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Anubis – Hitchhiking to Byzantium

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Se qualcuno dovesse porvi la domanda, stupida a dire il vero, su quale sia, a vostro avviso, il genere, lo stile musicale che più incarna l’idea di vetusto, cosa vi sentireste di rispondere? Non ho dubbi che il principale indiziato sia il Progressive ed è abbastanza chiaro anche il motivo di tale scelta. Il Rock Progressivo ha, del resto, già nelle sue fondamenta qualcosa di maturo, serioso, poiché voleva essere lo strumento per dare un valore più alto alla musica Rock. I testi e i brani erano complessi, lunghi, articolati e tecnici e non certo adatti a un pubblico grezzo, impreparato e proprio questa lacuna divenne l’arma principale di diffusione del Punk Rock, che, al contrario si basava su velocità, aggressività, semplicità. Con l’avvento del Punk, fu questo, con tutte le sue evoluzioni future, a incarnare l’archetipo di stile “giovane” e, man mano, il Prog divenne la risposta all’insulsa questione che trovate a inizio articolo. Eppure, ci sono band che sono riuscite negli ultimi anni, a rielaborare le lezioni del Progressive tornando a suonarlo non solo per un pubblico di esperti e “anziani” ascoltatori ma anche per le più fresche generazioni. Ovviamente, questo processo è necessariamente passato per le più disparate contaminazioni che ne hanno modificato sia la parte formale sia quella sostanziale, ma è indubbio che quanto fatto da band come i Marillion negli anni 80, i Porcupine Tree il decennio seguente e Tool o The Mars Volta all’inizio del nuovo millennio, è qualcosa di sensazionale.

In tale ambiente, s’inseriscono con cautela gli australiani Anubis, a dire il vero mai veramente capaci di imporre il proprio marchio a un pubblico anche solo moderatamente più ampio e che, con questo Hitchhiking to Byzantium spostano un poco indietro quel processo di rinnovamento del genere di cui abbiamo parlato. Cerchiamo di capirci, non si tratta certo di un lavoro mediocre o di scarso valore, anzi, probabilmente è questo il migliore dei dischi della band capitanata da Robert James Moulding e gli appassionati non dovrebbero certo lasciarsi sfuggire quest’uscita ma il punto è che tanta “classicità” in un disco Prog rischia di diventare un’autorete in pieno recupero, se mi passate la metafora calcistica. La principale novità rispetto alle opere precedenti sta nelle liriche e nella sua composizione. Non più affidate al solo Robert James Moulding ma ora lavoro di tutti i membri della band e quindi non più un unico fluire narrativo ma un insieme di diverse tematiche ed esperienze.  Musicalmente nessuna novità, brani lunghi, epici, accenni di psichedelia, note di piano che fanno da sfondo agli assoli notevoli ma non eccessivamente sopra le righe. Tutto suonato alla perfezione, tanto che non ci sono dubbi che questo Hitchhiking to Byzantium possa essere annoverato tra le migliore uscite Neo Prog dell’ultimo decennio, almeno se a stilare un’eventuale classifica fossero fanatici di quel genere. Il problema è che io non lo sono, o meglio ho uno spettro di ascolti più ampio di qualunque tipo di fanatico ed ho interesse a che un album non sia solo di pregevole fattura ma possa anche rappresentare un passo avanti rispetto al passato, specie quando si tratta di musica che nella sua stessa definizione ha il nemico pubblico numero uno.

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Sailor Free – Spiritual Revolution

Written by Recensioni

Ci vuole un carico di ambizione pesante come il mondo per realizzare un concept album di questa portata, soprattutto se la band che lo edifica è una formazione emergente e non un grande e noto nome del panorama alternativo mondiale. Il fulcro di questo Spiritual Revolution dei Sailor Free è il concetto di energia inteso come esistenza, dinamismo, spirito creativo, mezzo di progresso collettivo. Interpretato come fulgore, ardore, sostegno, fluttuazione e potenza del rinnovamento. Come intuizione della ragione e dell’anima, come voglia di conoscenza. Allontanarsi dalle strade comuni e conservatrici per sperimentare nuove vie che possano permettere un arricchimento sociale condiviso e di grado superiore cosi da ridistribuire correttamente l’energia. Il punto di partenza dell’intera opera, la fonte d’ispirazione, è il Silmarillion di J.J.R. Tolkien (Il Signore Degli Anelli, The Hobbit). L’opera è essa stessa base dei capolavori di Tolkien ed è il fondamento di tutto il mondo creato dall’autore, una sorta di Bibbia che racconta la genesi e la vita di una realtà parallela e/o futuristica, un cosmo che non esiste se non nella sua mente e in quella dei suoi lettori. Tale testo, forse non molto noto al grande pubblico, è in realtà spesso stato punto di partenza per diverse band (Blind Guardian, Marillion) che hanno trovato nelle parole del grande autore britannico l’ideale guida per la ricerca e lo sviluppo delle loro necessità compositive. La storia, volendo riassumerne gli aspetti per noi più utili, narra l’amore tra due entità, particelle disperse di due universi, le cui traiettorie finiscono per intersecarsi per via della loro attrazione, finendo per generare un’immediata fusione. Da tale aggregazione vi è una nuova nascita che li porterà in un creato alla deriva del quale si trovano obbligati a cambiarne le sorti, attraverso la conoscenza da condividere in maniera osmotica con l’umanità tutta, alla ricerca del benessere comune e non del personale appagamento dei singoli. Partendo da queste premesse, avrete capito che si tratta di un disco complicatissimo ed effettivamente lo è, anche sotto l’aspetto prettamente musicale. I Sailor Free scelgono un modo di fare musica caratteristico di decenni addietro, gli anni del progressive e della psichedelia, ma riescono a portare quest’idea di componimento in età moderna fondendo elementi propri del passato con le caratteristiche del rock alternativo moderno. La loro opera diventa il punto più alto di una carriera ventennale e il risultato di otto anni di assenza dalle scene. Spiritual Revolution è un lavoro colossale e mastodontico che si può definire come il manifesto musicale di un nuovo modo di pensare (vedi Spiritual Revolution People). Dentro i quattordici brani si alternano diversi movimenti, disparate melodie, un’infinità di cambi di ritmo, stili che viaggiano nel tempo, spesso all’interno dello stesso brano. La stessa “Spiritual Overture” è una serie di passaggi dall’ambient mantrico e religioso, attraverso la drone-music, a momenti di epico progressive, fino a riff taglienti e scenari psichedelici anni sessanta/settanta, per chiudersi in un Pop delicato e misterioso, grazie all’apporto del piano di David Petrosino. Non mancano pezzi in cui è la matrice Alternative Rock moderna a farla da padrone (“A New World”, “Beyond The Borders”), con sezione ritmica pulsante e chitarre acide e aggressive, cosi come non scarseggiano accenni al Rock anni ‘80/’90 stile The Cult e non solo (“The Run”, “Betray”, “The Faithless”, “Spiritual Revolution”), al Prog Rock/Metal stile Muse o Tool misto a schitarrate Hard Rock (“The Curse”, “Spiritual Revolution”, “War”).  La calma che contraddistingue alcuni brani (“Daeron”, “My Brain”) sembra richiamare alla mente anche la scena di Canterbury nella persona del grande Robert Wyatt (Soft Machine) di Rock Bottom pur non disdegnando elementi propri del Pop pre fine millennio. Innumerevoli sono gli inserti ritmici e melodici tipici della World Music (“Spiritual Revolution”) cosi come gli ingredienti psichedelici, pressoché presenti in ogni brano dell’opera ed evidenti in maniera chiara ad esempio in ”The Curse”; non mancano inoltre brani esclusivamente strumentali che mescolano un certo stile moderno di Post-Rock con psichedelia e progressive stile Pink Floyd (“The Entropia”, “Break The Cycle”). Altri elementi caratteristici, anche se meno palesi, sono gli accenni alla psichedelia post industriale che si possono ascoltare in “The Curse” o nella parte iniziale dell’introduzione. Come vi avevo accennato quindi, la complessità di Spiritual Revolution non sta solo nel fatto che si tratti di un concept che muove i suoi passi da elementi letterari e da ideologie alternative. Si tratta di qualcosa di mostruoso anche a livello sonoro con continui passaggi, anche dentro lo stesso pezzo, da uno stile all’altro, da un movimento all’altro, da una ritmica all’altra. Hard Rock, Psych Rock, World Music, Post Rock/Metal, Alt Rock, Ambient, Drone Music, Pop sono gli ingredienti di un brodo primordiale diventato paradiso terrestre. Spiritual Revolution non è certo un disco che si può ascoltare con facilità e non è un disco per tutti. Ha bisogno di attenzione, tempo, buona preparazione. È l’esatto opposto di quello che la musica sta diventando. David Petrosino (voce, piano, tastiere), Stefano “The Hook” Barelli (chitarre), Alfonso Nini (basso) e Stefano Tony (batteria) ci hanno regalato un piccolo capolavoro e di questi tempi è meglio non farselo sfuggire.

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