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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #20.05.2016

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Recensioni | maggio 2016

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Jenny Penny Full – Eos (Dream Pop, Folk, Psych) 7/10
Misurati e cullanti come la migliore delle ninne-nanne. Un’incantevole voce femminile e tappeti sonori che stregano senza mai eccedere, forse peccando, qui e là, di troppa linearità, ma recuperando altrove in piccole fughe eteree, fumose ascensioni improvvise. Prodotto dalla Vaggimal dei C+C=Maxigross, Eos è un debutto sussurrato, ma convincente.

[ ascolta “Far Continents” ]

Echoes of the Moon – Entropy (Doom Metal, Ambient, Post Rock) 4,5/10
Prolisso e noiosetto concentrato di batterie finte, distorsioni acide, urla distanti e cupezza senza fine. Troppo immerso nei cliché per poter sostenere brani da 10 minuti senza evocare sbadigli o prurito al tasto “skip”. Solo per fan del genere, sfegatati al punto da sfiorare il masochismo (ce ne sono).

[ ascolta “Entropy” ]

Foxhound – Camera Obscura (Alt Pop, Funk) 7/10
L’ex quartetto torinese sembra muoversi con più disinvoltura in questo EP, che in cabina di regia ospita Mario Conte (Meg, Colapesce). Rimasti in tre, i Foxhound continuano a muoversi in territori Funk ma si lasciano andare a sperimentazioni analogiche che li rendono soffici e gradevolmente retrò. Ora che la nuova rotta è fissata e funziona attendiamo la prova in long-playing.

[ ascolta “My Oh My” ]

Blackmail Of Murder – Giants’ Inheritance (Metalcore) 6/10
I bresciani, freschi di contratto con la label Indiebox, ci presentano il loro secondo disco: Metalcore indiavolato come da tradizione Killswitch Engage, Caliban e compagnia bella. Il confronto con i mostri sacri del genere regge bene, compresa la ballata “Whisper”, unica variante di un lavoro che ha come punto debole la troppa somiglianza tra i singoli pezzi, risultando, alla fine, impossibile distinguerne uno dall’altro.

[ ascolta “Never Enough” ]

Oaken – King Beast (Dark Ambient, Post Hardcore) 5,5/10
Gli Oaken da Budapest hanno il coraggio di osare, influenzando il Death Metal con una massiccia dose di Dark Ambient e degli inserti Melodic Hardcore. Immaginatevi dei Converge fatti andare a briglia sciolta e calmati con forti scosse elettriche. I brani sono solo quattro ma durano un’eternità, allungati da contaminazioni a profusione. Si salva la voce femminile che impreziosisce “The Hyena” e poco altro.

[ ascolta “The Hyena” ]

Kai Reznik – Scary Sleep Paralysis (Elettronica, Ambient) 4,5/10
Dalla Francia, un’elettronica cupa e retrò che non stupisce per ricerca sonora né per maestria compositiva, tra arpeggiatori ossessivi e synth poco a fuoco. Un poco più interessanti le voci di Sasha Andrès degli Heliogabale su “Post” e “Nails & Crosses”. Se le atmosfere claustrofobiche sono volute, ci sarebbe da lavorare sui suoni per renderle masticabili e non distrarci troppo con gli spigoli grossolani dell’impianto strumentale.
[ ascolta “Post” ]

HUTA – How To Understand Animals (Alternative, Post-Grunge, Shoegaze) 6/10
Un mix saporito di sporcizia echeggiante attitudine Grunge e tappeti sonori e rumoristici da trip oscuro e nervoso. Il trio di Cuneo sforna un album che non delude dal punto di vista strumentale, abbastanza muscolare e ipnotico da convincere nonostante la voce non eccelsa e i suoni a cavalcioni del confine tra frizzone Noise controllato e amalgama poco riuscito, ribelle, fastidioso. Un equilibrio in bilico che mette in luce una qualche potenzialità senza però esplicitarla compiutamente.

[ ascolta “Hone” ]

Guns Love Stories – The Beauty of Irony (Alt Rock) 6/10
Unite il cantante degli Hardcore Superstar ad una qualsiasi band del filone Emocore stile Silverstein o Emery, per fare due nomi a caso, e avrete ben presente come suonano gli svizzeri Guns Love Stories. L’album gode di una produzione ottima che tira a lucido dieci canzoni ad alto tasso di infiammabilità. Eppure, nonostante ciò, il senso di incompiuto è perennemente dietro l’angolo.

[ ascolta “Predigested Hollywood” ]

Xayra – Resilience Blues (Pop) 5,5/10
Se questo disco fosse stato pubblicato più o meno vent’anni fa si sarebbe potuto tranquillamente gridare al miracolo: sarebbe stato un mix perfetto fra Silencers, Smashing Pumpkins, Ellis, Beggs and Howard e il primo Brit Pop. 
Tuttavia la musica negli anni si è evoluta ed è forse giunto il momento per gli Xayra di aggiornarsi e di adeguarsi ai giorni nostri. Certamente un bel lavoro ma fuori tempo massimo.
[ ascolta “Worries+Faults” ]

Filippo Dr Panico – Tu Sei Pazza (Punk, Cantautorato) 6,5/10
Si può descrivere il rapporto di coppia in musica senza mai delineare troppo il confine tra Punk e Cantautorato? Per Filippo Dr Panico è impresa fin troppo facile. Il suo valore lo aveva già dimostrato con il precedente lavoro, ora però ascoltatevi con attenzione “Bravo a Parole” e la title track meditando sui testi, chissà che non vi identifichiate nelle medesime situazioni. Da segnalare inoltre “Ci Vorrebbe Una Notte”, scritta assieme a Calcutta.

[ ascolta “Ogni volta che te ne vai” ]

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Mamasuya & Johannes Faber – Mexican Standoff

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Bam!, indietro di trentacinque anni almeno, direzione Downtown LA o i deserti degli Spaghetti Western, le villone da porno settantiano, i paesaggi romantico-lisergici di salotti stroboscopici color pastello dove si balla appiccicati e sudati, e poi di nuovo la polvere di un Messico fantasticato e accelerazioni da inseguimento su highway assolate in pellicola sgranata, fuori fuoco: c’è un po’ tutto l’immaginario da colonna sonora vintage in questo Mexican Standoff dei Mamasuya, accompagnati dalla tromba ineccepibile di Johannes Faber (qui anche alle – rarissime – voci, e alle tastiere).  Un disco strumentale di rara precisione, dove una libertà psichedelica assoluta viene vissuta e ricercata attraverso un viaggio in alcuni dei generi che più hanno sperimentato attorno al concetto di soundtrack nel secolo scorso. Un disco difficile da raccontare, da cui bisogna farsi più che altro accompagnare, come fosse un commento musicale a fantasie attempate, magari non eccitanti come una volta, ma che hanno acquisito ormai il gusto dolceamaro della nostalgia e dell’universalità “postuma”, che, in un tempo di zombie e remake come quello in cui ci tocca vivere, non vuol dire tanto mitizzare un passato che dovrebbe essere, a tutti gli effetti, passato, quanto trascinarsi in un’immortalità tenace, quasi comune, a tratti ripetitiva. Ma sto divagando: Mexican Standoff, nonostante le coordinate non proprio contemporanee, rimane un disco impeccabile, che suona bene ed è suonato meglio, senza strafare in virtuosismi onanistici (che pure non mancano) e comunque pronto a soddisfare anche palati esigenti. Da tentare, soprattutto se vi entusiasma il genere.

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!!! (Chk Chk Chk) in Italia per quattro date!

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L’eccentrica band newyorkese Punk-Funk-Dance guidata da Nic Offer torna in Italia per presentare il nuovo album AS IF, sesto album in studio. Miscela esplosiva di Punk, Funk, Disco e Psichedelia i !!! riescono a fondere perfettamente le caratteristiche del Rock con quelle della dance dando vita nei loro live a indimenticabili party infuocati. Non è esagerato affermare che non esiste nessun gruppo avvicinabile ai !!!

24 febbraio 2016 – Milano Magnolia – Siren Festival Warm Up
Prevendite a breve: www.ticketone.it e www.mailticket.it
 
25 febbraio 2016 – Torino Spazio211
 
26 febbraio 2016 – Roma Monk
Prevendite e info: http://www.monkroma.club/
 
27 febbraio 2016 – Bologna Covo Club 
Prevendite e info: www.covoclub.it
biglietto tutte le date 15 euro + d.p.

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Mike 3rd – The War Is not Over

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In genere i dischi fatti da (poli) strumentisti “sgobboni” che arrivano dalla musica più colta e complessa e si gettano a fare simil-concept album da ventuno brani con ospiti internazionali di alto livello mi preoccupano molto. Percepisco spesso quel puzzo di elevato livello tecnico che lascia in secondo piano i contenuti a favore di un masturbatorio cantarsela allo specchio per mettere in risalto muscoli  e abilità. Questa volta però la situazione si è salvata: la sfida è capire quanto. Mike 3rd (al secolo Andrea Michelon Prosdocimi), già fondatore degli Hypnoise, sforna, con puntualità sul centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, il suo secondo disco, The War Is not Over. Ispirato nella struttura ai “Quadri di un’esposizione” di Musorgskij, il disco è un fervente e sentito omaggio a tutte le vittime della guerra e un inno alla pace e alla fratellanza. Le coordinate sono quelle di un Prog Rock funkeggiante e spesso arioso, in cui le zone più aperte e pinkfloydiane sono quelle che funzionano di più (“In the Twilight”, verso l’inizio, con Tony Levin, o la vicina “Black Sun”, o, ancora, la desertica, a tratti vuota, “Lost”), mentre quelle più ritmiche e mobili stonano alquanto col senso generale del disco (“Night with a Thousand Furry Animals”, per esempio, o il Rock più quartato di stampo sixties di “In the Light”). In generale si tratta di un disco di raffinato livello tecnico e produttivo (registrato in analogico con una particolare cura per la dinamica e la “pasta” del suono) e con un lodevole intento lirico, che però non sconvolge né innamora.

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Double Françoise – Les French Chanteuses

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Tra circa tre giorni sarò a Parigi, anzi, quando leggerete questo pezzo probabilmente starò già sbronzandomi ai piedi di Montmartre a suon di pastis sognando epoche mai vissute e contornandomi di tutta una miriade di luoghi comuni dai quali non può mancare quello della Chanson. Magari ascolterò ai piedi della Torre Eiffel il lavoro targato Double Françoise e lo troverò delizioso. Quando leggerete questo pezzo probabilmente sarò già tornato nella triste realtà della provincia (magari?!) italiana e allora la lettura critica di questo nuovo ep del duo francese sarà inevitabilmente infarcita di laconica malinconia, di quelle che affliggono l’uomo moderno malato del “si fatica 355 giorni l’anno per viverne 10”.

La realtà è che mentre scrivo sono ancora qui, in un cazzo di buco di paese nel culo del mondo, dimenticato da Dio, chiuso in quattro pareti che paiono la morettiana stanza del figlio, aspettando davanti al pc, con le cuffie in testa, che giunga l’ora di rituffarmi nel fantastico mondo del produci, consuma, crepa. E intanto ascolto Les French Chanteuses dei Double Françoise sfanculando le fantasticherie ansiose e concentrandomi su quello che ascolto. Maxence e Lisa. Il primo, produttore e compositore, multistrumentista e appassionato di “aggeggi” vintage. La seconda paroliere e cantante, appassionata di suoni, termini e scrittura. Sono loro a confezionare questi cinque brani (quattro in francese e uno in inglese) di canzoni Pop fatte in casa con amore e infarcite di Funk e Bossa Nova che sembrano tirate fuori da una pellicola anni 70. Nonostante la brevità del disco che supera appena i sedici minuti e ne limita la varietà stilistica, inevitabili sono gli accostamenti al grande Serge Gainsbourg ma qui il suono sembra piuttosto inzeppato di cliché senza una reale ricerca sonora che abbia una parvenza di originalità. Le melodie neanche appaiono troppo accattivanti limitandosi a seguire uno schema predefinito che non ha la capacità di elevarsi oltre la mediocrità e che non è affatto aiutato nel suo intento dalle due voci, tutt’altro che fuori dal comune e dalla timbrica poco accattivante. È il nome stesso a suggerire un paragone con più note Françoise e tra queste certamente da ricordare Françoise Hardy ma il raffronto ispirato non fa altro che aumentare il rimpianto per il passato glorioso della Chanson e del French Pop di qualche decennio fa. Spengo tutto e torno ad innamorarmi sulle bionde note di “Ton Meilleur” e la ebbra follia di “Initials B.B.”; di Serge e Françoise ce ne sono solo due. Non si accettano duplicati scadenti.

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Jovine – Parla Più Forte

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Valerio Jovine torna con un disco dopo l’avventura a The Voice Of Italy: Parla Più Forte vede il cantante partenopeo rimanere coerente cercando di spaziare tra generi diversi dal solito Reggae, passando dal Funk (“Nonostante Tutto”) a pezzi Rap con elementi Rock (con Clementino in “Parla Più Forte”) o in levare (con O’Zulù in “Cap e Mur”), fino al Pop più melenso dell’opener “Bisogno d’Amore”, all’R’n’B di “Penso” o al Rocksteady di “Un Motivo Non C’è”.
Parla Più Forte resta, nonostante ciò, un disco fondamentalmente Reggae, con al centro il ritmo e la melodia. Un disco solare, divertente, che intrattiene quanto basta lasciando però traccia della visione del mondo di Jovine e della sua gente: una visione positiva del mondo, che passa certo attraverso il desiderio della fuga, la voglia di protesta, il tentativo di parlare delle banalità e delle ipocrisie che ci circondano, senza farsi mancare l’autocritica e il tirare le somme anche delle proprie esperienze (“Vivo in un Reality Show”). Un disco che vanta una dose consistente di collaborazioni (oltre ai già citati troviamo anche Nto – ex Co’ Sang –, la Pankina Crew, Carolina Russi Pettinelli, Benedetta Valanzano…) e che cerca di rimanere con la schiena dritta aprendosi ad influenze più Pop, riuscendoci anche dignitosamente.
Da sfruttare durante l’estate, coi finestrini abbassati e la testa dondolante.

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Petula Clarck /X25X – Petula Clarck /X25X Split

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Qualcuno si è mai chiesto cosa nascerebbe se due Paesi fondessero la propria musica? Gli split album non sono di certo una novità, ma stavolta siamo costretti a destreggiare le nostre conoscenze addirittura fra Belgio e Francia. Siamo innanzi a un totale di cinque artisti, che ben hanno pensanto di tentare un’opera innovativa attraverso quattro capitoli di pura pazzia. Sul versante A troviamo il duo “Spontrash” (dicono di sé),  che vede come protagonisti Mat e Vinch, a formare i Petula Clarck. Bene, ma chi sono i Petula Clarck? Di certo non è l’inglesotta che debuttò nel lontano 1956: lei non aveva la “c”. Sono belgi e si descrivono in maniera piuttosto bizzarra, attraverso un Boum Boum Bang Dang. The two of us devoured stupid animals. We are the music of their last scream. Eccentrici, non c’è che dire. All’altro angolo, si asciugano il sudore i marsigliesi X25X (Acid 25) e dicono a chiari caratteri di essere abrasivi, grezzi, semplici, sporchi, squilibrati, urlanti, conflittuali, acidi e piccanti, tinti in rosso e con gli occhi scarlatti. Sono in tre e sufficientemente matti. Il risultato è uno split di quattro capitoli…ne vedremo delle belle!

Il 75% dell’opera è pura responsabilità belga e la proposta è un mix di Funk e Trash senza peli sulla lingua. L’intera stesura dei brani è istintiva e diretta, un vero e proprio stream of consciousness a colpi di chitarra e batteria. Sono gli artisti stessi ad ammetterlo, dichiarando che la stesura di un brano non può richiedere più di un’ora e mezza, dopodiché o la va o la spacca. Non sono ammessi ritocchi. Non sono ammessi cambi di rotta. Non sono ammessi ripensamenti. L’idea è quella di creare istintivamente pezzi Funky Trash Blues Punk Disco Dance. Non posso che palesare in via diretta i miei strabuzzi: questi due sono seriamente fuori di testa! “Ad un artista non si può chiedere di più”, mi diranno, ma sentire scimmie urlanti incise su disco sortisce sempre un certo effetto. Non è una critica, è la verità: in Yago Wago (capitolo uno) è possibile ascoltare urla di primati amalgamate con la musica, a livello di 1’43’’. Le stesse urla ce le propone Supreme, ma stavolta è il duo ad interpretarle al termine di un lungo e monotono giro. L’intero brano è un repeat continuo di un minuto e venticinque secondi. Sconvolto. Mi ci soffermerei, se non fosse che non vi è nulla su cui soffermarsi e, con estrema angoscia, tocca riconoscere la stessa sorte anche all’ultima chance dei giovani belga: NXT mstred.

Il B side si compone di un unico capitolo (Saturate), ad opera degli X25X. La proposta è un remake di qualcosa di già sentito e risentito, suonato da mani più esperte. Cinque minuti di Noise Punk, che bastano a rendere tale lato dell’opera più longevo del lato A. L’intera traccia è un elettrocardiogramma piatto, fermo sugli stessi effetti, sulle stesse parole, sulla stessa idea, sulla stessa linea e sulla stessa noia. Risultato? Anche tale ultimo 25% non è soddisfacente e l’amaro lasciato dai Petula Clarck non è sanato in modo alcuno.

In sintesi, oserei affermare che l’intero lavoro è un azzardo. È stressante, è sporco e non sa farsi apprezzare in modo alcuno. È un disco a prova di nervi, ragazzi che sanno suonare, ma che non hanno voglia di lavorare. La critica vola alta e tocca tanto i cieli belga quanto quelli di Marsiglia. Se è vero che l’unione fa la forza, se è vero che due negazioni affermano e se è vero che l’arte va d’istinto e l’istinto è una forma d’arte, beh, è pur vero che il risultato dello split album è l’esatto opposto di quel che ci si aspetta ponendo fiducia in un antico modo di dire.

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C’mon Tigre – C’mon Tigre

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Non sono trascorsi molti giorni da quando ho ascoltato il primo singolo dei C’mon Tigre e circa gli stessi da quando ho ammirato il videoclip di “Federation Tunisienne de Football”, animato dal pittore Gianluigi Toccafondo, perfetta resa video dello spettro caleidoscopico del collettivo, progetto dalle mille anime che mette al centro il crocevia culturale del bacino mediterraneo. Da quel primo contatto, tanta è stata la curiosità su come avrebbe potuto mutare la musica in un contesto full length e dunque, avere ora la possibilità di origliare l’album autoprodotto, è qualcosa che mi stuzzica particolarmente.

Il sound dei C’mon Tigre è una mescolanza di Funk, Jazz, World Music, Rock, Afrobeat tutto in chiave sperimentale e libera da ogni schema di sorta. Difficile tracciare dei paragoni mentre più agevole è viaggiare per immagini, data la natura inebriante, seducente e stimolante di tanta ostentata vena creativa. L’uso di riff ossessivi su ritmiche cadenzate e chitarre fioche che dipingono melodie dal sapore mediorientale e le mirabili illustrazioni esotiche collaborano a creare un’atmosfera vagamente psichedelica e cinematografica. I tredici brani composti dal duo C’mon Tigre e arrangiati con la partecipazione di artisti di tutto il mondo (Jessica Lurie, Henkjaap Beeuwkes, Pasquale Mirra, Ahmad Oumar, Enrico Fontanelli, Danny Ray Barragan, Eusebio Martinelli, Dipak Raji, Rocco Favi, Paolo Berluti, Malik Ousmane e Simone Sabini) divengono un’ideale colonna sonora per un film astratto che vi vedrà protagonisti dentro sceneggiature afro, tra scene di sesso bollente, sudato, sabbioso, baldacchini e profumi sinuosi che avvilupperanno la vostra mente mentre le parole raccontano tutt’altra storia, fatta di calcio e di Africa; anzi tante storie diverse. Il Mediterraneo al centro di tutto ma innumerevoli contaminazioni che sviscerano e strappano il sound di questo debutto omonimo da ogni possibile catalogazione; allo stesso modo, due forze sono quelle che hanno creato tutto questo eppure tanti sono i volti che potrete riconoscere seguendo i tredici brani. Alla lunga, gli oltre cinquantasette minuti potranno anche stancarvi, forse risultando eccessivamente ripetitivi ma l’esperienza d’ascolto di questo C’mon Tigre sarà talmente intensa da somigliare più a un rapporto sessuale che ad altro, a quel tipo di pratica nel quale cinquantasette minuti possono sembrare anche sette ore, per l’intensità e il trasporto che generano. Quello che posso augurarvi è che, il tredici ottobre, data di uscita ufficiale, possa fare ancora abbastanza caldo da ascoltare tutto, da “Rabat” a “Malta”, avvinghiati alla vostra amata, sudando sotto un sole brillante come il Mediterraneo.

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Med Free Orkestra – Background

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La Med Free Orkestra nasce nel 2010 a Roma da un’idea di Francesco Fiore. Ensemble multietnico, dai forti sapori mediterranei (come da moniker), la MFO è una fucina di calore e ritmo, qui capitanata dal maestro Angelo Olivieri, che si tuffa nel mare magnum del Rock di sapore World, spruzzate di Rap, un sentore Funky, e con l’Africa nel cuore, un cuore che sta sempre dalla parte giusta, quella dei deboli, emarginati, diversi. La premessa potrebbe suonare già sentita, e si potrebbe anche immaginare un prodotto buonista (ammesso che significhi qualcosa) e confezionato ad hoc per radical chic che hanno qualcosa da farsi perdonare. E invece no: basta atterrare, dopo aver sorvolato la più introduttiva “African Move”, sulla title track, che, nel parlato-rappato del testo, non ha paura di mettere in fila storture e contraddizioni dell’accoglienza italiana dello straniero: un’invettiva ironica e tagliente sulla sfortuna di profughi e migranti che si trovano a dover affrontare l’arrivo in Italia, un Paese “civile”, dove infatti non è stata infranta nessuna legge per lasciarvi morire nei nostri mari. Anche la musica si stacca dallo sfondo etnico per farsi più diretta, Rock, con una batteria incessante e fiati sempre sul pezzo.

La commistione di Rock e sogghigni versus World Music e impegno è forse il segreto per provare a godersi questo disco, che già dalla traccia seguente torna alla base, a liriche in inglese e ad un sapore balcanico (per l’appunto, “Bulkanian”). Il disco prosegue senza perdere troppa spinta, tra profumi sudamericani (“Chueca”) e brani in levare che sanno già di vecchio (“Muoviti”), una bella e soave ballata d’altri tempi (“Ballata di San Lo’”), un’insipida, seppur intensa, cavalcata dalle ritmiche convulse (“Dondolo il Mondo”) e un paio di tradizionali (“Ederlezi”, più raccolta, e “Hora Cu Stringatu”, esplosiva), fino a chiudersi con “Pizzica dello Scafista”, Rap su ritmiche da tradizione meticcia, Italia meridionale e Africa, in cui torna prepotente il tema del Mediterraneo.

Un disco fresco, estivo, ballabile, che paga in qualche misura l’accostamento a quel filone di musica etnica danzereccia e attenta agli spigoli taglienti del sociale, ma che allo stesso tempo, in qualche brano, riesce a darne una versione personale e interessante (“Background”, “Ballata di San Lo’”). Se vi piace il genere, bevetene a piene mani. Per tutti gli altri: ci fosse stata un po’ più di personalità, sarebbe stato un disco da scoprire. Così com’è, rischiate di annoiarvi dopo pochi minuti. A voi la scelta.

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Radio1 cambia musica con Calibro 35 (in free download per una settimana)

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Dall’arpa al Funk Rock, Radio1 cambia musica e da giovedì 10 luglio rivoluziona tutto il sound della rete: sigle di Gr1, Meteo, Onda verde, stacchi, jingle sono stati realizzati in esclusiva dai Calibro 35, una delle più virtuose band italiane. “Il classico suono dell’arpa – anticipa il direttore Flavio Mucciante – lascia il posto alla perfetta fusione di Jazz, Rock e Funk con un gusto del vintage Rai, rivisitato in chiave contemporanea”. Prosegue il percorso di Calibro 35, intenti a fare musica a 360 gradi: coi propri album e concerti, con colonne sonore originali per il cinema, musiche di sonorizzazione e realizzazione di jingle e sigle. Un approccio organico, che appartiene ad una specifica tradizione musicale italiana, di cui Calibro sono diventati naturali eredi. “E un onore che Radio Rai abbia scelto noi per rinnovare questo aspetto della propria identità, scegliendo una band come la nostra che da qualche tempo porta avanti la grande scuola della musica per sonorizzazione all’italiana” hanno dichiarato Calibro 35 “a questo si aggiunge la soddisfazione che, pur essendo una band strumentale e quindi poco radiofonica nel senso stretto del termine, ci ritroveremo ad essere tra le più trasmesse dall’ammiraglia di Radio Rai”.

ASCOLTA e SCARICA (in free download per una settimana) “Musiche per sonorizzazioni e programmi di Radio1” dal Bandcamp di Calibro 35

Le date del tour:
10 luglio: Nomi (TN) @ Nomi on the Rock
11 luglio: Genova @ Villa Bombrini
12 luglio: Jaen (Spagna) @ Imaginafunk Festival
18 luglio: Massarella (FI) @ Reality Bites
22 luglio: Roma @ Villa Ada
23 luglio: Padova @ Radar Festival
25 luglio: San Benedetto del Tronto (AP)25 @ Maremoto Festival
26 luglio: Treviso @ Suoni di Marca
27 luglio: Varese @ Giardini Estensi
02 agosto: Locorotondo (BA) – “Indagine sul cinema del brivido” @ LocusFestival
03 agosto: Messina @ Mirtorock

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The Anthony’s Vinyls – Like a Fish

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Sono abbastanza spensierati gli Anthony’s Vinyls che con il loro mix di Funky Indie Rock spaziano tra ritmo sfrenato, squarci di Surf Rock che fa molto California’s mood, giri di basso sempre presenti, fino ad arrivare ad una voce complementare ma non per questo fondamentale. Ci siamo capiti? Spero di si. Si inizia con “Chromatic Games” dove troviamo basso e batteria a dirigere un botta e risposta tra due chitarre: una detta il ritmo e l’altra la segue a ruota libera, a volte si scambiano i ruoli e a volte lasciano chorus e delay a casa per diventare più distorte e accattivanti. Stesso discorso per “My Sister Shouts”, quest’ultima con l’aggiunta di giochi di pan a rendere ancora più vivo il tutto (e in cui i fucking non mancano nelle parole di Massimiliano Mattia), come anche per “Just Can’t Get Enough” dove i giovani romani ci invitano a ballare come non ci fosse un domani. Più lente, Rock e che lasciano maggiormente spazio alla voce sono invece “Running Man” (primo singolo estratto), “My Body”, e “Like a Fish”. Si ritorna alla cassa dritta e alla voglia di ballare con “Poppy” per poi arrivare a “Radio Obsession”  quest’ultima a mio dire la traccia più riuscita del disco e quella più movimentata e radiofonica. Si chiude con “The Train of Their Life” (con tanto di traccia nascosta) dove finalmente la batteria prende possesso del pezzo lasciandosi sfogare tra rullate e cattiveria mentre la voce rimane libera con tanto di cori. Molto Rock’n’Roll insomma.

Ecco che dopo il primo EP 5 Points & 70 Euros del 2011, l’album A Different Water del 2012, gli Anthony’s Vinyls ritornano con un disco genuino coerente dall’inizio alla fine, che mette in risalto il suono sicuramente non nuovo ma comunque caratteristico di questa band. Un suono tra Daft Punk e Arctic Monkeys ottimo da ascoltare live quando si ha voglia di muoversi a ritmo sfrenato ed allegria.

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