Emiliano Mazzoni Tag Archive

Emiliano Mazzoni – Profondo Blu

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Di Emiliano Mazzoni apprezzo soprattutto la schiettezza. Quell’evidente trasparenza della scrittura che rende le sue emozioni tangibili senza ritocchi, senza filtri che non siano quella voce calda e sghemba, quei pianoforti zoppicanti. Già ascoltando il suo ultimo disco avevo goduto del suo sguardo netto sul mondo, che si inoltra negli orizzonti dalle montagne (si sente l’aura dell’eremo, io credo, nelle sue canzoni), si inerpica tra le valli della vita, osserva momenti sparsi, prova qualcosa e lo rende a parole piccole, intagliate nel poco.

Qui, rispetto all’ultimo disco, c’è un’armonia di fondo più centrata, un’ambientazione sonora che avvolge, un Profondo Blu, appunto: è una discesa nuda in un cupo che, a dispetto delle apparenze, non è freddo, anzi, e Mazzoni nudo ci si sente a casa, non ha paura: guarda la nuvola che passa e che va fuori dalla finestra, e lui lì, fermo, che sta molto bene dove sta (vacca se sta bene), complici anche gli arrangiamenti spesso sussurrati ma mai incerti, la voce calda e segreta, la semplicità storta (o la stortezza semplice) che serpeggia negli undici brani che raccontano di donne e dei loro fantasmi, di strade e dei loro bordi, di funerali propri ed estranei giorni d’amore, di immortalità.

Un disco laterale in cui si compie la più poetica delle traiettorie: sempre verso il centro, senza toccarlo mai: sfiorare.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #01.07.2016

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Emiliano Mazzoni – Cosa Ti Sciupa

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Un bel mood quello creato da Emiliano Mazzoni nel suo ultimo Cosa Ti Sciupa, domanda senza punto interrogativo che è rovello interiore sulla scomparsa della bellezza (della “splendenza”, come dice lui). È un mood di pianoforti, fisarmoniche, elettriche distanti, batterie, una voce sghemba che tortura accenti e metriche però poi sa appoggiarsi ad immagini (anzi, visioni) di allucinata potenza (“Ci spogliammo come due trionfi sull’altopiano”, da “Ma Perché Te Ne Vai”) mentre si raccontano storie d’amore carnale e spirituale, abbandoni, viaggi, panorami antropomorfi. È un mood raccolto, che più è raccolto e più funziona: “Un’Altra Fuga” con la sua corta coda strumentale che è già da sé un racconto, o “Ragazza Aria”, fatta di scambi di chitarre ventose e pianoforti gocciolanti, che poi entra un’armonica e tutto sta dove deve stare. Le batterie più dritte (la marcetta di “Canzone di Bellezza”), le filastrocche scanzonate (“Hey Boy”), le atmosfere più sixties (“Nell’Aria C’Era Un Forte Odore”) spezzano qui e là la concentrazione, ma non è detto che sia un male. Anzi. Emiliano Mazzoni è un cantastorie da pianoforte, con le mani sui tasti bianchi e neri e i piedi scalzi nell’erba della montagna (o così almeno lo immagino io); è notturno e selvatico, c’è del vento e ci sono ombre di alberi dentro le sue canzoni, ci sono pelle e terra (che poi sono la stessa cosa) e qualche, intensa, mancanza. Si stacca con leggiadria dalla sfilza di cantautori col chitarrino da quattro accordi per volare nella luce netta di un tramonto boscoso dal peregrinare meno ovvio, e meno male.

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Emiliano Mazzoni – Ballo sul posto

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Certo che percorriamo periodi grigi. E’ oramai un dato di fatto che la speranza sia offuscata da uno fitto strato di nubi sempre più attaccato alle nostre superfici. Ma chi vive a più di 1000 metri d’altezza, un poco lontano dalla marcia “società”, potrebbe forse ancora godere di pura luce e di sani respiri a pieni polmoni. E regalarci magari uno spruzzo di ingenuo ottimismo (anche un po’ superbo, perché no?), sprigionato da chi ha il coraggio o la pura attitudine di stare più in alto. Non è dello stesso avviso Emiliano Mazzoni, che già dalla copertina ci presenta nubi ben più alte della soglia dei 1000 metri.
Il cantautore di Piandelagotti (paesotto montanaro del modenese a 1200 metri) inverte il processo. Invece di schiacciare le nubi verso il basso, facendosi un’egoistica risata verso chi crede ancora nello shopping e nelle apericene, piglia tutto il grigiore e se le porta verso di sé, in una incontaminata e genuina realtà rurale. Per poter “godere” in pieno anche lui della catastrofe, mettendosi “seduto in riva al fosso” e guardando l’orizzonte. Lo scontro culturale è violento e per mantenere caldo il contrasto Emiliano non aspetta che i bernoccoli tra le due parti si riassorbano. “Ballo sul posto” (il suo primo album, prodotto insieme all’ex-Ustmamò Luca Rossi) è così un mix letale di canzone popolare, ballate naif, noia metropolitana, rabbia repressa in goffe maschere, ritmi lenti e gelidi.
“Vorrei dimenticare di essere un eroe con le sue noie”: Emiliano apre il disco con la profetica “Mentre piangono le grondaie”, una straziante marcetta che ricorda Samuele Bersani avvolto in un nebbione di disillusione. Andando avanti si trovano addirittura frasi come “meglio sparire che imparare ad amarsi” e “come un pugnale in un sorriso”, che non fanno intravedere un solo spiraglio oltre la muraglia nebulosa. “Il dissoluto” è un brano privo di alcun ritmo, ma allo stesso tempo violento, antisociale. Sprigiona la sua ossessiva crudeltà in un freddo fermo, senza vento, ma così umido che affonda il suo gelido coltello fino a graffiarci le ossa.

Per strappare un sorriso bisogna aspettare “Buon per te luna”, che porta con sé l’allegria di un pagliaccio demotivato in un circo semivuoto la domenica pomeriggio. “Stronzi tutti“ ha la metrica del maestro De Andrè e, sebbene non abbia la nemmeno la pretesa di arrivare alle sue opere, si presenta con dismessa eleganza.
“Oppure gli hanno sparato” è un altro piccolo siparietto di amara spensieratezza ben cosciente della piccolezza dell’essere umano, canzone genuina e rustica con il suo folkloristico fischiettio: “cadendo tra le foglie spariranno le ansie e le battaglie”.
“L’esperto” è invece tutto ciò che ci aspettavamo, umile ma cinica critica verso la “nostra” società, quella che abita li sotto i suoi piedi. Qui il cantautore aggiunge un po’ di groove a melodia e accompagnamento, spesso sotterrati anche loro dalla fitta distesa di nubi.
Nel finale spicca un titolo epico come “Canzone di speranza”, melodia ubriaca a cercare la luce ormai troppo rara anche in alta quota. “Se sarò vivo anche domani, impedirò che questa luna ci abbandoni”: non è solo il titolo ad essere epico.
Emiliano ci lascia un disco duro e doloroso, ma che non fa rumore, non smuove maree e non suscita ribellioni. E’ dolore grigio e frustrante, proprio come la noia. Come passare un giorno a non fare altro che guardare le nubi che ci avvolgono.

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