gli anni dei fascisti e dei comunisti, della British Invasion e di Mina, di Kubrick, della Vespa, della 500, di Carosello e di Celentano. Gli anni della contestazione studentesca e dell’uomo sulla luna, gli anni di Woodstock, delle droghe, della psichedelia e gli anni del Rock perché quegli anni sono le fondamenta solide su cui poggia tutta la musica (o quasi) che ascoltate oggi.

A scadenze non prefissate, Rockambula vi proporrà la sua Top Ten di determinate categorie e questa di seguito è proprio la Top Ten stilata dalla redazione in merito agli album più belli, strabilianti, influenti e memorabili usciti nel mondo nei mitici, impareggiabili anni 60. Nei commenti, diteci la vostra Top Ten!

1)      The Velvet Underground – The Velvet Underground & Nico

2)      Jimy Hendrix –   Are You Experienced

3)      The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band

4)      The Doors – The Doors

5)      Led Zeppelin – Led Zeppelin II

6)      Pink Floyd – The Piper at the Gates of Dawn

7)      Bob Dylan –   The Freewheelin’ Bob Dylan

8)      Led Zeppelin – Led Zeppelin

9)      David Bowie – David Bowie (Space Oddity)

10)   The Stooges – The Stooges

Vincono Cale, Reed e Nico con la loro banana gialla disegnata da Andy Warhol ma la presenza di Hendrix e The Stooges in Top Ten la dice lunga su quanto, a noi di Rockambula, piacciano le ruvide e sperimentali distorsioni dei mitici Sixties. Ovviamente non potevano mancare The Beatles, i re del Pop di quegli anni, presenti con uno dei loro capolavori assoluti, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, mentre la scena Psych Rock, formidabile nei Sessanta, è rappresentata degnamente grazie all’esordio dei Pink Floyd con Syd Barrett ancora in grado di esserne l’anima e l’omonimo The Doors. Chiudono la lista uno dei più grandi cantautori mai esistiti con The Freewheelin’ Bob Dylan, il re del Glam Rock David Bowie e l’unica band capace di piazzare nei primi dieci posti ben due album, ovvero i Led Zeppelin.

Esclusi eccellenti, anche se citati dai nostri redattori, i Beach Boys con Pet Sounds, Frank Zappa, Captain Beefheart e, udite udite, i Rolling Stones.

Ora potete iniziare a urlare le vostre Top Ten!

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All Female Bands (seconda parte)

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Continuando il viaggio intrapreso la settimana precedente sull’universo musicale femminile, affrontiamo il discorso sotto un’ottica tra Pop e Rock, tra massa e individuo.

Nonostante le girl-band siano certamente una realtà in crescita anche se comunque una minoranza (e ciò molte volte è dovuto al fatto che risulta troppo impegnativo riuscire a conciliare una carriera musicale con gli obblighi famigliari oppure nella difficoltà spesso di trovare giovani donne che suonino strumenti classicamente Rock come la batteria), bisogna anche riflettere su quanto invece sia estremamente facile trovare voci femminili, e come queste abbiano avuto e hanno tutt’ora potere e spazio nel panorama musicale.

L’interprete femminile, infatti, ha sempre ricoperto un ruolo importante nella musica in generale (ricordiamoci che personaggi come Mina, Patty Pravo, oppure Caterina Caselli hanno cavalcato le classifiche musicali per un lungo periodo) e che la voce raffinata e profonda di Mina sia stata riconosciuta non solo all’interno del panorama musicale nazionale, ma anche oltreoceano: nel 1961 This World we Love in – versione inglese di Il Cielo in Una Stanza – riesce a entrare all’interno della classifica dei singoli più venduti secondo Billboard, e All Music Guidela definisce come “One of the most popular and influential postwar italian artist”. Quindi la donna è stata importante e lo è tutt’ora all’interno della musica mainstream, che comunque rimane la musica maggiormente influente per l’opinione e la visione della donna, non solo nel settore,  ma anche nella società.

Ecco dunque che qui si pone un’ulteriore riflessione: spesso la donna viene accusata di utilizzare il proprio corpo come veicolo principale per promuovere la propria arte e di proporre un’immagine troppo ammiccante e non vicina alla realtà di tutti i giorni. Questo è vero? È giusto? È sbagliato? Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma ciò mi permette di ampliare la questione anche alla scena rock femminile. Parlando proprio con una componente di una all female band rock nostrana, le Rocker Pussy Grim, la questione è venuta a galla dopo che la cantante mi ha riferito di aver ricevuto una critica che affermava come il successo dei  gruppi Rock femminili non sia dovuto ad un fattore musicale, ma unicamente a una scelta di marketing e d’immagine. Non prendiamoci in giro, le Bikini Kill erano tutte donne, suonavano musica tecnicamente semplice, eppure non hanno avuto successo solo perché erano donne e basta, ma perché erano donne incazzate che gridavano al mondo la loro rabbia verso l’omofobia e i pregiudizi, promuovendo la parità dei sessi. Era una band che trasmetteva messaggi contro lo sfruttamento del corpo femminile utilizzando il corpo stesso. Un ossimoro certo, ma un ossimoro che colpisce, ha un significato profondo e risulta efficace. Anche noi in Italia non siamo stati da meno e avevamo una giovane Jo Squillo che, prima di buttarsi nell’Italo-Disco e successivamente diventare la regina della moda trash televisiva, capitanava un gruppo di donne Punk incazzate dal nome Kandeggina Gang. Non erano molto distanti dalle idee delle Bikini Kill, e nei loro testi l’odio verso l’altro sesso e verso una società perbenista, maschilista e noiosa usciva prepotente senza mezzi termini: “Che lavaggio del cervello tu non pensi che al tuo uccello, che lavaggio secolare tu non pensi che a scopare, orrore orrore mi fai vomitare” cantavano in Orrore del 1979. Insomma: erano delle adolescenti ribelli che al posto di fregarsene delle critiche che in quel periodo venivano rivolte verso la generazione giovanile – definita spesso fannullona e senza ideali – decisero di creare qualcosa di nuovo e forte per scuotere l’opinione della gente. Il futuro era in mano ai giovani e loro erano giovani, contro il perbenismo, e soprattutto consapevoli della loro forza.

Ora, continuando cronologicamente all’interno della storia musicale e arrivando dunque ai primi anni ’90, ecco che l’argomento delle girl-band e rispettivamente delle boy-band entra prepotentemente all’interno dell’immaginario collettivo. Inizialmente uno dei primissimi esperimenti discografici su questo fronte sono stati i Take That (da cui uscirà poi vincitore Robbie Williams) che nel giugno 1993 sfornano il loro primo singolo da top 10: Pray. Questi cinque ragazzi, grazie anche all’utilizzo del proprio corpo, diventano presto gli idoli di giovani teenager e giovani omosessuali sparsi per il mondo. Ovviamente, dopo questo enorme successo, l’industria musicale non si fa scappare l’occasione di investire in questo nuovo mercato, e pensa bene di allargare il cerchio anche alla sfera femminile, lanciando le ormai famosissime Spice Girls. Ora, per quanto siano state e sono per molti un gruppo di bassa qualità Pop e unicamente un prodotto discografico confezionato, le liriche delle Spice Girls,se si ascoltano attentamente,  nascondono al loro interno molti messaggi riguardanti l’indipendenza femminile, che presto diventerà parte integrante dello “Spice Brand(es. il DVD “Girls Power! Live in Istanbul” del 1997 con l’inserto “Girls Talk”). Messaggi d’individualità e del discorso Girl Power gli troviamo anche nella personalità differente di ognuna di loro, infatti ogni Spice ha una propria personalità e una propria collocazione sociale (Geri èquella sexy e determinata, Mel B l’afroamericana piercingata, Mel C la maschiaccia coi pantaloni della tuta, la dolce Emma e la fashion Victoria). Tutto questo,ovviamente, fa parte di una mossa studiata a tavolino per rispondere all’esigenza di aggregare in un unico brand (come una gang) diverse origini culturali. Tirando le somme, queste cinque ragazze hanno lanciato il messaggio che “L’individuo e la sua soggettività sono indispensabili e l’appartenenza ad un gruppo rende questi valori forti e rispettabili”. Ecco spiegato il motivo di tanto successo, le Spice, in fondo, altro non erano che delle figure di riferimento per tutte le giovani teenager che si aggregavano in gruppi di appartenenza mentre passavano la fase intermedia, quella in cui non ci si sente più bambine ma nemmeno ancora donne. Questo era il loro target d’audience, questo era il loro mercato, questo era ciò che rappresentavano. Noi italiani ovviamente ci siamo arrivati dopo, come sempre (quando mai i discografici nostrani sarebbe riusciti a guardare così oltre?!), e nei primi anni 2000 abbiamo fatto lo stesso esperimento con le Lollipop (che, per altro, si sono riunite e sono pronte per un nuovo tour).

Bene, tutto questo lungo blablabla sulle girl-band nel pop è servito a far risaltare ancora di più la potenza che l’immagine ha sulla cultura sociale e dunque quanto possa influenzare il collocamento della donna nella società. Il discorso su cosa sia giusto trasmettere attraverso la musica e in che modo sia opportuno farlo essendo donne potrebbe continuare all’infinito. Concludo dunque ricordando che le donne oggi fanno musica, sono libere di esprimersi, spesso sono consapevoli del potere che il loro corpo ha, spesso lo utilizzano per lanciare dei messaggi e altre volte, invece, per vendere dischi. In fondo il mondo è bello perché vario, ma vorrei che ogni donna potesse avere la libertà di salire su un palco senza preoccuparsi di mettersi una minigonna ed essere additata come una che lo fa per creare audience. Si piace così, e dunque perché non dovrebbe più essere vista come una musicista ma invece come una con due gambe e un paio di tette? Tutto sta negli occhi di chi guarda.

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Koinè – Come Pietre

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Diciamo subito un disco che avrebbe potuto dare molto di più, tuttavia il merito di provare a dare qualche scossa all’ascolto alzando di tanto in tanto il loud dei toni. Come Pietre, il nuovo album dei ferraresi Koinè,  si percepisce e riesce nell’intento di farci dimenticare per un po’, le abbondanti suggestioni negative che ultimamente girano nei territori dell’underground di casa nostra. Il loro è un Pop-Rock classico, scorrevole e nella norma caratteriale, bei refrain, ottimi arrangiamenti, qualche hook da palinsesto radio e quei flirt ispiranti alle tranquillità figurate di un Nek e le accorate epiche dei Modà, un canovaccio di melodie dolciastre che si imprimono nelle inconsapevoli (ri)fischiettate che fanno compagnia lungo una qualsiasi giornata.

Nove brani rassicuranti dai contorni rockeggianti, una forte linea di credito con le atmosfere festivaliere che però non scadono nella banalità innaffiata, bensì si innalzano nel focus di una centralità emozionale che piace e piace ancora, una spinta ed una opportunità per l’ascolto a cimentarsi con “il bel canto indipendente”, virtù che la band mette in mostra senza camuffare di un millimetro la grazia in esso custodita; pacati, riflessivi, a volte incazzati, i brani si presentano uno dietro l’altro con la passione del raccontato, dello sfogato con cuore gonfio e aperto, amori e pensieri si accavallano tra riff di chitarra spasmodici “Come Pietre”, si nascondono in nenie ondulate “Freddo Fuori” fino ad esplodere nel running di pedaliere accolto nella stesura di “La Ballata Dei Panni Sporchi”, inno elettrico di verve ed ironia contro chi “sta sopra e detta leggi fasulle”.
Pop dalle mille sfumature, un piccolo spostamento d’aria che senza andare a cercare chissà quali innovazioni stilistiche, rimane dritto nel suo bel affabulare, un Pop che senza snaturare la sua attitudine con esaltazioni roboanti, si ascolta e tiene per mano l’anima specie nei sussulti pieni di echi della ballata “Segui la Notte” o nei carati senza prezzo della rivisitazione di “E se Telefonando”, il diamante del sessantasei portato al successo da Mina e scritto da Maurizio Costanzo.

È solo un buon disco e i Koinè sono solamente grandi tanto da prenderli ancora e veramente sul serio

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