Jóhann Jóhannsson Tag Archive

Non si vive di soli Netflix e Pornhub Premium

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23 dischi per superare i giorni tristi.
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10 SONGS A WEEK #29.01.2018 | speciale Primavera Sound

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Tim Hecker – Love Streams

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Un’amorevole e malinconica riflessione sulla condizione umana di un artista che si rinnova senza snaturarsi.
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Intervista ad Alessio Premoli a.k.a. Chelidon Frame

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Chelidon Frame è uno dei tanti progetti dietro al quale si nasconde il chitarrista milanese Alessio Premoli. Il suo lavoro più sperimentale è una miscela di Ambient, Noise e Drone. Lo abbiamo incontrato per capire al meglio la sua musica cercando anche di scoprire se certi suoni possano avere un ruolo primario nell’età moderna.

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Chelidon Frame – Framework

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L’esperienza Chelidon Frame nasce nell’autunno dello scorso anno ma muove i suoi passi e affonda le radici molto più in là negli anni, negli albori della Musica Concreta e negli studi di Pierre Schaffer che, nel 1948, teorizzò una nuova consapevolezza sonica basata su effetti acustici esistenti successivamente elaborati, generando musica tendenzialmente elettronica ma partorita da elementi concreti.

Riprendendo in mano quest’idea e passando attraverso Pierre Henry e John Cage, Chelidon Frame confeziona un’opera che miscela l’Ambient dei Prospettiva Nevskij, al minimalismo di Alessio Premoli, nome che si nasconde dietro al progetto. Tutto questo con occhio rivolto al futuro, grazie ad un uso comunque mai eccessivo di droni e divagazioni Noise. Nelle cinque tracce più “Intro” dell’esordio Framework, ci sono le fondamenta della musica Elettronica, la storia stessa del suo autore, le opere più eteree di Brian Eno, la spigolosità di Kevin Drumm e la sensibilità Modern Classical di matrice nordica di Jòhann Jòhannsson, cosa suggerita già dalla lettura celere dei titoli di taluni brani (“JikSven”, “Antartica”).

Dopo la gelida opening che sferza l’atmosfera come freddo polare, sale un’inquietudine oscura, fatta di grevi note ripetitive come tempo scandito da ritmiche minimal e sottilmente celate dietro rumori vaghi, quasi a disegnare l’aurora boreale, tinta solo di tutte le tonalità del grigio (“Taikonauta”). Ancor più conturbanti e impalpabili i quasi otto minuti di “JikSven”, nei quali si scorge una debole sensibilità Rock dentro un cosmo elettronico, in grado di dare forza da Film Score all’album. Nonostante queste prime intuizioni, non esiste un vero filo conduttore, una precisa chiave di lettura che leghi la tracklist, trattandosi di un insieme di brani originali e altri già pubblicati e qui soltanto remixati. È la musica stessa a fare da trait d’union, il legame simbiotico tra le terre più fredde del pianeta e lo spazio siderale è la musica (“Cosmic Hypnosis”). In “Nvs_k3” l’ aria torna pulsante di rigida introspezione mentre a chiudere l’album, i quasi dodici minuti della minimale “Antartica”, la quale, nella seconda parte e in conclusione, regala cenni di Neo Classical gonfi d’una speranza e positività mai ascoltata nei minuti antecedenti, pur mantenendo ferma una certa ambiguità emotiva. Framework è uno straordinario lavoro di un musicista poliedrico e coraggioso che non mira certo all’originalità ma riesce comunque a pizzicare le corde dell’anima e farci sognare, fosse anche un sogno da cui svegliarsi in tutta fretta.

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Marcus Fjellström – Epilogue M Ep

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Nato nel 1979 a Luleå, nella provincia di Norrbottens län in Svezia, il giovane artista e compositore ha presto intrapreso la difficile strada di una musica ineffabile e con notevoli difficoltà a far breccia nelle anime delle diverse tipologie di pubblico. Dall’esordio full lenght del 2005 di Exercises In Estrangement, album Electroacoustic il cui l’ultimo pezzo ha titolo italiano (“Campane Morti e Acqua Crescente”), passando per l’evoluzione Experimental e Dark Ambient di Gebrauchsmusik, fino alle conferme stilistiche e Modern Classical di Schattenspieler e gli eccessi di Library Music 1 (i cui diciotto brani non hanno un vero titolo e vanno da “LM-101” a “LM-118”) le sue realizzazioni sonore hanno affascinato sia per la commistione della parte orchestrale con quell’elettronica sia per la presenza di preziosismi visivi. Nonostante la sua musica si presenti come elaborata, complessa e strutturata, Marcus Fjellström, ora trasferitosi in Germania, non ha mai trovato il favore del pubblico italiano (più confacenti le scene nordeuropee e certamente l’ascolto vi aiuterà a capire perché) ma ora vuole provarci, sulla scia delle grandi sperimentazioni teutoniche che stanno interessando anche il pubblico nostrano (vedi Teho Teardo & Blixa Bargeld), pur non adattandosi al caldo clima mediterraneo ma sempre attraverso note fredde, taglienti, inquietanti e oscure.

La giovane età e lo scarso interesse della platea italiana non facciano però pensare a un artista inesperto e dal magro curriculum. Diverse sono le sue collaborazioni (Swedish Royal Ballet, Scottish Chamber Orchestra) intavolate dopo aver studiato composizione e orchestrazione presso la Scuola di Musica di Piteå e aver conseguito il diploma e svariate sono le opere audiovisive da lui realizzate. I sei pezzi di Epilogue M, comprovano tutta la saggezza di Marcus Fjellström e portano a compimento un processo di decostruzione e ricostruzione sonora tesa a unire gli opposti, elevando gli elementi più superficiali e popolari della musica elettronica e abbassando a un grado più accettabile dalle masse, quelli nobili e raffinati propri della musica classica. Una sorta di fusione, sempre in chiave Avantgarde e sperimentale, sulla scia dei maestri come György Ligeti e John Cage, tra classicismi moderni di Bernard Herrmann, Angelo Badalamenti e Zdeněk Liška e l’elettronica e l’IDM di Aphex Twin e Autechre.

Non è certo il capolavoro di una vita, né sarà il disco che farà da colonna sonora ai vostri giorni più felici; non è un traguardo originale visto che tanti hanno provato la stessa strada, da William Basinski a Jóhann Jóhannsson passando per tantissimi altri anche in ambito Soundtrack ma Epilogue M è comunque un’intelligente conferma per un artista ancora da scoprire. Chi di voi non ama ascoltare la musica classica nel vero senso del termine, quella di Bach, Mozart o Beethoven ma ha interesse a scoprirne il lato oscuro e sperimentale troverà in Marcus Fjellström un ottimo spunto.

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