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Aut in Vertigo

Written by Interviste

Hanno vinto l’ultima edizione del nostro Contest AltrocheSanRemo, gli Aut In Vertigo ci parlano delle loro esperienze artistiche, della musica Rock e della pasta scotta. In Italia non abbiamo la cultura per i live come nel resto del mondo.

Vincitori del nostro super testato Contest AltroCheSanremo. Gli Aut in Vertigo, a questo punto sono obbligate le presentazioni, ci parlate di voi?

Siamo una band piemontese, della provincia di Torino, nata nel 2004. Evoluzioni e cambi di formazione ci hanno portato dal 2012 alla line-up che oggi potete conoscere. Suoniamo per raccontare quello che viviamo, cosa sentiamo e cosa pensiamo; per divertire e per divertirci, per condividere con il pubblico il nostro modo di vedere il mondo.

Adesso vogliamo conoscere anche tutto quello che avete fatto fino a questo momento della vostra vita artistica…

Come abbiamo detto, nel 2004, siamo nati da un progetto condiviso sui banchi di scuola, per poi raccattare amici e conoscenti con una visione comune del mondo e della musica. Abbiamo iniziato a suonare, dal piccolo e poi sempre più in alto, e nel 2007 abbiamo inciso il primo lavoro, Welcome. Abbiamo partecipato a diversi contest, come Emergenza, TourMusicFest, Torino Sotterranea, e così via, che ci hanno permesso di conoscere molte altre band e suonare su palchi d’eccezione. Nel 2012 abbiamo cambiato formazione, e con i nuovi musicisti la band ha dato una vera e propria accelerata. Ecco che nel 2013 è uscito iI nostro disco In Bilico, che riassume parte del lavoro fatto negli anni, e parte della nuova spinta verso il futuro.

Stiamo parlando di una band emergente e soprattutto indipendente, trovate difficolta nell’inserirvi nell’ambiente musicale italiano?

Sì, se parliamo di palchi istituzionali. Suonare in giro non è difficile, ma è difficile farsi considerare, soprattutto se la musica proposta non è immediata o di moda, difficile entrare nelle reti di locali dove suonare, se non hai già un giro, che purtroppo non si crea solo sapendo suonare bene. Spesso e volentieri ci troviamo di fronte alla valorizzazione di band con scarso valore artistico-musicale ma molto “appariscenti”, con i quali sembra che i “ganci” siano più importanti della musica.

Pensate che gli altri artisti nel resto del mondo vivano le stesse vostre difficoltà? Perché?

Non lo sappiamo. Altre band amiche che hanno fatto tour in USA o in nord Europa ci raccontano che lì la cultura del live è diversa, che c’è attenzione e considerazione anche per le band emergenti, e soprattutto ascolto del prodotto che stai proponendo. Continuiamo a sperare che questo modo di vivere e ascoltare la musica arrivi anche qui…

Com’è il vostro rapporto con i locali (o gestori) per quanto riguarda la possibilità di esibirvi? Raccontateci anche qualche particolare situazione in cui vi siete trovati.

Il rapporto è difficile, nei locali medio/grandi è possibile suonare solo con i contest. Meno male che ci sono, ma è un po’ frustrante essere valutati solo per il numero di persone che si portano, che pagano o che consumano. La maggior parte dei locali non rispondono nemmeno alle mail, e anche questo rende tutto più complicato. Detto questo, ci sono anche gestori attenti, che ti danno la possibilità di suonare senza troppe storie e senza tirarsela tanto. Se vuoi un aneddoto, una volta, in centro a Torino, ci siamo montati completamente il palco, dalle spie, alle luci, al setting (della serie: arrivare concentrati al live) attaccato con cura tutto alla ciabatta e dopo due ore che nessuno del locale ci considerava abbiamo scoperto che il mixer non esisteva. Capisci? Questa ti sembra “cultura del live”? O anche solo professionalità? A noi no. Per fortuna il nostro pubblico è superbo, ripaga ogni sforzo, e non c’è serata in cui non ci sentiamo arricchiti dalle persone che ballano, ascoltano, criticano e condividono le nostre fatiche. Ecco, se dobbiamo dirla tutta il grazie più grande va a loro, non ai locali, né ai contest, ma alla gente che col sorriso ti accompagna e ti solleva in modo costruttivo.

Pensate sia giusto ricevere un cachet anche da perfetti sconosciuti? E non parlo del vostro caso ma in generale. Dove entrambe le cose non fossero possibili, meglio suonare tanto e gratis (o quasi) oppure suonare poco ma ben remunerati?

Pensiamo che sia meglio suonare tanto, giustamente remunerati. Sono molte le ore che una band come la nostra trascorre a pensare, progettare, allenare e perfezionare lo spettacolo, così come sono molti i fondi investiti, i km fatti, il tempo sottratto al lavoro che ci sfama. Dunque suonare e almeno non perderci i soldi investiti per raggiungere il palco, o per affittare la strumentazione mancante, ci sembra il minimo. Suonare tanto, anche aggratis, è indispensabile per farsi le ossa e l’esperienza, ma fino ad un certo punto e fino a un certo livello: se una band muove anche solo un centinaio di persone e intrattiene per un ora e mezza, beh, una birra e una pasta scotta non bastano più.

Tralasciando i contest on line, trovate che quelli più popolari e dove si suona dal vivo siano utili per una band emergente? Vi faccio qualche esempio, Arezzo Wave, Marte Live etc…

Utilissimi. Come dicevamo prima, grazie ai contest abbiamo raggiunto palchi difficili da raggiungere per una band emergente. Per chi è di Torino parliamo dell’Hiroshima, delle Lavanderie Ramone, le Officine Corsare o i Giancarlo ai Murazzi. Inoltre si conoscono e incontrano altri musicisti e altre band, e questo è sempre arricchente. Trovando dei limiti, da musicisti, a volte sembra poca l’attenzione verso la proposta musicale: non è sufficiente ascoltare due pezzi su youtube per capire qual è la ricerca di una band; se si organizza bisognerebbe avere la pazienza di scendere nel dettaglio, sebbene implichi tempo e denaro ma è il prezzo per fare un lavoro di qualità e migliorare la proposta artistica nazionale. Altro problema, molto più concreto è al solito il chiedere a chi ti segue di pagare la tessera associativa di turno, l’ingresso, ecc ecc. Certo, la colpa non è solo di chi organizza, ma anche la mancanza di politiche adeguate a finanziare le attività giovanili in generale, tra cui la musica live.

Avete mai avuto a che fare o solo sentito parlare degli uffici stampa? Cosa pensate? Una band precedentemente intervistata si lamentava dei prezzi, voi come vedete queste realtà ormai fondamentali per farsi conoscere?

Sì, conosciamo il mondo degli uffici stampa. Con l’uscita del nostro disco In Bilico, abbiamo deciso di fare questo investimento. Il punto è che la promozione e la diffusione delle informazioni sono importantissimi, ed è necessario farli per valorizzare il lavoro che hai fatto: abbiamo imparato che bisogna starci dietro quotidianamente per avere dei risultati, e se non può farlo il musicista in prima persona, deve farlo qualcun altro. Ci siamo avvalsi di Rosina Bonino, ufficio stampa di Fratelli di Soledad, DotVibes, Invers, Dagomago e molti altri, e con la sua professionalità e esperienza, ci siamo trovati davvero bene. Affidarti a dei professionisti che si occupano di questi aspetti, ti permette di concentrarti ancora di più sulla musica e sugli spettacoli live.

Esiste ancora la possibilità che un gruppo come voi riesca ad emergere con le proprie forze?

Beh, è quello che speriamo. In ogni caso crediamo che suonando tanto, dando il meglio di sé, e avendo qualcosa di originale da proporre, le possibilità ci siano per tutti.

Perché qualcuno dovrebbe ascoltarvi?

Perché ama il Rock, ama i testi in italiano, ed è stufo di sentir dire che il Rock nel nostro Paese è in mano a pochi famosi artisti. Tutte le nuove proposte mainstream in Italia escono da reality show, ora, ma secondo noi la musica non è spettacolarizzazione della vita, è una cosa seria che richiede fatica, lavoro e studio. La musica può trovare mille vie per uscire fuori ma deve avere le possibilità per essere valorizzata, non vuol dire per forza diventare milionari, ma aspirare al riconoscimento di un lavoro che ha valore. La gente potrebbe ascoltarci perché il nostro è un prodotto sincero, che racconta delle storie nelle quali riconoscersi, che veicola sentimenti comuni, perché ha voglia di scoprire storie nuove, ambientate nelle nostre città, e perché ha voglia di venire sommerso dalla nostra energia dal palco.

Cosa riserva il futuro per voi? State preparando qualcosa?

Stiamo continuando a portare in giro i brani dell’ultimo disco, e nel frattempo stiamo scrivendo pezzi nuovi. Stiamo preparando due videoclip e pensando a un nuovo lavoro discografico.

In questo spazio potete dire tutto quello che volete e che non vi è stato chiesto e fare pubblicità alla vostra band.

Beh sicuramente vogliamo ringraziare Riccardo e lo Staff di Rockambula per questa occasione, oltre a quella del simpatico contest AltrocheSanremo. Tutti i fans che leggeranno e le persone nuove che vorranno cliccare “mi piace” sulla pagina Fb www.facebook.com/autinvertigo . Aut In Vertigo è un modo bello di fare musica, ascoltare, condividere, fare strada insieme. Aggiungetevi alla cumpa, non ve ne pentirete.

Rivoluzione

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Aut in Vertigo – In Bilico

Written by Recensioni

Una volta un componente dei Duran Duran disse che loro non erano una boy band perché si erano formati fra i banchi di scuola a differenza della maggior parte dei gruppi di oggi provenienti dai talent show televisivi. Come quella della band inglese sembra essere l’origine degli Aut in Vertigo, band italiana nata nel 2004 che nonostante qualche variazione di line up è riuscita a trovare una giusta dimensione e a dare vita al disco In Bilico.
Le radici sono quelle del Classic Rock anni 70, il quale costituisce un punto di riferimento imprescindibile senza inibire il bisogno di sperimentazione  caratterizzante dei vari percorsi compositivi. Il tutto attraverso un concept che trae spunto dalle riflessioni e dalle autoanalisi (“Passi”), dall’osservazione del mondo che ci circonda (“Volto Fragile” e la title track “In Bilico”), delle nuove città in cui tanti stronzi si accusano l’un l’altro di quello che non va (“Pelle e Peccato”) differenziandosi così nella pelle dai cosiddetti nonluoghi tanto cari a Marc Augè in cui differenti categorie di persone si mischiano e interagiscono nella vita di tutti i giorni.

La soluzione?

La potete trovare nella canzone “Rivoluzione”, in cui il cervello elabora nuove idee fuggendo dalla realtà proponendo ideali scontati attraverso gadgets del comandante Che Guevara.
Non manca anche il tema più classico, l’amore, in “Chiara”, nome che sintetizza bellezza e verità spesso uniformando le due cose, decantando l’inverno nel non averti a fianco.
Undici tracce che sembrano avere il proprio punto di forza nelle liriche, sempre molto profonde (“Fratello Gert” e “Olè Olè”) e mai banali in cui la band propone un Rock semplice ed essenziale dove si evitano (probabilmente volutamente) inutili virtuosismi che offuscherebbero il potenziale che viene fuori dalla sinergia dei singoli elementi.
Come dire: “L’unione fa la forza”. Magari se non ci fosse stata qualche similitudine troppo accentuata nell’inizio di “Deep Sigh” e “Breathe” dei Pink Floyd ci sarebbe stato anche un punticino in più nella valutazione. Meno male che gli Aut in Vertigo lasciano il meglio alla fine con “Radio Aut”, aggressiva e sempre veloce come un treno perché cominciare bene (con “Passi”) è sì importante, concludere al top è invece una scelta alquanto insolita. Quindi se volete trovare un ulteriore piccolo difetto, è solo nella tracklist.
Per il resto nulla da eccepire!

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