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Local Natives – Hummingbird

Written by Recensioni

Mentre in altri ambienti musicali marcati indie è iniziato un evitabile declino asfaltato da chili di produzioni apatiche e vuote, dischi come questo “Hummingbird” dei Losangelesini Local Natives paiono – in controtendenza –  lievitare in una fragranza ottimale senza risentire minimamente fiacche e condizioni castranti, una quasi “sempre evoluzione” che comunque si capisce e capta senza usare tante vocali o aggettivi.
Arrivati al secondo giro discografico il quartetto capitanato da Kelcey Ayer recupera buon terreno e – nonostante il debutto con Gorilla Manor del 2009 faccia ancora  stragi di consensi in tutto il globo – questo nuovo registrato appare come un fiatone sul collo di quest’ultimo, una nuova dichiarata maestà onirica e indipendente che fa luce con i propri brillanti vaporosi, emozionanti; leggermente ombroso, vettorato su coloriture grigio topo come a differenziarsi dal precedente, l’album è di un morbido melanconico che culla, scompare e culla, un dondolante visionario che realizza momenti sospesi e orfani di gravità che non fanno fatica alcuna a costruirsi – in musica – un’alternativa più che credibile.
Folk terso e indie sparuto, uniti e legati in un vero e proprio mondo impalpabile, arie graduate e Aaron Dessner dei National che è “immischiato” nella tracklist per un mid-perfezionismo immaginario che lascia gocce di sogni qua e la; un disco a strati congiunti, anime liberate che svolazzano tra ombre di Grizzly Bear, Arcade Fire, tenerezze intricate col pop “Mt. Washington”, bolle di sapone eteree “Black ballons” , una dolce sbandata psichedelica “Ceilings” e tutte quelle ammiccanti assimilazioni di stampo Zulu Winter che fanno jogging sulla via lattea di “Bowery” e  che chiudono con una lancinante dolcezza intoccabile ogni tentativo di cambiare rotta.
Per intraprendere un trip d’essenze e note efficaci fatevi pure avanti, non manca nulla.

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