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Adriano Modica – La Sedia

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Di primissimo impatto è difficilissimo stabilire un minimo di rapporto  – anche simbolico – con il nuovo e terzo disco del cantautore calabrese Adriano Modica, “La Sedia”, ma poi seguendo il percorso informale della tracklist, si è percorsi da una strana malia suggestiva che si apre progressivamente, e in pochi giri di stereo, si arriva alla consapevolezza di un lavoro discografico non male, con molta scorza, ma non male se si è pervasi dai movimenti interiori che l’artista stesso mette in mostra attraverso dieci brani.
Il disco parla ed intende espressività dentro, un cantautorato dai doppifondi d’anima rigati, una strana psichedelica che incrocia Barrett e Basile come fossero giorno e notte, poesia, struggimento, devastazione e delicatezza si amano e intrecciano le loro corporalità come serpi addomesticate, un’opera che vive e sbava di luce propria, in movimento come negli stati fermi dove tutto è contenuto e poi rilasciato come una forza viva mai artificiosa; brani come fotografia ingiallite, arrangiamenti come istantanee in bianco e nero, poetica come un fuoco a metà ma che riscalda comunque se ascoltato tra la notte e l’alba.
Modica, artista della Calabria underground, non si fa mancare nulla nell’armamentario strumentale che suona nel disco, flauti, archi, ottoni, clavicembalo, vibrafono, timpano, e poi quell’asterisco esemplare che brilla nella partecipazione dell’artista inglese Duggie Fields; dunque un lavoro che – come si diceva prima – si apre piano piano e mostra tutte le sue intercapedini sonore facendo diradare tutte le foschie che appaiono all’inizio, lasciandosi poi familiarizzare in maniera piena con i messaggi che l’opera stessa vuole consegnare agli ascolti. Ascoltato di seguito può dare anche leggeri accenni di dipendenza, una sincronizzazione di stimoli sonori che arrivano diritti all’orecchio come la De AndrèanaIl bastone e la scala”, il pizzicare di corde acustiche solitarie “Alluminio”, “Che mi dai”, “Stelle scalze” o il fantasma flebile di un Drake notturno che si muove pensieroso in “Ninnananna per Lulù”, certo non un disco per chi cerca “sound e jump”, nemmeno per chi vuole sfuggire la malinconia e darsi una tonicità impassibile, piuttosto una serie di brani ottimi per stare da soli e rischiarare le proprie nudità interiori e magari farci due “chiacchiere sincere” una volta per tutte, poi una volta ristabilito l’equilibrio, riascoltarlo come bella entità salvifica.

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